Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.30510 del 22/11/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5065-2018 proposto da:

MEDIOCREDITO ITALIANO SPA, in persona del Direttore Generale e procuratore speciale, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CIRCONVALLAZIONE CLODIA, 167, presso lo studio dell’avvocato ANTONELLA SANSONE, rappresentato e difeso dall’avvocato SERGIO CARDAROPOLI;

– ricorrente –

contro

ASL NAPOLI ***** SUD, in persona del Direttore Generale, legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA POLI, 29 C/O UFFICIO RAPPRESENTANZA REGIONE CAMPANIA, presso lo studio dell’avvocato ROSA ANNA PELUSO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 462/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 01/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/09/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI.

FATTI DI CAUSA

La società ricorrente è cessionaria del credito che la Casa di Salute srl vantava nei confronti della ASL Napoli ***** per prestazioni cardiochirurgiche e di alta specialità.

La cessionaria, in tale veste, ha ottenuto decreto ingiuntivo per il pagamento di 6.986.117,04 Euro, quale corrispettivo, per l’appunto, dei crediti vantati dal cedente e poi trasferiti alla ricorrente.

La ASL ha proposto opposizione eccependo che, poichè la Regione Campania aveva stabilito i volumi delle prestazioni sanitarie per l’anno 2007, il pagamento delle prestazioni doveva avvenire nei limiti dei tetti di spesa determinati dalla Regione medesima, e poichè la casa di cura aveva superato i limiti di spesa, doveva applicarsi nei suoi confronti una regressione tariffaria, ed una decurtazione dei compensi per 1654.487,53, da detrarre dalla somma inizialmente richiesta.

L’opposizione è stata accolta, ed avverso la sentenza di primo grado la ricorrente ha interposto appello, eccependo come la regressione tariffaria sia, da un lato, stata comunicata tardivamente e, per altro verso, abbia operato retroattivamente in maniera illegittima.

L’appello è stato rigettato.

Ora la società cessionaria ricorre con tre motivi, che ripropongono sostanzialmente le censure mosse in appello. V’è costituzione della ASL con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- La ratio della decisione impugnata sta nella difesa della legittimità della regressione tariffaria, o meglio, della ininfluenza) sia della circostanza che tale regressione è stata comunicata con ritardo, sia nella circostanza che essa ha operato retroattivamente.

2.- La società ricorrente ritiene infondata questa ratio, per lo scarso rilievo assegnato alla violazione della buona fede, ed alla retroattività dell’atto di regressione tariffaria.

2.1.- Con il primo motivo denuncia nullità della sentenza per contraddittorietà della motivazione (dunque violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4).

Secondo la ricorrente, vi sarebbe contraddizione nell’affermare, da un lato, che il comportamento della ASL è corretto, e dall’altro, che ove vi fosse stato comportamento negligente o contrario a buona fede, l’atto sarebbe comunque valido.

Il motivo è infondato.

In realtà non v’è alcuna contraddizione tale da rendere nulla la sentenza, esito che presuppone l’affermazione di due rationes che si elidono a vicenda cosi da impedire che si capisca quale è la ragione che giustifica la decisione.

La corte di merito ha premesso che la ASL è obbligata in base alle norme pubbliche a contenere la spesa nei limiti imposti dalla Regione, e che questo obbligo va osservato sempre, anche tardivamente, con la conseguenza che il ritardo non ha influenza, non rende l’atto dovuto un atto nullo o annullabile, o altrimenti inefficace. Anche in ragione della circostanza che si tratta di un atto che necessariamente va assunto a consuntivo e non a preventivo.

Cosi che i due argomenti sono conseguenti, e non già in contraddizione, l’uno all’altro: la ASL è tenuta alla regressione e deve attuarla anche se tardivamente.

3.1- Gli altri due motivi possono esaminarsi congiuntamente e sono infondati. Con il secondo motivo, la società ricorrente denuncia violazione degli artt. 1175,1337 e 1366 c.c. assumendo che la tardiva comunicazione della regressione è contraria al principio di buona fede e non può mai operare retroattivamente (terzo motivo).

In sostanza, il fatto di non avere dato rilievo alla violazione della buona fede ha impedito alla corte di merito di ritenere inadempiente la ASL ai suoi obblighi contrattuali. L’inadempimento dell’obbligo di buona fede, consistente nel comunicare tardivamente la regressione tariffaria, avrebbe dovuto significare inadempimento degli obblighi contrattualmente assunti.

Questo motivo è infondato, non solo alla luce delle osservazioni svolte dalla corte di merito, e sopra messe in luce, ma per un’altra decisiva ragione.

La buona fede opera come fonte di integrazione del contratto, oppure come criterio di esecuzione del medesimo, e dunque misura dell’inadempimento.

In entrambi i casi, quello imposto dalla buona fede è un obbligo di lealtà e di salvaguardia delle ragioni altrui: il contraente deve comportarsi in modo da non ledere gli interessi della controparte quando ciò può essere fatto senza sacrifico degli interessi propri.

La ricorrente in realtà non contesta di aver superato i tetti di spesa, e dunque non contesta che, in base alle determinazioni regionali, ha diritto ad una somma minore di quella pretesa inizialmente. Solo ritiene che questa regressione del suo credito è stata comunicata con ritardo, dunque si duole di una negligenza che comunque non incide sull’ammontare di quanto effettivamente spetta a rimborso delle prestazioni sanitarie.

Con la conseguenza che la tardività della comunicazione non ha sacrificato l’interesse della ricorrente al corrispettivo, che, si ripete, era quello oggettivamente rientrante entro le soglie, e non altro; e quel corrispettivo è rimasto tale anche se la comunicazione della decurtazione non è stata tempestiva.

La eventuale violazione dell’obbligo di buona fede (e la stessa corte di merito, a dire il vero, la pone come ipotetica) non è affatto in contrasto con il programma contrattuale, ossia con gli impegni assunti dalle parti e con lo scopo prefissato dalle medesime, poichè è accettato che, in caso di superamento dei tetti di spesa, la regressione va operata; cosi che la sua tardiva comunicazione non ha influenza alcuna sul programma contrattuale consensualmente stabilito.

Medesime conclusioni vanno prese per la questione della retroattività (terzo motivo).

A parte quanto detto sopra, la regressione tariffaria è la conseguenza della determinazione regionale dei tetti massimi di spesa, ossia delle soglie di accreditamento, ed è ovvio che la retroattività semmai è di tale provvedimento, non già della comunicazione di quanto conseguentemente eseguito dalla ASL. Il ricorso va pertanto rigettato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, nella misura di 10200,00 Euro, oltre 200,00 Euro di spese generali, dando atto della sussistenza dei presupposti per il versamento del doppio del contributo unificato.

Così deciso in Roma, il 27 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2019

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