LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ARMANO Uliana – Presidente –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 25028-2018 proposto da:
DECA SNC DI D.C.A. E C., in persona del legale rappresentante D.C.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ALESSANDRO VOLTA 45, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE BENEVENTO, rappresentata e difesa dall’avvocato GAETANO BRUNO;
– ricorrente –
contro
G.A., G.G., D.A.;
– intimati –
Nonchè da:
G.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BALDO DEGLI UBALDI, 66, presso lo studio dell’avvocato SIMONA RINALDI GALLICANI, rappresentata e difesa dall’avvocato GIANFRANCO MOBILIO;
– ricorrente incidentale –
contro
DECA SNC DI D.C.A. E C.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 688/2018 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 21/05/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/10/2019 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI.
RILEVATO
che:
F.lli S. s.n.c., poi DECA s.n.c., otteneva dal Tribunale di Salerno il 12 dicembre 2000 decreto ingiuntivo nei confronti di D.A., G.A. e G.G. (questi ultimi due, fratelli) per il pagamento di Euro 120.539,58, oltre interessi, quale corrispettivo per lavori in un immobile che alla società sarebbero stati commissionati dal conduttore D. e dalla proprietaria C.G., di cui i G. – figli – erano poi divenuti eredi.
Ognuno dei tre ingiunti proponeva opposizione; la società si costituiva insistendo.
Il Tribunale, con sentenza del 21 giugno 2010, essendo intervenuta una transazione tra il conduttore e la società, dichiarava cessata la materia del contendere tra la società e il D., e accoglieva le altre opposizioni.
DECA proponeva appello, cui resisteva soltanto G.A., le altre parti restando contumaci. Con sentenza del 21 maggio 2018, la Corte d’appello di Salerno accoglieva parzialmente il gravame, dichiarando cessata la materia del contendere tra DECA e G.G. e tra loro compensando le spese dei gradi; condannava invece l’appellante a rifondere le spese del secondo grado ad G.A..
DECA ha proposto ricorso principale, articolato in due motivi, illustrati anche con memoria.
Si è difesa con controricorso, nel quale introduce pure ricorso incidentale condizionato fondato su un unico motivo, G.A., che a sua volta ha depositato memoria.
CONSIDERATO
che:
1. Il primo motivo del ricorso principale denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 638 e 641 c.p.c., artt. 99 e 104 c.p.c., art. 345 c.p.c., artt. 2041 e 2042 c.c.
La Corte d’appello ha ritenuto inammissibile la domanda ex art. 2041 c.c. perchè nuova, ovvero proposta per la prima volta nella comparsa di risposta del primo grado. In tal modo avrebbe errato, in quanto la domanda sarebbe stata già proposta nel ricorso monitorio, laddove si “argomentava” nei confronti dell’attuale controricorrente di aver agito “per aver comportato il mancato pagamento di un danno economico rilevante, oltre che il depauperamento, alla società ricorrente e, per l’inverso, un indebito arricchimento sia in favore del D.A. che dei proprietari G.”, chiedendo poi che il decreto ingiungesse il pagamento “per le causali di cui in narrativa”.
La domanda fondata sull’art. 2041 c.c. sarebbe stata confermata nella comparsa di risposta e riproposta pure in appello. Infatti, nella opposizione al decreto ingiuntivo, l’attuale controricorrente avrebbe addotto specifici motivi di opposizione contro la domanda di arricchimento senza causa, tra cui l’eccezione di prescrizione, così esprimendosi: “l’azione di indebito avrebbe dovuto comunque essere avviata nel termine di 5 anni dall’intervenuto arricchimento e, quindi, nei cinque anni dalla data di ultimazione”.
Si osserva inoltre che, per valutare e interpretare domande, non si devono tenere in conto soltanto gli atti introduttivi ma anche quelli successivi; è inoltre necessario interpretare una domanda non solo in base alla sua forma letterale, occorrendo tenere in conto pure il suo contenuto sostanziale.
2. Il secondo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 638 e 641 c.p.c., artt. 99 e 104 c.p.c., art. 345 c.p.c., artt. 2041 e 2042 c.c..
