LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –
Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –
Dott. CIGNA Mario – Consigliere –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 5242/2018 proposto da:
SIC SOCIETA’ ADRIATICA IMPIANTI E CAVE SPA, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore Ing. P.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GUIDO D’AREZZO 2, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELLA DIANA DI TARSIA DI BELMONTE, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati MIRCA TOGNACCI, ROBERTO FARISELLI;
– ricorrente –
contro
SACE BT SPA, in persona del Direttore Generale e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA ISTRIA 2, presso lo studio dell’avvocato ANTONIETTA TARANTINO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 6879/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 30/10/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 08/10/2019 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI.
RILEVATO
che:
la S.I.C. Società Adriatica Impianti e Cave s.p.a., premesso di avere stipulato con la SACE BT s.p.a. una polizza “Multimarkert Globale” a copertura dei rischi derivanti dal mancato pagamento di fatture da parte dei propri clienti, convenne in giudizio l’assicuratrice per sentirla condannare al pagamento di 569.598,94 Euro, oltre interessi ex D.Lgs. n. 231 del 2002, a fronte di insoluti relativi alle posizioni Italcantieri s.p.a. ed Ermini s.p.a.;
il Tribunale di Roma accolse parzialmente la domanda, condannando la SACE BT al pagamento di 233.216,62 Euro, oltre interessi legali, con integrale compensazione delle spese;
la Corte di Appello ha confermato la sentenza di primo grado, osservando – fra l’altro – che:
premesso che – relativamente al sinistro Italcantieri – il primo giudice aveva ritenuto sussistente la copertura assicurativa soltanto per le fatture aventi un termine di pagamento compreso nel periodo massimo di 150 giorni, risultava inammissibile ai sensi dell’art. 345 c.p.c., in quanto introducente una domanda nuova, la deduzione della S.I.C. s.p.a. secondo cui l’indennizzo sarebbe spettato anche nelle ipotesi in cui i termini di pagamento fossero compresi nel periodo massimo di proroga di cui al punto 2.4 della polizza, coincidente con il novantesimo giorno dalla fine del mese di scadenza originaria;
quanto al sinistro Ermini, il Tribunale aveva correttamente ritenuto di non poter utilizzare come fonti di prova le fatture depositate il 18.7.2011, essendo pacifico che le stesse non erano state prodotte al momento della costituzione in giudizio e non essendovi prova che fossero state tempestivamente depositate nel termine di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, n. 2;
la prova del credito vantato dalla S.I.C. s.p.a. non poteva essere ricavata da note e quietanze inviate dalla SACE, non aventi valore di riconoscimento di debito;
ha proposto ricorso per cassazione la S.I.C. Società Adriatica Impianti e Cave s.p.a., affidandosi a tre motivi illustrati da memoria; ha resistito, con controricorso, la SACE BT s.p.a..
CONSIDERATO
che:
il primo motivo denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c.: la ricorrente contesta che la deduzione circa l’operatività della clausola n. 2.4 della polizza (comportante -secondo l’assunto della S.I.C. – la copertura assicurativa anche in ipotesi di termini di pagamento superiori a 150 giorni, nel caso in cui l’assicurato avesse concesso ai propri clienti proroghe di ulteriori novanta giorni) avesse introdotto nel giudizio di gravame una domanda nuova; assume, infatti, che il divieto di introduzione di nova in appello non può essere esteso alle “nuove argomentazioni difensive (…), potendo i fatti su cui esse si basano e risultanti dalle acquisizioni processuali essere rilevati d’ufficio dal giudice alla stregua delle eccezioni in senso lato o improprie”; rileva, in altri termini, che “quella svolta dalla Sicò, in definitiva, è un’argomentazione difensiva che muove – tenuto conto delle motivazioni adottate dalla sentenza del Giudice di prime cure – dal contratto dedotto in giudizio”, senza introdurre “un nuovo tema di indagine, trattandosi, al contrario, di un aspetto che il Giudice di prime cure avrebbe dovuto comunque prendere in esame, al fine di valutare, o meno, la fondatezza della domanda attorea e delle contestazioni avversarie, alla luce del regolamento negoziale in atti”;
il motivo è fondato, dato che la domanda originaria è rimasta immutata nel petitum e nella causa petendi e l’appellante si è limitata a spendere una nuova argomentazione difensiva (sulla cui eventuale fondatezza avrebbe dovuto pronunciare la Corte di Appello, sulla base del corredo probatorio in atti); non risulta rilevante – in senso contrario – la circostanza che tale argomentazione introducesse un nuovo tema di indagine, trattandosi di effetto insito in ogni nuova argomentazione e non incompatibile con i poteri del giudice di appello, che può conoscere nel merito (ancorchè nell’ambito tracciato dai motivi) anche in relazione a profili non esaminati dal giudice di primo grado (cfr. Cass. n. 13902/2013 e Cass. n. 19678/2008);
col secondo motivo (che denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo), la ricorrente censura la sentenza nella parte in cui – in riferimento alla posizione Ermini s.p.a.- ha ritenuto non raggiunta la prova del credito in conseguenza del mancato tempestivo deposito delle fatture non pagate: rileva che “la Corte territoriale non ha affatto considerato che il Giudice di primo grado, con ordinanza del 7 luglio 2011, aveva autorizzato la Sic ai deposito dei documenti in questione, assegnandole, per l’incombente, termine fino al 20 luglio 2011” e che il deposito era stato effettuato il 18 luglio e la controparte aveva replicato senza sollevare rilievi sulla tempestività del deposito; aggiunge che le affermazioni della Corte di Appello circa la questione della violazione degli artt. 74 e 87 disp. att. c.p.c., in relazione alle produzioni precedenti risultava superata dal deposito effettuato il 18 luglio 2011;
il motivo è inammissibile in quanto individua come fatto decisivo una circostanza (quella della idoneità della produzione effettuata il 18.7.2001 ad impedire decadenze) che ha costituito oggetto di una valutazione (negativa) da parte della Corte di Appello, risultando pertanto esclusa la possibilità di prospettare un’ipotesi di omesso esame di fatto decisivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5;
il terzo motivo denuncia la,,iolazione dell’art. 1965 c.c. e la “violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, per omessa motivazione”, in riferimento alla parte della sentenza che ha escluso valenza di riconoscimento di debito a missive e a bozze di quietanze inviate dalla SACE BT: assume ricorrente che l’invio delle due quietanze non rappresentava affatto una proposta transattiva, bensì “una vera e propria ricognizione di debito” e che le quietanze altro non erano “se non la rigida applicazione dei criteri di liquidazione degli indennizzi ritenuti corretti dalla Sace”;
il motivo è inammissibile in relazione ad entrambi i profili:
non individua in modo specifico l’errore di diritto in cui risulterebbe integrata la violazione o falsa applicazione dell’art. 1965 c.c. e appare volto piuttosto a contrastare un apprezzamento di merito del giudice di appello;
il motivo è svolto senza ottemperare all’onere di cui all’art. 366, c.p.c., n. 6, giacchè le quietanze non risultano adeguatamente trascritte;
nè ricorre carenza di motivazione dato che la Corte di Appello ha reiteratamente preso posizione sul punto e illustrato le ragioni del proprio convincimento (cfr. pagg. 12 e 16-17 della sentenza);
dichiarata pertanto l’inammissibilità del secondo e del terzo motivo, deve accogliersi il primo, con cassazione della sentenza in relazione ad esso e rinvio alla Corte territoriale, che provvederà anche sulle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte, dichiarati inammissibili gli altri motivi, accoglie il primo, cassa in relazione ad esso e rinvia, anche per le spese di lite, alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2019
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