LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. SCOTTI Umberto Luigi – Consigliere –
Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 715/2016 proposto da:
B.V., e G.T., in proprio ed in qualità di soci della Sci.al. S.r.l. in liquidazione, elettivamente domiciliati in Roma, Piazza Cavour n. 17, presso lo studio dell’avvocato Canfora Maurizio, rappresentati e difesi dall’avvocato Franchina Gaetano, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
F.G.;
– intimato –
e contro
Unicredit S.p.a., nuova denominazione assunta da UNICREDIT CREDIT MANAGEMENT BANK S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Fontanella Borghese n. 72, presso lo studio dell’avvocato Voltaggio Antonio, rappresentata e difesa dall’avvocato Monterosso Tito, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1619/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 28/11/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/09/2019 dal cons. Dott. FALABELLA MASSIMO.
FATTI DI CAUSA
1. – Con sentenza del 18 settembre 2008 il Tribunale di Siracusa definiva due giudizi riuniti.
Il primo, proposto da SCI.AL. s.r.l., B.V. e G.T. nei confronti di Banco di Sicilia s.p.a., concerneva la rideterminazione del saldo di un conto corrente intrattenuto dalla società con la predetta banca – conto corrente le cui obbligazioni erano state garantite da fideiussione prestata dagli altri attori -, nonchè la restituzione degli importi che si assumevano essere stati indebitamente corrisposti nel corso del rapporto. In tale giudizio Banco di Sicilia aveva proposto domanda riconvenzionale chiedendo la condanna degli attori, in solido tra loro, al pagamento, in proprio favore, della somma di Lire 66.388.677.
Il secondo aveva ad oggetto l’opposizione spiegata dagli attori del primo giudizio al decreto ingiuntivo emesso il 24 aprile 2003 dallo stesso Tribunale per l’importo di Euro 29.014,16.
La predetta sentenza accertava il mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte dei contendenti, i quali non avevano prodotto gli estratti conto; per l’effetto revocava il decreto ingiuntivo e condannava la banca opposta alla restituzione, in favore della società, della somma di Euro 33.718,09 che era stata corrisposta in forza del decreto ingiuntivo emesso.
2. – La banca proponeva impugnazione e l Corte di appello di Catania riformava la sentenza impugnata con riferimento alla statuizione avente ad oggetto la restituzione della somma sopra indicata. Il giudice del gravame rilevava, in sintesi, che il predetto importo non era stato versato dall’intimata ma da un soggetto terzo, estraneo al giudizio.
3. – B.V. e G.T., in proprio e nella qualità di soci della società SCI.AL., cancellata dal registro delle imprese, hanno impugnato per cassazione la pronuncia della Corte catanese facendo valere due motivi. Resiste con controricorso Unicredit s.p.a., rappresentata in giudizio da Dobank s.p.a., che è subentrata nella posizione già facente capo a Banco di Sicilia. Le deduzioni delle parti sono illustrate da memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè omessa pronuncia circa la domanda preliminare in rito proposta dagli appellati circa la declaratoria di inammissibilità dei motivi di appello. Rilevano ricorrenti che la sentenza impugnata aveva omesso di statuire sul tema della opposta inammissibilità dei motivi di gravame circa la condanna alla restituzione delle somme pagate a Banco di Sicilia” giacchè coperti da giudicato. Gli istanti spiegano che la richiesta di riforma della sentenza da parte di Aspra Finance, all’epoca legittimata, riguardava il solo capo della sentenza con cui era stata disposta la restituzione di quanto ricevuto dalla banca ingiungente in conseguenza della revoca del provvedimento monitorio. Osservano che il capo relativo alla revoca del decreto non era stato gravato di appello e che, in sintesi, a fronte del giudicato prodottosi sul punto, la pronuncia restitutoria avrebbe dovuto restar ferma.
Il motivo non merita accoglimento.
Va detto, anzitutto, che il mancato esame, da parte del giudice del merito, di una questione puramente processuale non può dar luogo ad omissione di pronuncia, configurandosi quest’ultima nella sola ipotesi di mancato esame di domande o eccezioni di merito (Cass. 14 marzo 2018, n. 6174; Cass. 12 gennaio 2016, n.:321; Cass. 10 novembre 2015, n. 22952).
E’ vero, però, che l’omesso apprezzamento di una tale questione può configurare un vizio della decisione per violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c. circa la soluzione implicitamente data dal giudice alla problematica prospettata (cfr. Cass. a 2 gennaio 2016, n. 321 cit.; Cass. 24 febbraio 2006, n. 4191).
Il ragionamento svolto col motivo pare poggiare sul convincimento che la revoca del decreto ingiuntivo implichi, di necessità, la pronuncia restitutoria avente ad oggetto le somme versate dall’intimato in forza del provvedimento monitorio successivamente caducato. Ciò non è esatto, dal momento che una siffatta statuizione dipende pur sempre da un accertamento (il quale può investire vari profili, oggetto di contestazione, primo tra tutti quello dell’effettiva esistenza del pagamento): e infatti, si richiede che chi intenda ottenere la restituzione di quanto pagato in esecuzione della sentenza di primo grado formuli un’apposita domanda in tal senso, ovvero attivi un autonomo giudizio (Cass. 10 luglio 2018, n. 18062; Cass. 16 giugno 2016, n. 12387).
