LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –
Dott. TORRICE Amelia – rel. Consigliere –
Dott. TRIA Lucia – Consigliere –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 8846/2014 proposto da:
MINISTERO AFFARI ESTERI, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;
– ricorrente –
contro
S.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OTTORINO LAZZARINI 19, presso lo studio degli avvocati ANDREA SGUEGLIA, UGO SGUEGLIA, che lo rappresentano e difendono;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 9634/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 28/11/2013 R.G.N. 11175/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/09/2019 dal Consigliere Dott. AMELIA TORRICE;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CIMMINO Alessandro, che ha concluso per inammissibilità, in subordine rigetto;
udito l’Avvocato VERDIANA FEDELI (per Avvocatura);
udito l’Avvocato UGO SGUEGLIA.
FATTI DI CAUSA
1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, ha condannato il Ministero degli Affari Esteri a pagare a S.G. la somma di Euro 102.316,44 a titolo di differenze dovute sull’assegno ad personam in relazione al periodo compreso tra il 20.7.2004 ed il 31.12.2009 ed al pagamento delle spese del giudizio di primo e di secondo grado.
2. In sintesi, la Corte territoriale ha ritenuto: inammissibile l’eccezione di difetto di difetto di giurisdizione del giudice ordinario formulata dal Ministero nella memoria di costituzione nel giudizio di appello promosso dal S.; infondata l’eccezione di inammissibilità della domanda, eccezione riproposta dallo stesso Ministero ai sensi dell’art. 346 c.p.c., in quanto i decreti invocati dal Ministero, avendo natura di atti di gestione del rapporto di lavoro, non erano soggetti al termine decadenziale di impugnativa degli atti amministrativi; fondata l’eccezione di prescrizione formulata dal Ministero quanto ai crediti retributivi maturati sino al 20.7.2004.
3. La Corte territoriale ha, poi, ritenuto fondata la domanda del S. volta al pagamento delle differenze economiche correlate all'”assegno ad personam” sul rilievo che la L. n. 537 del 1993, art. 3, comma 57, nel determinare la misura dell’assegno personale pensionabile fa riferimento “alla differenza fra lo stipendio o retribuzione pensionabile in godimento all’atto del passaggio e quello spettante nella nuova posizione” e che lo stesso contratto di lavoro stipulato tra il S. ed il Ministero in data 29.12.2003 aveva attribuito in modo espresso la IX qualifica funzionale “a decorrere, ai fini giuridici, dal 21.5.1992 ed ai fini economici, dalla data di stipulazione del contratto individuale di lavoro” (29.12.2003).
4. Essa ha osservato che l’anticipazione degli effetti giuridici del contratto era stata concordata per evitare che il lavoratore, che non aveva potuto conseguire l’immissione nei ruoli del MAE prima dell’esito favorevole del contenzioso svoltosi innanzi al giudice amministrativo, avente ad oggetto la sua esclusione dalla prova selettiva, subisse pregiudizi nella carriera.”
5. Infine, la Corte territoriale ha ritenuto non contestata la misura dell’assegno non riassorbile, indicata in Euro 2.569,65 mensili lordi.
6. Avverso queste questa sentenza il Ministero degli Affari Esteri ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi, al quale ha resistito con controricorso S.G.. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Sintesi dei motivi.
7. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 345,346 c.p.c. – Omessa motivazione – Contraddittorietà della motivazione sul difetto di giurisdizione e sulle eccezioni di inammissibilità, improcedibilità, e improponibilità delle avverse originarie domande e, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione circa i criteri di riparto di giurisdizione Giudice Ordinario/Corte dei Conti e sul difetto di legittimazione passiva del Ministero in relazione alla domanda per trattamento fine rapporto.
