Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.31077 del 28/11/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23052-2018 proposto da:

Z.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELL’UNIVERSITA’, 11, presso lo studio dell’avvocato ANGELA STANI, rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANNI FALCOMER;

– ricorrente –

contro

BANCA POPOLARE DELL’ALTO ADIGE SOC COOP PER AZIONI, in persona del Direttore della Direzione Crediti Workout B.H., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. FERRARI 35, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO FILIPPO MARZI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIUSEPPE MAIOLINO;

– controricorrente –

e contro

FBS SPA, CAF SPA, BANCA SAN GIORGIO E VALLE AGNO CREDITO COOPERATIVO DI FARA VICENTINO SOC LOOP, Z.S.;

– intimati –

Nonchè da:

GEMINI SPV S.R.L. e per essa la mandataria CAF SPA in persona del procuratore speciale Dott. I.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE ANICIO GALLO, 102, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO POLESE, rapprebentata e difesa dall’avvocato ANTONIO DONVITO;

– ricorrente incidentale –

contro

Z.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELL’UNIVERSITA’, 11, presso lo studio dell’avvocato ANGELA STANI, rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANNI FALCOMER;

– controricorrente all’incidentale –

e contro

BANCA POPOLARE DELL’ALTO ADIGE SPA, FBS SPA, BANCA SAN GIORGIO QUINTO VALLE AGNO CREDITO COOPERATIVO, Z.S.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1521/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 30/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/10/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI.

FATTI DI CAUSA

La Banca Popolare della Marostica, assumendo di essere creditrice della società Zea Color srl, e di Z.S., fideiussore di quest’ultima, in ragione di un decreto ingiuntivo, per una somma pari a 376.561,68 Euro, ha agito verso la Z. per far dichiarare, in primo luogo la simulazione, ed in subordine la revocatoria della vendita di un immobile che la Z. aveva effettuato a favore di una parte, allo scopo, secondo la banca attrice, di sottrarsi alla garanzia patrimoniale.

Il giudice di primo grado ha ritenuto che la vendita fosse simulata sia perchè buona parte del prezzo sarebbe stato corrisposto anni prima rispetto alla vendita, sia perchè il residuo sarebbe stato corrisposto a terzi (sebbene parenti), sia infine per via del rapporto di parentela che legava l’acquirente alla venditrice. Nel giudizio di appello è intervenuta inizialmente la società Gemini PV srl, quale cessionaria del credito della banca, e successivamente al suo posto la mandataria FBS spa.

La corte di appello ha confermato la decisione di primo grado, rigettando tutti i motivi di impugnazione, ma ha ritenuto inammissibile l’intervento di Gemini srl, e per essa, di FBS spa.

La sentenza è impugnata dalla Z. con cinque motivi di ricorso, cui resiste con controricorso la Gemini, che propone ricorso incidentale quanto al capo di sentenza che ha ritenuto inammissibile il suo intervento. V’è controricorso della Banca Popolare Alto Adige.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- La ratio della decisione.

La corte d’appello ripropone gli indici di simulazione della vendita, ossia: che il prezzo è stato corrisposto anni prima, in gran parte; che il residuo, attribuito a terzi, è senza causale certa; che infine il rapporto di parentela tra le parti è indicativo della mera apparenza della vendita.

2.- La ricorrente propone cinque motivi.

Con il primo motivo lamenta soprattutto violazione dell’art. 115 c.p.c., nonchè degli artt. 2721 e 2726 c.c.

Sostiene che la corte non ha posto a base della decisione una prova che invece risultava agli atti; e comunque non l’ha valutata adeguatamente.

Come è noto, in tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. n. 1229/ 2019).

Secondo la ricorrente, nella fattispecie, il giudice di primo grado aveva ammesso i verbali di testimonianza assunti in un procedimento connesso, che attestavano l’effettività della vendita; per contro, la corte di appello, non avrebbe dato alcun peso a tali prove, decidendo come se non ci fossero.

Comunque, ove si ritenesse che la corte ha preso in considerazione quelle prove, o meglio, le ragioni per cui il giudice di primo grado le avrebbe disattese, si tratterebbe pur sempre di una errata valutazione frutto dell’avere erroneamente scambiato prove documentali con prove testimoniali, ed applicato a quelle i limiti di ammissibilità previsti per queste.

Il motivo è infondato.

La ricorrente ritiene che le prove erano state ammesse, ed a dimostrazione di tale assunto, allega un verbale di udienza da cui risulta che le prove erano state ritualmente allegate a verbale dalla parte, circostanza sufficiente a dimostrarne l’avvenuta ammissione.

Dal verbale si evince che il giudice non ha pronunciato sulla allegazione di quei documenti, ma ha semplicemente rinviato per la precisazione delle conclusioni. Dunque, manca del tutto un provvedimento di ammissione della prova, che non può neanche ricavarsi per implicito nel rinvio per precisazione conclusioni.

Altra è ossia la esibizione o allegazione della parte, altra ovviamente l’ammissione della prova.

Non v’era dunque agli atti una prova ammessa in primo grado e di cui il giudice di secondo grado dovesse tener conto.

Conseguentemente, il giudice di appello ha ritenuto correttamente non ammessa la prova testimoniale da parte del giudice di primo grado, sia in ragione della genericità del periodo temporale su cui verteva, sia per via dei limiti di valore imposti per l’ammissione della prova orale.

Va evidenziato che, sebbene trasfuse in un documento, le prove orali tali restano anche quando la produzione in un diverso giudizio è fatta mediante allegazione del relativo verbale.

