LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –
Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 12778-2018 proposto da:
T.S., elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE DEI MELLINI 7, presso lo studio dell’avvocato MASSIMILIANO SILVETTI, rappresentato e difeso da se medesimo;
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO ***** SPA, in persona dei Curatori pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA VESCOVIO 21, presso lo studio dell’avvocato TOMMASO MANFEROCE, rappresentato e difeso dall’avvocato STEFANO DE’ MICHELI;
– controricorrente –
avverso il decreto del TRIBUNALE di ROVIGO, depositato il 12/04/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 08/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. EDUARDO CAMPESE.
FATTI DI CAUSA
1. L’Avv. T.S. propose opposizione, ex art. 98 L.Fall., avverso “le decisioni assunte dal Giudice delegato in data 1 marzo 2017 ed in data 16 marzo 2017” afferenti la mancata ammissione al passivo del fallimento della ***** s.p.a. del credito di Euro 158.691,00, in privilegio ex art. 2751-bisc.c., n. 2, invocato, tramite domanda ex art. 101 L.Fall., quale compenso per prestazioni professionali da lui svolte su incarico ed in favore della società poi fallita.
1.1. Instauratosi il contraddittorio con la curatela fallimentare, il Tribunale di Rovigo, con decreto dell’11/12 aprile 2018, dichiarò inammissibile detta opposizione perchè “relativa non al decreto che ha reso esecutivo lo stato passivo, che solo può costituire mezzo di opposizione ai sensi dell’art. 98 L.Fall., ma ad altri provvedimenti assunti dal giudice delegato prima dell’udienza di verifica del 4 aprile 2017, conclusasi con l’emissione del decreto di esecutività dello stato passivo delle domande tardive”. Rilevò, inoltre, che, “in ogni caso, l’opposizione risulta infondata anche nel merito”, sostanzialmente per carenza di prova del credito ivi preteso perchè la documentazione prodotta a sostegno di esso era priva di data certa, ex art. 2704 c.c., opponibile al fallimento.
1.2. Avverso questo decreto, l’Avv. T.S. ricorre per cassazione, affidandosi a tre motivi, ulteriormente illustrati da memoria ex art. 380-bis c.p.c.. Resiste, con controricorso, la curatela fallimentare.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo, complessivamente rubricato “Violazione o falsa applicazione degli artt. 96 e 98 L.Fall., dell’art. 112c.p.c., dell’art. 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, reca plurime doglianze. Invero: i) si assume che la dichiarazione di inammissibilità cui era pervenuto il tribunale rodigino avrebbe inteso censurare la spiegata opposizione considerandola rivolta contro un atto ritenuto) inesistente, mentre, di contro, alla data della sua proposizione, lo stato passivo già era stato dichiarato esecutivo. Il tribunale, dunque, avrebbe applicato l’adottata sanzione processuale della inammissibilità ad una ipotesi per la quale la stessa non era prevista; ii) si sostiene che il medesimo tribunale non avrebbe dovuto intendersi vincolato alle espressioni letterali utilizzate (“provvedimento di non ammissione al passivo del decreto di esecutività”), ma avrebbe dovuto indagare e considerare il contenuto sostanziale della domanda come ricavabile, ad esempio, dalle argomentazioni (in fatto ed in diritto) contenute nell’atto introduttivo o negli scritti defensionali successivi; iii) si lamenta che “l’avversata decisione… induce a perplessità quando afferma che “in ogni caso, poi, l’opposizione risulta infondata anche nel merito””, tanto risolvendosi in “una anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge in quanto essa è senz’altro al di sotto del minimo costituzionale… in quanto contenente un contrasto irriducibile tra affermazioni che rende il punto obbiettivamente incomprensibile”.
1.1. Il secondo ed il terzo motivo, invece, entrambi recanti “violazione o falsa applicazione dell’art. 99 L.Fall., dell’art. 112c.p.c., dell’art. 111 Cost. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4”, censurano il decreto impugnato laddove non aveva ammesso, peraltro senza minimamente motivare in proposito, i mezzi istruttori richiesti dall’opponente, e per avere respinto l’opposizione esclusivamente sull’assunto che la documentazione prodotta a corredo dell’invocato credito fosse carente di data certa opponibile alla curatela, così disattendendo i principi sanciti da Cass. n. 5654 del 2017.