Nel caso in cui si ritenesse non proposta la domanda ex art. 2041 c.c. nel ricorso monitorio, si deve tenere in conto che la giurisprudenza di legittimità riconosce che l’opposto può proporla nella comparsa di risposta se discende dalle difese dell’opponente versate nell’atto di opposizione. E nel caso in esame tutti gli opponenti si sarebbero fondati sull’assenza del contratto di appalto.
3. Il ricorso incidentale condizionato presenta un unico motivo che denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione ed errata applicazione degli artt. 342,359,163 e 164 c.p.c.
4.1 Il ricorso principale appare inammissibile sia per difetto di autosufficienza sia per difetto di comprensibilità.
Invero, in riferimento al primo motivo non viene spiegato – e questo porta alla non autosufficienza – come sarebbe stata proposta in sede monitoria la domanda ex art. 2041 c.c.: si trascrive, in effetti, soltanto una parte di un periodo (a pagine 5-6 del ricorso) che costituisce un piccolo stralcio insufficiente per dimostrare che l’arricchimento senza causa era una delle “causali di cui in narrativa” cui fa riferimento un altro inciso riportato a pagina 6 del ricorso. E la carenza di autosufficienza comporta, ovviamente, inammissibilità.
4.2 Per di più – e si passa ora a e evidenziare un globale vizio di incomprensibilità, che pure apporta inammissibilità per difetto di specifica e chiara conformazione – con il terzo motivo d’appello l’attuale ricorrente aveva chiesto che fosse dichiarata cessata la materia del contendere anche nei confronti dell’attuale controricorrente per la intervenuta transazione che avrebbe esplicato i suoi effetti anche su di lei, così come poco prima aveva chiesto che fosse dichiarata la cessazione della materia del contendere con il di lei fratello G.G., il quale a differenza della sorella aveva espressamente dichiarato di accettare la transazione (sulla sua posizione verteva il primo motivo d’appello); ma al contempo, nel secondo motivo d’appello – come viene esposto nel ricorso, a pagina 3 – l’attuale ricorrente aveva insistito per l’ammissibilità e l’accoglimento della domanda ex art. 2041 c.c. nei confronti dei fratelli G., pur ammettendo (nel terzo motivo d’appello, come riportato nel ricorso a pagina 4) che “l’atto di transazione concluso con D.A. integrava una sostanziale remissione del debito ex art. 1301 c.c. anche nei confronti dei germani G.”. Un riquadro di pretese che, in tal modo, diventa palesemente contraddittorio – e dunque, appunto, incomprensibile anche rispetto ai motivi proposti poi nel presente ricorso, entrambi miranti all’ammissibilità della domanda ex art. 2041 c.c.
4.3 La comprensibilità sarebbe stata ancor più necessaria considerato che la corte territoriale, a sua volta, ha deciso in modo non comprensibile quanto alla posizione dell’attuale controricorrente, affermando dapprima che il terzo motivo d’appello riguardava la cessazione della materia del contendere pure nei confronti di lei (si veda nella motivazione a pagina 4, nella parte dedicata allo svolgimento del processo), ma poi esaminando la posizione di G.A. soltanto in rapporto al secondo motivo d’appello (ammissibilità della domanda di arricchimento senza causa), riguardante entrambi i fratelli, e alla fine coinvolgendo proprio anche G.G. (motivazione della sentenza impugnata, pagina 5, cioè nella parte dedicata a illustrare le ragioni della decisione): per cui, si rileva incidenter, in effetti il terzo motivo non è stato esaminato dalla corte territoriale (tematiche queste su cui si fonda pure il ricorso incidentale condizionato).
5. In conclusione il ricorso è palesemente inammissibile, il che assorbe il condizionato ricorso incidentale e conduce alla condanna della ricorrente a rifondere a controparte le spese processuali, liquidate come da dispositivo. Sussistono D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater i presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere a controparte le spese processuali, liquidate in un totale di Euro 2500, oltre a Euro 200 per gli esborsi, al 15% per spese generali e agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2019
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