La fonte di conoscenza del fatto, in pratica, deriva pur sempre dalla narrazione del teste, ed è tale fonte che è circondata dalle cautele di legge, poco importando che questa narrazione avvenga direttamente in forma orale, oppure sia fatta entrare nel processo mediante il verbale di assunzione della prova in diverso procedimento. Ossia: è irrilevante il modo di assunzione della prova testimoniale, che può anche consistere nella produzione della sua documentazione in diverso procedimento; rileva piuttosto la natura propria della fonte di conoscenza.

Lo sfavore della legge verso la testimonianza su contratti che eccedano un certo valore non muta se quella testimonianza è acquisita al processo in forma diversa dalla sua diretta assunzione.

Da questo punto di vista, la corte non ha errato nell’applicare il limite di cui all’art. 2721 c.c. anche alla testimonianza resa in altro giudizio (ma vertente sempre sul medesimo contratto) e documentata attraverso il verbale.

Infine, non è ammissibile la censura rivolta alla corte di merito di non aver comunque ammesso quella prova, o meglio, di aver ritenuto che correttamente il giudice di primo grado non l’ha ammessa, esercitando in modo illegittimo la discrezionalità di giudizio.

La valutazione circa l’ammissione o meno di una prova è una valutazione rimessa alla discrezionalità della corte di merito, che è censurabile in sede di legittimità solo se difetta assolutamente di motivazione.

3.- Secondo e terzo motivo possono esaminarsi congiuntamente.

Con entrambi è lamentata violazione dell’art. 1414 c.c., nonchè artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione alla quietanza di pagamento attestata dal notaio.

In particolare, con il secondo motivo, si censura lo scettiscismo della corte circa la destinazione del pagamento, che è attestato peraltro da quietanza.

La ricorrente assume che il pagamento, sebbene proveniente da un terzo, è pur sempre pagamento, ossia effettivo, e non può dunque trarsene motivo per dichiarare simulata la vendita.

La ratio della decisione è in verità diversa.

Quanto al pagamento di 75.350,00 Euro, ossia la maggior parte del prezzo (la compravendita sarebbe stata per circa 90 mila Euro) la corte ritiene che non vi sia traccia che sia stato effettuato e ritiene inverosimile che quella somma sia stata corrisposta per contanti; quanto al residuo, invece, accertato che sarebbe stato corrisposto dalla sorella, non vi sarebbe però prova della causale di quella modalità di pagamento, ossia non v’era expressio causae del pagamento del terzo.

Dunque, la questione è un’altra.

E’ vero che l’expressio causae non è condizione necessaria per la validità del pagamento del terzo (che, come è noto può avere causa variabile: solutionis, liberalità ecc.), ma qui la corte non trae dalla mancanza di spiegazione causale, cioè della ragione per cui è il terzo e non l’acquirente a pagare, un motivo di nullità dell’atto, piuttosto trae ragione per presumere che è simulato, che è cosa diversa.

La mancata spiegazione del perchè sia un terzo a versare parte del prezzo è elemento che è usato, insieme ad altri, per trarne conclusione circa la simulazione, e questo accertamento è in fatto, 4.- Con il quarto motivo, si denuncia, pur sempre, violazione degli artt. 1414,2697 e 2901 c.c. nonchè artt. 115 e 116 c.p.c.

Secondo la ricorrente la corte avrebbe ritenuto provata la simulazione anche senza che la Banca ne avesse fornito prova.

Si tratta di un motivo inammissibile, anche nella parte in cui sembra adombrare una inversione dell’onere della prova, che la corte in realtà non ammette, non ponendo affatto a carico del convenuto un onere di dimostrare la simulazione che incombe invece a chi agisce.

La corte trae prova della simulazione da una serie di indizi, quelli già valutati in tal senso in primo grado, e basa la sua conclusione su elementi comunque esistenti in atti, il che esclude ovviamente inversione dell’onere della prova.

Per il resto, il giudizio sul valore indiziante degli elementi usati (rapporto di parentela tra le parti, prezzo pagato, eventualmente in contanti anni prima, ecc.) è rimesso alla discrezionalità del giudice di merito, ed è qui insindacabile.

5.- Il quinto motivo presuppone esame del ricorso incidentale, che verte sulla medesima questione.

Il ricorso incidentale lamenta erronea decisione quanto alla inammissibilità dell’intervento della Gemini SPV srl, che era cessionaria del credito.

Il motivo di ricorso incidentale è infondato.

Infatti, è regola che,sia nella causa di simulazione che in quella di revocatoria dell’atto compiuto dal debitore, proprio perchè l’esito è solo l’inefficacia dell’atto nei confronti del creditore, qualora la parte attrice ceda il proprio credito nel corso del giudizio, è inammissibile l’intervento in causa del cessionario, atteso che il diritto controverso non è il diritto di credito,ma il diritto alla declaratoria di inefficacia dell’atto che si assume pregiudizievole, sicchè il cessionario non subentra automaticamente nel diritto controverso, non trovando applicazione l’art. 111 c.p.c. (Cass. 29637/2017; Cass. 16652/2014).

Corretta risulta dunque la dichiarazione di inammissibilità dell’intervento, ma nello stesso tempo risulta infondato il motivo quinto di ricorso che censura la sentenza per avere compensato le spese, pur dichiarando inammissibile l’intervento della Gemini PV. In realtà, il regime delle spese non è dettato qui, come è evidente, dal criterio della soccombenza, non avendo la corte rigettato la domanda di Gemini SPV srl, ma discende dal rilievo della sua inammissibilità, cosicchè la compensazione può trovare giustificazione nel fatto stesso della inammissibilità per ragioni processuali, piuttosto che essere giustificata da ragioni sostanziali (Cass. 4251/2010).

Vanno pertanto rigettati sia il ricorso principale che quello incidentale.

P.Q.M.

La Corte rigetta sia il ricorso principale che quello incidentale. Compensa le spese. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento del doppio del contributo unificato.

Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2019

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