2. Rileva preliminarmente il Collegio che, come si è già riferito, il Tribunale di Rovigo, chiamato a pronunciarsi sull’opposizione ex- art. 98 L.Fall. proposta dall’Avv. T.S., l’ha dichiarata inammissibile, ritenendola, altresì, in motivazione, “in ogni caso infondata anche nel merito”. Si porrà, dunque, esclusivamente ove dovesse risultare fondato il primo motivo di ricorso (chiaramente pregiudiziale perchè investe la suddetta statuizione di inammissibilità, soltanto rimossa la quale potrebbe procedersi oltre), il problema di stabilire la giuridica rilevanza, o meno, delle argomentazioni attinenti al merito della controversia svolte da quel giudice.
3. Fermo quanto precede, il menzionato primo motivo è complessivamente immeritevole di accoglimento alla stregua delle considerazioni di cui appresso.
3.1. La declaratoria di inammissibilità in questione è stata sostanzialmente giustificata dal citato tribunale con il già riportato assunto secondo cui l’opposizione del T. era “relativa non al decreto che ha reso esecutivo lo stato passivo, che solo può costituire oggetto di opposizione ai sensi dell’art. 98 L.Fall., ma ad altri provvedimenti assunti dal giudice delegato prima dell’udienza di verifica del 4 aprile 2017, conclusasi con l’emissione del decreto di esecutività dello stato passivo delle domande tardive”.
3.1.1. In particolare, come emerge dal decreto impugnato, detti provvedimenti riguardavano “le decisioni assunte dal Giudice delegato in data 1 marzo 2017 ed in data 16 marzo 2017” (cfr. pag. 1-2), con riferimento ai quali si è altresì precisato (cfr. pag. 3-4) che: i) “diversamente da quanto dedotto da parte opponente, non esiste alcun “provvedimento” emesso dal Giudice delegato in data 1 marzo 2017 (data anteriore anche alla prima udienza di verifica del 16.3.2017), trattandosi della mera comunicazione del progetto di stato passivo, effettuata dai curatori all’Avv. T.S., ex art. 95 L.Fall….non suscettibile di impugnazione ai sensi dell’art. 98 L.Fall.”; ii) “Quanto all’ulteriore provvedimento impugnato, poi, si rileva che, all’udienza del 16.3.2017, dopo aver esaminato varie istanza di ammissione al passivo (inclusa quella dell’Avv. T.), il G.D. ha rinviato all’udienza del 4.4.2017, per l’esame di un’ultima domanda residua. Solo alla successiva udienza del 4.4.2017, esaminata l’ultima domanda, il C.D. ha dichiarato esecutivo lo stato passivo delle domande tardive”.
3.2. Posto, allora, che l’Avv. T.S. ha esplicitamente ammesso (cfr pag. 2-3 del ricorso) che l’opposizione da lui spiegata ex art. 98 L.Fall. non era stata “avanzata successivamente al deposito del decreto che ha reso esecutivo lo stato passivo”, – decreto pacificamente reso dal giudice delegato il 4 aprile 2017 – ma “avverso la comunicazione della Curatela 16/3/2017 ed il provvedimento di esclusione contenuto nel “verbale di esame e formazione dello stato passivo dei crediti e delle rivendiche tardive” del 16/3/2017, ovvero tredici giorni prima che fosse formalmente depositato il detto decreto”, osserva il Collegio che del tutto correttamente l’adito tribunale ha giudicato inammissibile una siffatta opposizione.
3.2.1. Da un lato, infatti, quest’ultima ha investito un atto (la comunicazione ai creditori del progetto di stato passivo dell’1 marzo 2017 predisposto dalla curatela fallimentare), certamente insuscettibile di opposizione ex art. 98 L.Fall.; dall’altro, il giudice a quo si è uniformato al principio, già sancito da questa Corte e qui integralmente condiviso, secondo cui, in materia di fallimento, anche il procedimento di accertamento dello stato passivo riguardante le domande di insinuazione tardiva ai sensi dell’art. 101 L.Fall., benchè la loro trattazione sia frazionabile in più udienze, si conclude con il decreto di esecutività reso ex art. 96 L.Fall., u.c., unico e tipico provvedimento a contenuto precettivo, il cui termine per l’impugnazione decorre solo dalla sua comunicazione, mentre inammissibile un’impugnazione del provvedimento di ammissione di singoli crediti perchè in contrasto con l’esigenza di definizione unitaria di tutte le questioni concernenti lo stato passivo (ti”. Cass. n. 13886 del 2017).
