LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
Dott. CIRILLO Francesco Mario – Consigliere –
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3869/2018 R.G. proposto da:
R.G., R.A., M.G. e R.L., rappresentati e difesi dall’Avv. Vincenzo Esposito, con domicilio eletto in Roma, Via dell’Elettronica, n. 20, presso lo studio dell’Avv. Giuseppe Piero Siviglia;
– ricorrenti –
contro
UnipolSai Assicurazioni S.p.A., rappresentata e difesa dall’Avv. Italo Benigni, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Vittoria Colonna, n. 18;
– controricorrente –
e nei confronti di C.O.;
– intimato –
avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli n. 4709/2017, depositata il 16 novembre 2017;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 settembre 2019 dal Consigliere Dott. Iannello Emilio.
RILEVATO
che:
1. La Corte di appello di Napoli ha rigettato l’appello interposto da R.G., R.A. e R.L. e da M.G. confermando la sentenza con la quale il Tribunale di S. Angelo dei Lombardi aveva rigettato le domande risarcitorie a vario titolo proposte dai predetti contro C.O. e la Fondiaria Sai S.p.a. per i danni subiti a seguito del sinistro stradale occorso in data 18/7/2001, allorquando il conducente dell’autogru di proprietà del C. e assicurato per la r.c.a. dalla Fondiaria, non avvedendosi della caduta di R.G. dal ciclomotore alla guida del quale stava percorrendo la stessa via nell’opposto senso di marcia (caduta causata, secondo la prospettazione degli attori, dalla vista in curva del mastodontico mezzo che viaggiava a centro strada), lo investiva causandogli gravissime lesioni agli arti inferiori.
I giudici d’appello hanno infatti rilevato che dalle prove acquisite e dalla stessa prospettazione degli attori emergeva che:
– l’autogru percorreva un tratto di strada in salita con una notevole pendenza e stava affrontando una semicurva a sinistra mentre il ciclomotore condotto dal R. proveniva dalla opposta corsia di marcia, in discesa e con curva destrorsa;
– la caduta del R. dal ciclomotore non fu causata dall’impatto con il camion e l’urto del ciclomotore contro la fiancata sinistra del camion si verificò pertanto dopo che il motorino era caduto a terra avendone il conducente perso il controllo;
– la tesi degli attori, secondo cui la caduta fu causata dal fatto che il camion viaggiava a centro strada e costrinse pertanto il R. a una manovra di emergenza, era rimasta indimostrata ed era anzi smentita dall’emergenza contraria secondo cui sia al momento dell’impatto, che in quello immediatamente precedente dell’avvistamento da parte del conducente del ciclomotore e della caduta dello stesso, l’autocarro si trovava in posizione tale da non creare alcun intralcio;
– dalla posizione assunta dopo l’urto dai due mezzi si evinceva in particolare che sia la parte anteriore che quella centrale del camion, sotto la quale andò a scivolare il ciclomotore (mentre il R. veniva investito dalla ruota anteriore sinistra del camion stesso) erano interamente nella corsia di marcia percorsa dal camion e in immediata prossimità del margine destro della corsia medesima, essendone leggermente discosta la sola porzione posteriore “ma comunque in posizione tale da non invadere il centro strada e men che mai la opposta corsia, ma anzi lasciando uno spazio stradale di mt 2,45, più che sufficiente a consentire il completamento della curva da parte del motorino proveniente dalla corsia opposta”;
– la diversa opinione espressa dal consulente tecnico di parte degli appellanti, secondo cui lo spazio lasciato libero dalla porzione posteriore del camion sarebbe stata di mt 1,70, non sarebbe comunque idonea a comportare una diversa valutazione del fatto, atteso che l’impatto tra i due mezzi si verificò contro la parte centrale del camion, sita interamente all’interno della propria corsia;
– in ogni caso, “a tutto voler concedere”, anche detto minor spazio (mt 1,70) avrebbe consentito il passaggio del motorino, non essendo pertanto giustificata, nè dimostrata, la “manovra d’emergenza” cui vorrebbe addebitarsi la caduta;
– la posizione dei veicoli sopra descritta e la notevole pendenza della strada, percorsa in salita dal camion e in discesa dal ciclomotore, evidenziano che il camion non poteva che procedere – come del resto incontestato – a velocità estremamente moderata; mentre il ciclomotore (come desumibile dalle tracce di scarrocciamento rinvenute in loco, dal rotolamento del corpo del giovane sotto la ruota anteriore sinistra del camion, dal trascinamento del motorino per alcuni metri) viaggiava a velocità non prudenziale e non adeguata alle circostanze di tempo e di luogo.
Sulla base di tali rilievi hanno pertanto ritenuto che il negligente comportamento di guida del R. fosse stato causa unica del grave evento dannoso occorsogli e che all’altro conducente non fosse addebitabile alcuna colpa.
2. Avverso tale decisione R.G., R.A. e R.L. e M.G. propongono ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui resiste UnpolSai Ass.ni S.p.a. (già Fondiaria Sai), con controricorso.