8. Sostiene che: la parte totalmente vittoriosa nel merito in primo grado non è tenuta alla impugnazione incidentale della statuizione che ha deciso sulla giurisdizione; la giurisdizione in materia di trattamento di fine rapporto e pensionistico appartiene alla giurisdizione della Corte dei Conti; pur avendo la Corte territoriale affermato la necessità dell’appello incidentale in merito alla questione di giurisdizione aveva contraddittoriamente esaminato le eccezioni di inammissibilità, improcedibilità, improponibilità della domanda, eccezioni formulate da essa ricorrente nella memoria di costituzione nel giudizio di appello; ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, deve escludersi la giurisdizione del giudice ordinario in quanto il fatto storico che ha dato luogo alla controversia (procedura concorsuale) si era esaurita nel 1992; in relazione alla domanda relativa al trattamento di fine rapporto ed al trattamento pensionistico la legittimazione passiva doveva essere riconosciuta in capo alla Corte dei Conti e non in capo ad esso Ministero ricorrente.
9. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, difetto di motivazione in relazione all’eccezione di inammissibilità e/o improcedibilità e/o improponibilità delle domande proposte con il ricorso di primo grado.
10. Assume che le eccezioni erano state formulate in quanto il ricorso di primo grado era carente di “petitum” e, quindi, nullo per mancata impugnazione dei decreti ministeriali e addebita alla Corte territoriale di non avere considerato che detta questione era rilevabile di ufficio e pertanto non poteva essere stralciata dalle note difensive depositate nel giudizio di primo grado.
11. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2948 n. 5 c.c. Asserisce che è estinta per prescrizione l’intera pretesa e non solo i singoli ratei delle differenze retributive relative all'”assegno ad personam”.
12. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione della L. n. 533 del 1993, art. 3, comma 57 e violazione e/o falsa applicazione dei criteri di interpretazione del contratto (art. 1362 c.c.).
13. Precisato che con il Decreto Interministeriale n. 3066 del 13.10.2003 il S., in esecuzione del giudicato amministrativo era stato collocato in posizione utile nella graduatoria di merito del concorso a 20 posti per la IX qualifica funzionale (poi denominata C3) dell’Area della Promozione Culturale del MAE, con decorrenza giuridica dal 21.5.1992 con riserva di determinare con successivo decreto l’adeguamento del trattamento economico attribuibile al S. “in relazione a quello eventualmente superiore, in godimento al momento dell’immissione nella IX qualifica funzionale (21.5.1992), il ricorrente assume, in sintesi, che gli effetti economici del contratto individuale stipulato il 29.11.2003 sono indissolubilmente legati agli effetti giuridici, riconosciuti con decorrenza dal 21.5.1992.
14. Deduce che non vi era stato alcun accordo con il ricorrente in ordine alla misura del trattamento economico e che l’inquadramento del S. conseguiva al giudicato amministrativo relativo alla procedura concorsuale e non al fatto che questi aveva acquisito successivamente la qualifica di dirigente scolastico.
15. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, difetto di motivazione in relazione alle analitiche contestazioni formulate da esso ricorrente in relazione ai conteggi di controparte. Mancato esame delle domande subordinate del Ministero.
16. Assume di avere contestato sia nel giudizio di primo grado che in quello di appello i conteggi sviluppati dal S. e deduce che questi era stato collocato a riposo dal 1.12.2009 sicchè la Corte territoriale aveva errato nell’includere l’intera mensilità del dicembre 2009.
17. Con il sesto motivo il ricorrente denuncia manifesta illogicità della decisione in ordine alle spese. Sproporzione della condanna alle spese di lite in considerazione di precedente sentenza di I grado favorevole all’Amministrazione.
18. Sostiene che il possibile contrasto tra orientamenti interpretativi diversi giustifica la compensazione delle spese del giudizio.
19. Esame dei motivi.
20. In via preliminare va rilevato che il Collegio è delegato a trattare la questione di giurisdizione in virtù del Decreto del Primo Presidente in data 10 settembre 2018 in quanto essa rientra, nell’ambito delle materie di competenza della sezione lavoro, tra le questioni indicate nel richiamato Decreto sulle quali si è consolidata la giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte.
