Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.30593 del 22/11/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13014-2018 proposto da:

C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CIPRO 63, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIA AIRO’ FARULLA, rappresentato e difeso dagli avvocati RAIMONDO ALAIMO, ASSUNTA MARIA SILVIA ALAIMO;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE *****, in persona del legale rappresentante in proprio e quale procuratore speciale della SOCIETA’ DI CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI I.N.P.S.

(S.C.C.I.) S.p.A. *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati CARLA D’ALOISIO, ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, EMANUELE DE ROSE, GIUSEPPE MATANO, ESTER ADA VITA SCIPLINO;

– controricorrente –

contro

P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato LUIGI MULONE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 934/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 23/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 07/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott.ssa LEONE MARGHERITA MARIA.

RILEVATO

CHE:

La Corte di appello di Palermo con la sentenza n. 934/2017, per quanto in questa sede rileva, aveva in parte riformato la sentenza con la quale il tribunale di Agrigento aveva condannato P.G., titolare della omonima impresa, a pagare a A.P.N. la complessiva somma di e.4.540,82 ed a C.A. la complessiva somma di e.8.327,40 a titolo di differenze retributive, mensilità accessorie e tfr, per il rapporto di lavoro intercorso dal maggio 2004 al febbraio 2006. La Corte territoriale in parte accogliendo le censure del datore di lavoro, aveva rilevato che l’istruttoria espletata in primo grado non aveva dato sufficienti elementi di prova circa l’avvenuto pagamento di retribuzione inferiore rispetto a quella risultante dai cedolini stipendiali regolarmente consegnati ai lavoratori e da questi sottoscritti. Il giudice d’appello, sulla base della ctu espletata, riduceva le somme oggetto della sentenza impugnata e condannava il datore di lavoro a pagare la minor somma di Euro 5.072,40 all’ A. ed Euro 1695,58 in favore del C.; condannava inoltre il P. a pagare all’Inps i contributi previdenziali omessi, conseguenti alla minor retribuzione riconosciuta, liquidanti in Euro 2.083,04 per A. ed Euro 469,48 per il C..

Avverso tale decisione Crispi Antonino aveva proposto ricorso affidato ad un motivo, anche coltivato con successiva memoria, cui resisteva il P. con controricorso e l’Inps con ulteriore controricorso.

Veniva depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

CONSIDERATO

CHE:

1) Con unico motivo il ricorrente ha dedotto l’erroneità della motivazione per violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per errata valutazione delle prove assunte, decisive per l’esito del giudizio.

Il lavoratore ha rilevato la errata motivazione della sentenza in merito alla inattendibilità dei testi escussi. In particolare ha lamentato la mancata valutazione di quanto dagli stessi dichiarato nonchè l’errato quesito posto al ctu, del tutto inidoneo a conseguire l’accertamento della domanda proposta relativa alle differenze retributive tra quanto risultato dalle buste paga e quanto effettivamente dovuto.

Il motivo risulta inammissibile per più motivi: come già in molte occasioni affermato da questa Corte l’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex multis Cass. n. 19011/2017; Cass.n. 16056/2016).La valutazione richiesta non può neppure trovare sponda sul versante dell’esame della motivazione e della sua denunciata carenza e contraddittorietà, in quanto le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 8053/2014 hanno chiarito che “La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”. L’assenza di precise indicazioni inerenti una delle ipotesi sopra enunciate rende quindi inammissibile la censura.

Il motivo è altresì inammissibile perchè privo di specificità sia con riguardo alle prove testimoniali che alla CTU il cui quesito è stato ritenuto erroneamente formulato: per entrambi non ne è stato riportato nel ricorso il contenuto. Il ricorso è pertanto inammissibile.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in favore di ciascun parte controricorrente nella misura di cui al dispositivo.

Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame (Cass. n. 22035 del 17/10/2014; Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014 e numerose successive conformi);

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate per ciascuno dei controricorrenti in Euro 2.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 7 maggio 2019.

Depositato in cancelleria il 22 novembre 2019

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