L’altro intimato non svolge difese nella presente sede.
3. Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.
I ricorrenti e la controricorrente hanno depositato memorie ex art. 380-bis c.p.c., comma 2.
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione e/o falsa applicazione dell’art. 111 Cost., comma 6, e dell’art. 2054 c.c., comma 2.
Lamentano che erroneamente la Corte d’appello, affidandosi a meri ipotetici postulati, ha ritenuto che il convenuto avesse offerto prova idonea a superare la presunzione di colpa concorrente posta a carico del conducente del camion dalla citata norma codicistica.
Sostengono che “se la Corte territoriale avesse fatto buona applicazione… (della norma citata, n.d.r.)… avrebbe rilevato, anche previa nomina di indispensabile c.t.u…. ricostruttiva, che l’autogru era stata causa scatenante dell’evento (occupando gran parte della carreggiata percorsa da ( R.G.) che, avvistato il mastodontico veicolo, aveva perso il controllo del suo motorino, che lanciava contro la parte posteriore del camion e, rimasto a terra prima dell’impatto, veniva investito)”.
2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione e/o falsa applicazione dell’art. 111 Cost., comma 6, e dell’art. 345 c.p.c., comma 3.
Sostengono che, per l’esame dei rilievi metrici, avrebbe dovuto ritenersi indispensabile, anche ai sensi dell’art. 345 c.p.c., comma 3, e alla luce dei principi al riguardo affermati da Cass. Sez. U. 04/05/2017, n. 10790, la nomina di un c.t.u..
3. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano infine, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 111 Cost., comma 6, dell’art. 157 c.p.c., comma 2, artt. 244 e 246 c.p.c. e degli artt. 2722 e 2723 c.c..
Lamentano che la Corte d’appello ha omesso di motivare sulla richiesta, reiterata in appello, di assunzione della prova testimoniale in persona di C.S., conducente dell’autogru, già dedotta in primo grado con la memoria ex art. 184 c.p.c. e non ammessa dal Tribunale per la ritenuta incapacità del predetto a testimoniare ex art. 246 c.p.c., in accoglimento della eccezione al riguardo opposta da controparte.
Rilevano che tale ultima eccezione – che aveva condotto alla revoca, da parte del primo giudice, dell’ordinanza che aveva ammesso detta prova – avrebbe dovuto considerarsi tardiva poichè opposta, non con la memoria depositata nel secondo termine ex art. 184 c.p.c. ma solo dopo che il giudice aveva pronunciato sulle richieste istruttorie ammettendo anche il predetto teste.
4. I primi due motivi, congiuntamente esaminabili in quanto intimamente connessi, sono inammissibili, sotto diversi profili.
4.1. Anzitutto perchè non si confrontano con l’ampia e chiara motivazione della sentenza impugnata, la quale, lungi dal fondarsi su assunti meramente ipotetici o dall’esprimersi in termini dubitativi che lascino emergere lacune nell’accertamento del fatto, dà specificamente conto delle ragioni e degli elementi sui quali fonda il convincimento positivo che il conducente dell’autogru abbia nell’occorso tenuto comportamento esente da qualsiasi addebito di colpa.
Mette conto peraltro rimarcare che tale ricostruzione muove dal rilievo (pacifico in causa) che la caduta del R. dal ciclomotore non fu causata dall’impatto con il camion e l’urto del ciclomotore contro la fiancata sinistra del camion (verso la metà della fiancata stessa come da grafico allegato) si verificò pertanto dopo che il motorino era caduto a terra avendone il conducente perso il controllo.
Tale rilievo esclude la pertinenza del richiamo all’art. 2054 c.c., comma 2; questo invero, come espressamente sancito dalla norma e ripetutamente affermato da questa Corte (v. Cass. 09/10/1998, n. 10026; 28/08/1995, n. 9051; 17/06/1993 n. 6750), postula lo scontro tra veicoli, ancorchè uno di essi fosse momentaneamente in sosta: scontro che, nella specie, per quanto esposto in narrativa, non si è invece verificato o, comunque, si è verificato solo dopo la caduta dal ciclomotore del suo conducente e non ha dunque avuto, di per sè, alcun rilievo causale nella determinazione dell’evento lesivo.
Norma di riferimento deve piuttosto ritenersi nella fattispecie quella posta dal comma 1 di tale disposizione (a mente del quale “il conducente di un veicolo senza guida di rotaie è obbligato a risarcire il danno prodotto a persone o a cose dalla circolazione del veicolo, se non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno”)(v. in tal senso, in una fattispecie analoga, Cass. 24/05/2006, n. 12370); di essa però, per quanto sopra detto, la Corte d’appello, ancorchè implicitamente, ha fatto corretta applicazione, avendo dato adeguatamente conto, alla stregua di valutazione non sindacabile in questa sede, tanto meno sotto il dedotto profilo di violazione di legge, delle ragioni che inducono a ritenere offerta, nella specie, prova liberatoria della presunzione di colpa gravante sul conducente dell’autocarro.