21. Il primo motivo, da riferirsi all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e non all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella parte in cui è denunciata la violazione degli artt. 345 e 346 c.p.c., è infondato.
22. Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte (Cass. SSUU nn. 13799/2012, 25246/2008; Cass. n. 2605/2018) allorchè il giudice di primo grado abbia pronunciato nel merito, affermando, anche implicitamente, la propria giurisdizione, la parte che intende contestare tale riconoscimento è tenuta a proporre appello sul punto, eventualmente in via incidentale condizionata, trattandosi di parte vittoriosa; diversamente, l’esame della relativa questione è preclusa in sede di legittimità, perchè si forma il giudicato implicito sulla giurisdizione.
23. Dei richiamati principi la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione alla fattispecie in esame atteso che il Tribunale, decidendo nel merito, ha ritenuto la sussistenza della propria giurisdizione, ragione per la quale la questione di giurisdizione avrebbe dovuto costituire oggetto di appello incidentale e non di mera eccezione in sede di comparsa di costituzione, per non dare luogo, come è avvenuto, a giudicato interno.
24. Non è ravvisabile alcuna illogicità nella sentenza impugnata nella parte in cui sono state esaminate, e rigettate, le eccezioni di inammissibilità, improcedibilità, inammissibilità della originaria domanda proposta dal S. con il ricorso introduttivo del giudizio.
25. L’inapplicabilità del principio di rilevabilità d’ufficio nel caso di decisione sulla giurisdizione e la non applicabilità dell’art. 346 c.p.c., non è infatti riferibile a siffatte eccezioni puntualmente riproposte dal Ministero nel giudizio di appello ai sensi dell’art. 346 c.p.c., ed esaminate dalla Corte territoriale.
26. Infine, sono inammissibili perchè estranee al perimetro dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, le cesure che addebitano alla sentenza vizi motivazionali in ordine alla questione di legittimazione passiva dell’odierno ricorrente (Cass. SSUU 8053/2014, cfr. infra p. 27 e 28 di questa sentenza).
27. Il secondo motivo, con il quale il ricorrente imputa alla sentenza impugnata il vizio di difetto motivazione sulle eccezioni di inammissibilità, e/o improcedibilità e/o improponibilità della domanda proposta con il ricorso introduttivo del giudizio, è infondato.
28. La sentenza impugnata è stata pubblicata il 28.11.2013. Trova, pertanto, applicazione ratione temporis l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come sostituito dal D.L. n. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, il quale consente tale denuncia nei limiti dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. SSUU 8053/2014).
29. Va, poi, osservato che le Sezioni unite di questa Corte (Cass. 8053/2014) hanno affermato che l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un “error in procedendo”, che comporta la nullità della sentenza, solo nel caso di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”.
30. E’ stato, altresì, precisato che di “motivazione apparente” o di “motivazione perplessa e incomprensibile” può parlarsi laddove essa non renda “percepibili le ragioni della decisione, perchè consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talchè essa non consenta alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice” (Cass. SS.UU. n. 22232 del 2016).
31. Ebbene vizi di tal fatta non si rinvengono nella sentenza impugnata.
32. La Corte territoriale, secondo un iter argomentativo chiaro, comprensibile, lineare e niente affatto perplesso, ha esaminato le eccezioni riproposte dal Ministero nella memoria di costituzione ex art. 346 c.p.c. e le ha rigettate sul rilievo corretto (Cass. 22396/2018, 13479/2018, 25018/2017, 13800/2017, 8328/2010), della non applicabilità del regime impugnatorio proprio degli atti amministrativi ai decreti con i quali era stato determinato il trattamento economico del S., ai quali ha riconosciuto la natura di veri e propri atti di gestione del rapporto di lavoro.
33. Il terzo motivo, con il quale è denunciata la violazione dell’art. 2948 c.p.c., n. 5, è infondato atteso che possono estinguersi per prescrizione quinquennale i singoli ratei dell’assegno ad personam e non il diritto a tale indennità.