3.2.2. Merita, peraltro, di essere rimarcato che la successiva giurisprudenza di legittimità ha altresì precisato che, in materia di fallimento, poichè il giudice delegato può formare lo stato passivo e renderlo esecutivo con decreto depositato in cancelleria solo dopo aver terminato l’esame di tutte le domande presentate tempestivamente, deve escludersi che, nel caso in cui il procedimento di verifica si protragga per più udienze, il giudice possa adottare all’esito di ciascuna di esse altrettanti decreti di esecutività, i quali, ove erroneamente emessi, devono ritenersi tamquam non essent e, perciò, privi di effetti ai fini della scadenza del termine per il deposito delle domande tardive di cui all’art. 101 1.fall. Cass. n. 1179 del 2018).
3.3. Ne consegue, dunque, alla stregua delle riportate statuizioni, che, nella specie, l’opposizione ex art. 98 L.Fall. avrebbe dovuto essere proposta, da parte del T., contro il decreto di esecutività dello stato passivo delle domande tardive pronunciato dal giudice delegato il 4 aprile 2017, e non, invece, come concretamente e pacificamente avvenuto, avverso quello del 16 marzo del 2017 con cui il medesimo giudice aveva provveduto solo su alcune delle domande ex art. 101 L.Fall. (tra cui quella dell’odierno ricorrente) presentate. Infatti, quel provvedimento non conteneva statuizioni incidenti sulle posizioni sostanziali portate al suo esame dai creditori, poichè il suo potere cognitivo non si sarebbe esaurito con tali determinazioni, singolarmente considerate, ma unicamente con il decreto di esecutività, nel quale sarebbero confluite assorbendole (cfr. Cass. n. 650 del 2003): il decreto di esecutività dello stato passivo, invero, “costituisce l’esclusivo e tipico provvedimento di contenuto precettivo, che attribuisce forza autoritativa alle decisioni assunte nelle fasi che lo hanno preceduto e preparato, fattispecie esclusiva dell’effetto esecutivo dello stato passivo” (così la citata Cass. n. 650 del 2003, cit.). Nello stesso senso, l’esigenza di definizione unitaria di tutte le questioni concernenti lo stato passivo ha indotto il legislatore a configurare l’opposizione dei creditori esclusi o ammessi con riserva, di cui all’art. 98 L.Fall., come rimedio impugnatorio avverso il decreto di esecutività dello stato passivo: il legislatore, cioè, ha configurato l’azione del creditore come impugnazione del predetto decreto di esecutività e regolato il procedimento in modo rigorosamente unitario, onde si nega una opposizione al passivo “anticipata” rispetto al deposito del decreto di cui alla L.Fall., art. 97 (cfr. Cass. n. 559 del 2010, richiamata, in motivazione, dalla più recente Cass. n. 13886 del 2017).
3.4. Affatto inammissibile, peraltro, si rivela l’assunto del T. secondo cui (cfr. pag. 3 del ricorso) “l’opposizione è stata proposta quando “già vi era la piena conoscenza dei contenuti del provvedimento di non ammissione del credito insinuato e quando “già vi era stata la dichiarazione di esecutività dello stato passivo, ancorchè il decreto non fosse stato ancora depositato (deposito avvenuto, come detto, in data 4/4/2017)”: una siffatta affermazione, infatti, si scontra con l’accertamento fattuale, qui non ulteriormente sindacabile, compiuto dal tribunale veneto, in ordine alla circostanza che la dichiarazione dell’esecutività dello stato passivo delle domande tardive del fallimento ***** s.p.a. era avvenuto solo il 4 aprile 2017.
