Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.31658 del 04/12/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12733/2015 proposto da:

O.A.L., domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato Balsano Lanza di Scalea Fortunata, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Findomestic Banca S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Viale Maresciallo Pilsudski n. 118, presso lo studio dell’avvocato Statizzi Antonio, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Gambi Francesco, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5057/2014 del TRIBUNALE di PALERMO, del 22/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/07/2019 dal cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 5214/2011 il Giudice di Pace di Palermo ha condannato la Findomestic Banca s.p.a. a pagare ad O.A.L. la somma complessiva di Euro 3.372,56, quale importo conseguente all’utilizzo delle carte di credito revolving (intestate all’ O. ed a questa rubate) nel periodo dalla data del furto alla data della comunicazione dello stesso alla società emittente.

Il Tribunale di Palermo in composizione monocratica, quale giudice d’appello, in accoglimento dell’impugnazione proposta da Fin Domestic Banca s.p.a., ha rigettato le domande svolte dalla sig.ra O., condannandola alla ripetizione delle somme riscosse dall’appellante in conseguenza delle sentenza di primo grado riformata, oltre agli interessi legali.

Il giudice d’appello ha evidenziato che la condotta della sig.ra O., la quale aveva comunicato alla società emittente la carta di credito il furto della medesima dopo ben diciassette giorni dalla sottrazione (e non immediatamente, come previsto dal regolamento negoziale), aveva integrato gli estremi della colpa grave, con la conseguenza che la utilizzatrice era tenuta rifondere alla Banca emittente quanto quest’ultima avesse dovuto pagare agli esercenti convenzionati in virtù delle operazioni abusivamente compiute nel periodo successivo al furto e sino alla comunicazione dello stesso.

Il giudice d’appello ha altresì riformato la statuizione con cui il giudice di primo grado aveva accolto la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale proposta dalla sig.ra O. nei confronti della Banca, osservando che la cliente non aveva fornito alcuna prova di essere stata iscritta al CRIF o di aver subito un ulteriore e diverso nocumento.

Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione O.A.L. affidandolo a tre motivi.

La Fin Domestic Banca s.p.a. si è costituita in giudizio con controricorso.

La ricorrente ha depositato la memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1269 e 1176 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La ricorrente, dopo un excursus sulla natura giudica dell’operazione sottesa all’utilizzo della carta di credito (riconducibile alla delegazione di pagamento ex art. 1269 c.c.), e dopo essersi soffermato sugli obblighi giuridici e sulle responsabilità gravanti sulle parti del rapporto contrattuale, ha rilevato che il titolare della carta di credito, in caso di sottrazione del documento contro la sua volontà, è esente da ogni responsabilità, ove non responsabile di negligenza nella custodia della stessa carta.

Nel caso di specie, l’unica negligenza ascrivibile alla ricorrente è la comunicazione non tempestiva dell’avvenuto furto, che integra, tuttavia, solo una colpa lieve e non grave.

2. Il motivo è inammissibile.

Va osservato che il motivo, nel soffermarsi per la quasi totalità della sua trattazione sulla natura giudica dell’operazione sottesa all’utilizzo della carta di credito, non contiene, in realtà, alcuna espressa doglianza nei confronti della sentenza impugnata, non svolgendo quindi alcuna critica delle sue statuizioni.

Soltanto nella parte finale viene censurata in modo generico la valutazione di colpa grave effettuata dal giudice d’appello, ma senza un’illustrazione della dedotta violazione di legge.

In proposito, questa Corte ha già affermato che il ricorso per cassazione esige l’illustrazione del singolo motivo, contenente l’esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata, e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (vedi Cass., 19/8/2009, n. 18421).

3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1227 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Lamenta la ricorrente che nel caso concreto tutta la responsabilità non può ricadere sul titolare della carta di credito per il ritardo con il quale ha denunciato il furto, essendo il commerciante venuto meno agli obblighi di diligenza minima che si concretano nella verifica dell’identità del cliente e della grossolana diversità della firma apposta sulla memoria di spesa, ed essendo la Banca parimenti negligente. Inoltre, invocando la limitazione di responsabilità fino a 150 Euro, prevista dal contratto in caso ritardo nella denuncia del furto, la ricorrente ha reiterato la doglianza che la sua condotta non è sussumibile nella colpa grave.

4. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2051 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La ricorrente invoca il caso fortuito, intendendo per tale il comportamento del terzo (esercente ed emittente) che abbia avuto un’efficacia causale nella produzione del danno.

Invoca l’esclusione della sua colpa per effetto della colpa più grave sopravvenuta dei commercianti (che non hanno verificato l’identità del possesso della carta e l’autenticità della firma) e della banca. Evidenzia che gli acquisti sono avvenuti solo dopo un’ora dal furto della carta di credito, con la conseguenza che se anche il titolare avesse dato tempestivamente notizia del furto, non avrebbe comunque potuto impedire i primi acquisti.

5. Il secondo ed il terzo motivo, da esaminare unitariamente in relazione alla stretta connessione delle questioni trattate, sono inammissibili.

In primo luogo, dall’esame della sentenza impugnata non emerge traccia che siano state sollevate innanzi ai giudici di merito, sia sotto il profilo fattuale che in diritto, le questioni del concorso del fatto colposo del creditore, a norma dell’art. 1227 c.c. (con riferimento sia al commerciante che alla banca), del caso fortuito, dell’orario dei primi acquisti dopo che si era verificato il furto della carta di credito.

Orbene, è principio consolidato di questa Corte che i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel thema decidendum del precedente grado del giudizio, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass., 17/01/2018, n. 907; Cass., 09/07/2013, n. 17041). Ne consegue che, ove nel ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di specificità del motivo, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, nonchè il luogo e modo di deduzione, onde consentire alla S.C. di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass., 13/06/2018, n. 15430).

La ricorrente non ha minimamente adempiuto a tale obbligo di allegazione, non avendo neppure allegato di aver dedotto tali questioni innanzi ai giudici di merito.

Inoltre, la ricorrente, nell’affermare che il regolamento negoziale prevedeva una limitazione di responsabilità sino a 150 Euro anche in caso di ritardo nella comunicazione del furto della carta di credito, ha inammissibilmente prospettato una differente interpretazione del testo del contratto, non considerando che l’interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, che è incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di emeneutica contrattuale, di cui agli artt. 1362 c.c. e ss., o in caso di motivazione inadeguata, ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell'”iter” logico seguito per giungere alla decisione (Cass. n. 10554 del 30/04/2010), o, secondo il testo novellato dell’art. 360 c.p.c., comma 5, n. 1, in caso di omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti (Cass. n. 14355 del 14/07/2016).

Nel caso di specie, la ricorrente neppure ha allegato una violazione da parte del giudice d’appello dei canoni legali di ermeneutica contrattuale o un vizio di motivazione.

Infine, la reiterata censura della ricorrente (nel secondo motivo), secondo cui la sua condotta non sarebbe sussumibile nella colpa grave è inammissibile per quanto già illustrato al punto 2.

6. Con il quarto motivo è stata dedotta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1713 c.c., e D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 119 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Lamenta la ricorrente che il giudice di secondo grado, avendo ritenuto configurabile a suo carico la colpa grave, ha ritenuto assorbita ogni valutazione effettuata dal giudice di prime cure sui mezzi istruttori, così ritenendo irrilevanti mezzi di prova ritenuti determinanti dal giudice di primo grado.

Sostiene altresì la ricorrente che, a differenza di quanto affermato dal giudice di secondo grado, non è stata raggiunta la prova che la Banca abbia pagato gli esercenti, che la stessa banca abbia subito un danno, mentre, d’altro canto, è indubitabile il danno dalla medesima sofferto per l’iscrizione del suo nominativo nei registri degli insolventi bancari.

7. Il motivo è inammissibile.

La ricorrente, nel dolersi delle valutazioni del giudice d’appello in ordine all’adempimento degli oneri probatori (sia riguardo ai danni subiti dalla banca che quelli dalla stessa lamentati), non ha fatto altro che formulare censure di merito, in quanto finalizzate a sollecitare una diversa valutazione del materiale probatorio esaminato dai giudici di merito e ad accreditare una diversa ricostruzione fattuale della vicenda processuale.

La declaratoria d’inammissibilità del ricorso comporta la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 1.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2019

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