34. Il quarto motivo presenta profili di inammissibilità e di infondatezza.
35. Esso è inammissibile nella parte in cui è denunciata la violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale perchè il ricorrente, in violazione degli oneri imposti dall’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4, non ha riprodotto, nelle parti salienti e rilevanti il contratto individuale di lavoro, atto di cui non è stata indicata la sede di produzione processuale e che non risulta allegato al ricorso.
36. Al riguardo va richiamato il principio ripetutamente affermato da questa Corte secondo cui l’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4, impongono alla parte ricorrente, quando siano in gioco atti processuali ovvero documenti o prove orali la cui valutazione debba essere fatta ai fini dello scrutinio di un vizio di violazione di legge, ex art. 360 c.p.c., n. 3, di carenze motivazionali, ex art. 360 c.p.c., n. 5, o di un error in procedendo, ai sensi dei nn. 1, 2 e 4 della medesima norma, è necessario non solo che il contenuto dell’atto o della prova orale o documentale sia riprodotto in ricorso, nelle parti salienti e rilevanti, ma anche che ne venga indicata l’esatta allocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità (Cass. SSUU 8077/2012; Cass. 5696/2018, 24883/2017, 13713/2015, 19157/2012, 6937/2010).
37. Non è, dunque, sufficiente che il ricorrente assolva al distinto onere previsto, a pena di improcedibilità, dall’art. 369 c.p.c., n. 4, indicando la sede nella quale l’atto processuale è reperibile, perchè l’art. 366 c.p.c., come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 5, richiede che al giudice di legittimità vengano forniti tutti gli elementi necessari per avere la completa cognizione della controversia, senza necessità di accedere a fonti esterne, mentre la produzione è finalizzata a permettere l’agevole reperibilità del documento o dell’atto la cui rilevanza è invocata ai fini dell’accoglimento del ricorso (fra le più recenti, sulla non sovrapponibilità dei due requisiti, Cass. 19048/2016).
38. Ulteriore profilo di inammissibilità consegue al fatto che il ricorrente non ha indicato quali sono i canoni di ermeneutica contrattuale che la Corte del merito ha violato o dai quali si sia discostata nella ricostruzione della volontà delle parti manifestata nel contratto individuale di lavoro (Cass. 182/2019, 27948/2018, 23049/2018, 8586/2015, 9245/2007, 18375/2006) ma si è limitato a contrapporre un risultato interpretativo e ricostruttivo diverso da quello contenuto nella sentenza impugnata al fine di affermare che la data alla quale avere riguardo per la determinazione dell’assegno “ad personam” deve farsi coincidere con quella di decorrenza della anzianità giuridica.
39. Il motivo in esame è infondato nella parte in cui è denunciata la violazione e la falsa applicazione della L. n. 537 del 1993, art. 3, comma 57.
40. E’ incontestato (cfr. sentenza impugnata, ricorso in cassazione) che il ricorrente, già alle dipendenze del Ministero dell’Istruzione, è passato alle dipendenze dell’odierno ricorrente non all’esito di una procedura di mobilità volontaria ma all’esito della favorevole partecipazione ad una procedura concorsuale, dalla quale era stato escluso in modo illegittimo, siccome accertato dal giudicato amministrativo costituito dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 5589 del 2001.
41. La L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 3, comma 57, dispone che “Nei casi di passaggio di carriera di cui all’art. 202 del citato testo unico approvato con D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, ed alle altre analoghe disposizioni, al personale con stipendio o retribuzione pensionabile superiore a quello spettante nella nuova posizione è attribuito un assegno personale pensionabile, non riassorbibile e non rivalutabile, pari alla differenza fra lo stipendio o retribuzione pensionabile in godimento all’atto del passaggio e quello spettante nella nuova posizione”
42. Il dato letterale della disposizione, dal quale non può prescindersi (art. 12 disp. gen., comma 1, prima parte) è chiaro ed inequivoco.