3.5. Irrilevanti, infine, risultano i profili di censura del motivo in esame volti a sostenere (a) che il tribunale a quo non avrebbe dovuto intendersi vincolato alle espressioni letterali utilizzate (“provvedimento di non ammissione al passivo del decreto di esecutività”), ma avrebbe dovuto indagare e considerare il contenuto sostanziale della domanda come ricavabile, ad esempio, dalle argomentazioni (in fatto ed in diritto) contenute nell’atto introduttivo o negli scritti defensionali successivi, e che (b) “l’avversata decisione… induce a perplessità quando afferma che “in ogni caso, poi, l’opposizione risulta infondata anche nel merito””: il primo, perchè l’intenzione dell’opponente di contestare la mancata ammissione al passivo del proprio, invocato credito era chiara, ma erano stati impugnati dal medesimo provvedimenti, invece, insuscettibili di opposizione ex art. 98 L.Fall.; il secondo, in ragione del fatto che lo stesso investe affermazioni del decreto impugnato da considerarsi estranee alla decisione, atteso che, come sancito da Cass., SU, n. 3840 del 2007, diversamente dall’ipotesi in cui la motivazione ulteriore sia volta a sorreggere con più argomenti (anche su piani gradati) la decisione di un medesimo aspetto della domanda (ovvero di una eccezione che si è valorizzata), in relazione al quale l’impugnazione avverso la decisione deve “vincere” tutti quegli argomenti, ciascuno dei quali si pone come autonoma ed autosufficiente ratio decidendi (Cfr. in tal senso anche, le più recenti Cass. n. 7838 del 2015; Cass. n. 2736 del 2013; Cass. n. 21490 del 2005), allorquando la motivazione ad abundantiam riguardi altri aspetti, cioè domande o eccezioni non solo diverse da quella delibata in via principale ma il cui esame è, per di più, precluso al giudice proprio in ragione della inammissibilità decisa principaliter con cui questi ha evidentemente definito il giudizio, le considerazioni di merito, che comunque egli abbia poi a svolgere, restano irrimediabilmente fuori, appunto, dalla decisione, non tanto perchè – come, peraltro, accaduto nella specie – esse non trovano sbocco nel dispositivo (che potrebbe, al limite, considerarsi integrabile con la motivazione), e non solo perchè formulate in via affatto ipotetica, quanto, soprattutto, per l’assorbente ed insuperabile ragione che dette valutazioni provengono da un giudice che, con la pregiudiziale declaratoria di inammissibilità, si è già spogliato della potestas iudicandi in relazione al merito della fattispecie controversa. Dunque, quelle ultronee considerazioni relative al merito della domanda (o della impugnazione) non sono riconducibili alla decisione (di inammissibilità) che al riguardo egli ha adottato, ma a quella, semmai, che egli avrebbe adottato ove appunto il correlativo esame non ne fosse risultato precluso. E si muovono, pertanto, su un piano esclusivamente virtuale e non entrano nel circuito delle statuizioni propriamente giurisdizionali.
3.5.1. Da tanto consegue la riaffermazione del principio per cui la parte soccombente non ha l’onere, nè ovviamente l’interesse, ad impugnare le argomentazioni sul merito, ipotetiche e virtuali, che il giudice impropriamente abbia inserito nella decisione impugnata, subordinatamente ad una statuizione di inammissibilità (o declinatoria di sua giurisdizione o competenza). Con l’ulteriore duplice e speculare corollario che è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile (per difetto di interesse) l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito svolta, per quanto detto, ad abundantiam nella decisione gravata (cfr. Cass., SU, n. 3840 del 2007, nonchè, nel medesimo senso, le successive Cass. n. 13997 del 2007; Cass. n. 15234 del 2007; Cass. n. 9647 del 2011; Cass., SU, n. 15122 del 2013; Cass. n. 17004 del 2015; Cass. n. 30393 del 2017; Cass. n. 18180 del 2019).
4. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso vanno evidentemente considerati assorbiti.
5. In definitiva, il ricorso va respinto, restando le spese del giudizio di legittimità regolate dal principio di soccombenza, dandosi atto, altresì, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 20012, n. 228, art. 1, comma 17, – giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 23535 del 2019 – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna l’Avv. T.S. al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del medesimo ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 8 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2019