2. – Il secondo mezzo censura la sentenza impugnata per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti. Si sostiene, richiamando plurimi atti processuali, che l’importo di cui al decreto ingiuntivo opposto, poi revocato, era stato pagato con fondi di proprietà della società SCI.AL. e che, pertanto, risultava essere corretta la statuizione del giudice di prime cure che ne aveva ordinato la restituzione.
Il motivo non appare fondato.
La Corte di appello ha escluso che l’importo versato in esecuzione del decreto ingiuntivo potesse essere restituito: e ciò ha fatto attribuendo rilievo dirimente al fatto che il pagamento era stato eseguito da un terzo, la società New Market s.r.l..
Il ricorrente ha ricordato di aver dedotto, nella propria comparsa di risposta in appello, che la somma era stata versata, “con provvista degli obbligati principali” al fine di consentire a liberazione di un immobile, venduto a un terzo, dall’ipoteca su di esso iscritta in forza del decreto ingiuntivo. Nel ricorso è poi spiegato come l’acquirente del bene, in forza di un accordo intercorso con gli odierni ricorrenti, sarebbe entrato nella disponibilità della somma, posta a sua disposizione da B.A., e poi utilizzata per la suddetta liberazione.
Ora, in ipotesi di estinzione dell’obbligazior e per adempimento di un terzo, secondo la previsione dell’art. 1180 c.c., e, cioè, ad opera di un soggetto estraneo al rapporto, che intervenga spontaneamente ed unilateralmente in nome proprio e non in rappresentanza del debitore, il pagamento resta riferibile al terzo medesimo, al quale, pertanto, spetta l’azione di ripetizione di indebito oggettivo, ai sensi e nel concorso delle condizioni degli artt. 2033 e ss. (Cass. 7 luglio 1980, n. 4340). E’ ben vero che l’azione di restituzione degli importi che si assumono versati in esecuzione del provvedimento caducato nel corso del giudizio non è del tutto sovrapponibile alla condictio indebiti (giacchè, per un verso, essa si ricollega ad una specifica ed autonoma esigenza di restaurazione della situazione patrimoniale antecedente e, per altro verso, il comportamento dell’accipiens non si presta a una valutazione di buona o mala fede ai sensi dell’art. 2033 c.c.: cfr., tra le tante: Cass. 23 marzo 2010, n. 6942; Cass. 28 novembre 2003, n. 18238; Cass. 6 aprile 1999, n. 3291); ma gli elementi di difformità tra la fattispecie che qui viene in esame e l’istituto sopra richiamato non valgono a giustificare la deroga al principio per cui è chi esegue il pagamento non dovuto (o il soggetto a cui esso è imputabile, nel caso in cui la solutio sia operata dal rappresentante o dall’ausiliario) a poterne chiedere la restituzione: principio certamente operante anche nel caso in cui l’adempimento sia attuato a seguito della pronuncia di un provvedimento giudiziale che lo prescriva.
In base alle regole generali, un diritto di ripetizione del terzo si potrebbe semmai configurare ove il pagamento sia attuato su mandato del detto terzo: e ciò in quanto, a mente dell’art. 1705 c.c., comma 2, il mandante può surrogarsi nei diritti del mandatario verso il terzo, salvo che ciò pregiudichi i diritti del mandatario stesso. Tuttavia, il ricorso per cassazione non fornisce indicazioni in tal senso: a parte il fatto che l’asserita somministrazione della provvista per il pagamento da parte dell’obbligata (circostanza di cui la Corte di merito non dà atto e che in questa sede è contestata) non implicherebbe che il versamento trovi fondamento in un repporto di mandato tra New Market (cessionaria dell’immobile e SI.AL (o B.) – giacchè l’acquirente del bene aveva un interesse proprio alla cancellazione dell’ipoteca -, l’istante non ricostruisce in tali termini la vicenda occorsa e non deduce affatto che l’esistenza di tale mandato fosse stata prospettata nel precedente corso del giudizio. Nel corpo del secondo motivo i ricorrenti sottolineano di aver documentato una diversa evenienza, e cioè che il pagamento fu eseguito, su incarico di B.A. e SCI.AL., dal notaio che aveva steso il rogito di compravendita immobiliare. Tale difesa non è tuttavia concludente, giacchè si traduce nella confutazione un accertamento di fatto del giudice del merito quello per cui il pagamento era stato invece attuato da New Market. E l’accertamento in questione, oltre ad essere insindacabile in questa sede, non è nemmeno avversato da una censura munita di autosufficienza, avendo i ricorrenti mancato di chiarire come, al di là della asserita produzione documentale, abbiano dedotto nel corso del giudizio di merito quanto in questa sede sostenuto.
3. – Il ricorso è in conclusione respinto.
4. – Le spese di giudizio seguono la soccombenza.
PQM
LA CORTE rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrerte, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione prima Civile, il 24 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2019