Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.30209 del 20/11/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –

Dott. LEONE Maria Margherita – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19896-2018 proposto da:

COMUNE DI MAZANA DEL VALLO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE FLAMINIO 28, presso lo studio dell’avvocato ERRANTE MASSIMO, rappresentato e difeso dall’avvocato MUSCOLINO FRANCESCO EMANUELE;

– ricorrente –

contro

A.G., + ALTRI OMESSI, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GERMANICO 172, presso lo studio dell’avvocato GELLEANO SERGIO;

– controricorrenti –

contro

P.S., + ALTRI OMESSI;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1204/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 27/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 05/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. DE FELICE ALFONSINA.

RILEVATO

CHE:

la Corte d’appello di Palermo, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale di Marsala, ha accolto la domanda di P.S. e altri, lavoratori socialmente utili, rivolta a sentir accertare l’illegittima e abusiva reiterazione – per oltre dieci anni a partire dal 1996 – dei rapporti di lavoro intercorsi con il Comune di Mazara del Vallo, condannando quest’ultimo a corrispondere agli appellanti un’indennità risarcitoria pari a dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre interessi;

la cassazione della sentenza è domandata dal Comune di Mazara del Vallo sulla base di due motivi; P.S. e i suoi litisconsorti resistono con tempestivo controricorso;

è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;

entrambe le parti hanno depositato memoria in prossimità dell’Adunanza camerale.

CONSIDERATO

Che:

con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il Comune deduce “Violazione e falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, della L. n. 604 del 1966, art. 8”; sostiene che il giudice del merito, determinando un risarcimento del danno nella misura massima di dodici mensilità in favore di ciascuno degli appellanti avrebbe violato i criteri indicati nella L. n. 604, art. 8, richiamato dalla L. n. 183, art. 32, comma 5; in particolare afferma che la Corte territoriale non aveva tenuto conto, nella determinazione del danno, del comportamento datoriale in virtù del quale erano state avviate le procedure di stabilizzazione dei precari, proprio al fine di consentire agli stessi il conseguimento del bene della vita oggetto della domanda giudiziale;

con il secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, contesta “Violazione e falsa applicazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c., in relazione alla L. n. 182 del 2010, art. 32, comma 5, e L. n. 604 del 1966, art. 8”; la Corte territoriale avrebbe omesso di applicare i parametri di quantificazione del risarcimento stabiliti dall’art. 8 L.604 del 1966, richiamati dalla L. n. 183 del 2010, art. 32 comma 5, , fornendo una motivazione meramente apparente della condanna al risarcimento del danno nella misura massima a carico del Comune, perchè priva di riferimenti specifici e puntuali ai rapporti in contestazione e inidonea a far emergere la ratio decidendi del provvedimento impugnato;

il primo motivo è infondato;

la critica riguardante la mancata applicazione dei criteri contemplati dalla L. n. 604, art. 8 – riferentisi alle dimensioni del datore di lavoro e al numero dei dipendenti occupati – appare generica;

la sentenza impugnata si muove, invero rigorosamente, nel solco della giurisprudenza di legittimità e dei principi di diritto affermati da questa Corte in tema di misure dissuasive idonee a prevenire l’abusivo ricorso del contratto a termine nell’ottica comunitaria e costituzionale (soprattutto di Cass. n. 25672 del 2017, che rappresenta il filo conduttore del decisum);

la ragione del riconoscimento del diritto al risarcimento, negato dal primo giudice sul presupposto nella mancata estensione di esso ai rapporti di matrice socio assistenziale, trova il suo fondamento nell’accertamento che i rapporti in contestazione si erano svolti secondo lo schema tipico della subordinazione e che i lavoratori, assunti per la realizzazione di progetti di utilità collettiva ai sensi della legislazione regionale, erano stati reiteratamente utilizzati per i fini istituzionali del Comune di Mazara del Vallo (“… non vi è traccia agli atti del progetto di utilità collettiva previsto dalla legge …” così la sentenza, p. 9);

in merito alla quantificazione del danno, parte ricorrente si duole sostanzialmente del fatto che la Corte territoriale non abbia preso in adeguata considerazione il comportamento del Comune, proteso a creare le condizioni per la futura stabilizzazione degli odierni controricorrenti, mentre nulla obietta in merito alla presunta mancata applicazione dei due criteri indicati nella norma asseritamente violata: dimensioni del datore di lavoro e numero dei dipendenti occupati (p. 5 controric.);

il comportamento del Comune è, di contro, tenuto in larga considerazione dalla Corte territoriale, la quale, ha evidenziato (p. 2 e p. 4 sent.) come da entrambi i gradi del merito fosse stato accertato che nessun diritto all’assunzione poteva dirsi conseguito dai cd. precari, essendo, le intenzioni del Comune di procedere alla loro stabilizzazione, rimaste arenate fin dal 2012, il che aveva determinato che la posizione soggettiva degli interessati non fosse mai evoluta dallo stadio iniziale di una mera aspettativa;

è in tale contesto che trova applicazione la determinazione del danno nella misura massima risarcibile, la cui portata sanzionatoria, secondo la Corte territoriale è adeguata alla gravità dell’abuso, sì come superiore di tre volte la durata di trentasei mesi fissata quale limite massimo consentito dalla D.Lgs. n. 165 del 200, art. 36;

tale misura è quella che il giudice del merito ha considerato dissuasiva, alla stregua del principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite, secondo cui in caso di abuso del contratto a termine, la misura del risarcimento non segue rigidamente i criteri previsti per il licenziamento illegittimo, ma, per raggiungere una valenza di effettività, non può che riferirsi al danno da abuso presunto, tranne che il lavoratore non fornisca la prova di un maggior pregiudizio sofferto, del che – nel caso in esame è stata accertata la non ricorrenza (p.12 sent.);

sulla scorta delle precedenti considerazioni, anche il secondo motivo risulta infondato;

le censure mosse al provvedimento impugnato non sono idonee a vulnerare l’iter logico argomentativo attraverso cui la Corte territoriale ha fissato la misura del danno risarcibile nella misura massima contemplata dalla legge, valutando insindacabilmente l’incidenza degli esiti pregiudizievoli della “precarizzazione” sulla sorte dei rapporti controversi, protrattisi per oltre dieci anni, ossia ben oltre il limite massimo ammissibile contemplato dalla normativa in tema di rapporti di lavoro con la pubblica amministrazione;

in definitiva, il ricorso va rigettato; le spese del presente giudizio, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza e vanno distratte in favore del procuratore anticipatario;

in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il Comune di Mazara del Vallo al rimborso delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200 per esborsi, Euro 10.000 nei confronti di tutti i controricorrenti, da distrarsi in favore del procuratore anticipatario, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, all’Adunanza camerale, il 5 giugno 2019 Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2019

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