43. La L. n. 537 del 1993, art. 3, comma 57, nello stabilire che l’assegno personale spettante nei casi di passaggi di carriera, tra i quali va ricompresa la fattispecie dedotta in giudizio (Cass. Cass. 22782/2016, 20557/2016, 18850/2016, 24949/2014, 10219/2014, 5959/2012; Ord. 21803/2014), in quanto il S. è passato alle dipendenze dal Ministero dell’Istruzione al Ministero degli Affari Esteri all’esito di procedura concorsuale, è “pari alla differenza fra lo stipendio o retribuzione pensionabile in godimento all’atto del passaggio e quello spettante nella nuova posizione” fa riferimento al trattamento economico goduto al momento del passaggio nella nuova posizione.
44. Il dato letterale innanzi evidenziato è coerente con la “ratio” (art. 12, comma 1, u.p.) della disposizione in esame, che, attraverso il divieto di attribuzione di un trattamento economico regressivo, mira a favorire la mobilità volontaria nel pubblico impiego e a consentire alle diverse Amministrazioni dello Stato di utilizzare le migliori competenze maturate, anche in altri settori dell’amministrazione, dai suoi dipendenti, in coerenza con il principio costituzionale di buon andamento della P.A., che richiede la migliore organizzazione possibile delle strutture amministrative sulla base delle competenze possedute dai dipendenti pubblici.
45. Coloro i quali già ricevono un trattamento superiore a quello offerto dalla pubblica amministrazione che ha bandito il concorso potrebbero, infatti, non avere interesse a partecipare al concorso con detrimento dell’interesse pubblico a che la platea dei concorrenti sia la più ampia possibile.
46. Va, infine, osservato che il D.P.R. 10 gennaio 1957, art. 202, al quale fa espresso rinvio il richiamato della L. n. 537 del 1993, n. 3, art. 3, comma 57, nel disporre che nei casi di passaggi di carriera “presso la stessa o diversa amministrazione” deve essere attribuito un “assegno ad personam”, prevede che esso è pari “alla differenza fra lo stipendio già goduto ed il nuovo”, attribuendo rilievo al trattamento goduto al momento del passaggio dall’una all’altra Amministrazione dello Stato.
47. Come innanzi evidenziato, è incontestato che il S. ha sottoscritto il contratto di lavoro con l’odierno ricorrente il 29.11.2003 e che questa è la data in cui si è realizzato nel concreto il passaggio alle dipendenze del Ministero, sicchè è del tutto irrilevante che il Ministero nell’inquadrare il S. nei ruoli abbia ritenuto di riconoscere in suo favore l’anzianità giuridica con decorrenza dal 21.5.1992.
48. Il quinto motivo è inammissibile.
49. Le censure che addebitano alla sentenza il vizio di omesso esame della avvenuta contestazione dei conteggi allegati dal S. per un verso sono estranee al mezzo impugnatorio che le veicola (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, cfr. p. 27-28 di questa sentenza), per altro verso sono formulate senza il necessario rispetto degli oneri di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4 (cfr p. 35-38 di questa sentenza).
50. Il ricorrente, infatti, non ha riprodotto nel ricorso le parti salienti e rilevanti degli atti difensivi dei giudizi di merito contenenti la contestazione la correttezza dei conteggi sviluppati dal S., recepiti dalla Corte territoriale ai fini della determinazione del “quantum” della statuizione di condanna. Tali atti non risultano allegati al ricorso e nemmeno ne risulta indicata la specifica sede di produzione processuale 51. Il sesto motivo è infondato.
52. In tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (Cass. SSUU 14989/2005; Cass. 11329/2019, Cass. 7607/2006).
53. Sulla scorta delle conclusioni svolte il ricorso va rigettato.
54. Le spese, nella misura liquidata in dispositivo, seguono la soccombenza.
55. Non sussistono le condizioni richieste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, perchè la norma non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (Cass. 17361/2017).
P.Q.M.
La Corte:
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.500 per compensi professionali, Euro 200,00 per spese, oltre 15% per rimborso spese generali forfetarie, oltre IVA e CPA.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2019
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