4.2. In secondo luogo i motivi sono inammissibili perchè, con ogni evidenza, prospettano questioni di merito estranee al tipo di vizio dedotto e comunque non sindacabili nel giudizio di legittimità.
Premesso, quanto al secondo motivo, che è evidentemente un fuor d’opera l’evocazione della sentenza delle Sezioni Unite n. 10790 del 2017, dato che la richiesta di disporre una nuova c.t.u. non è una nuova prova disponibile dalla parte, deve osservarsi che le censure impingono essenzialmente nel piano della ricognizione della fattispecie concreta e segnatamente nella ricostruzione della dinamica del sinistro, e ciò peraltro attraverso la generica denuncia di una pretesa incompletezza dell’istruzione acquisita.
Nemmeno, peraltro, di tale diversa prospettiva censoria potrebbero ritenersi soddisfatti i requisiti minimi, previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti.
E’ noto, infatti, che il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un “fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”: come chiarito con ferma giurisprudenza da questa Corte (v. Cass. Sez. U. 07/04/2014, nn. 80538054; Id. 22/09/2014, n. 19881) deve dunque trattarsi di un “fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia).
L’omesso esame non può invece riguardare mere questioni o argomentazioni difensive nè elementi istruttori, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”.
All’opposto, nel caso di specie, non si censura affatto l’omesso esame di fatti, storici, decisivi, appuntandosi piuttosto le doglianze roprio sulla valutazione di irrilevanza delle richieste istruttorie e segnatamente di quella tendente alla nomina di c.t.u. per la ricostruzione della dinamica dell’incidente, e dunque in buona sostanza orientandosi le critiche secondo una prospettiva surrogatoria del potere esclusivo del giudice del merito di valutare le prove ed accertare i fatti (inammissibile anche nel regime di cui al previgente art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).
Ed invero la valutazione di ammissibilità e rilevanza della prova, così come la scelta di disporre o meno consulenza tecnica d’ufficio, ove come nella specie non vengano in rilievo preclusioni o divieti che non siano dettati nell’interesse della parte, non è in sè sindacabile.
Essa infatti pertiene al potere del giudice di “operare nel processo scelte discrezionali, che, pur non essendo certamente libere nel fine, lasciano tuttavia al giudice stesso ampio margine nel valutare se e quale attività possa o debba essere svolta” (Cass. Sez. U. 22/05/2012, n. 8077).
In tal caso, “la decisione si riferisce, certo, ad un’attività processuale, ma è intrinsecamente ed inscindibilmente intrecciata con una valutazione complessiva dei dati già acquisiti in causa ed, in definitiva, della sostanza stessa della lite. Il che spiega perchè siffatte scelte siano riservate in via esclusiva al giudice di merito e perchè, quindi, pur traducendosi anch’esse in un’attività processuale, esse siano suscettibili di essere portate all’attenzione della Corte di cassazione solo per eventuali vizi della motivazione che le ha giustificate, senza che a detta Corte sia consentito sostituirsi al giudice di merito nel compierle” (Cass. Sez. U. n. 8077 del 2012, cit.).
L’ammissione della prova o la nomina di un c.t.u. – così come all’opposto la mancata ammissione o nomina – pongono dunque, in tale ipotesi, solo un problema di coerenza e completezza della ricostruzione del fatto in rapporto agli elementi probatori offerti dalle parti e può pertanto essere denunciata in sede di legittimità (solo) per vizio di motivazione in ordine all’attitudine dimostrativa di circostanze rilevanti ai fini della decisione (Cass. n. 20693 del 2015; n. 66 del 2015; n. 5377 del 2011; n. 4369 del 1999); il che oggi è consentito, come detto, nei limiti dettati dal novellato num. 5 dell’art. 360 c.p.c., ossia per omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti.
Nel caso di specie i ricorrenti non indicano quale sarebbe il fatto storico decisivo che attraverso la consulenza tecnica avrebbe potuto essere acquisito, ma si limitano a sostenere la non meglio motivata indispensabilità di una consulenza tecnica d’ufficio, dai contorni generici e dalle finalità dunque meramente esplorative, a fronte di una motivazione ampia ed esaustiva sul piano degli elementi fattuali considerati, che non lascia emergere profili non considerati.
5. Anche il terzo motivo si espone a diversi rilievi di inammissibilità.
5.1. Anzitutto per la manifesta inosservanza dell’onere imposto dall’art. 366 n. 6 c.p.c. di specifica indicazione degli atti su cui il ricorso si fonda.
I ricorrenti omettono invero di indicare specificamente e con completezza la richiesta istruttoria che sarebbe stata erroneamente disattesa, limitandosi genericamente a identificare il teste cui essa era riferita, ma senza riportare i capitoli di prova, e senza compiutamente localizzare la richiesta nel fascicolo processuale: onere quest’ultimo che, come costantemente ribadito nella giurisprudenza di legittimità, comporta la precisazione dell’esatta collocazione dell’atto nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità (v. Cass. 23/03/2010, n. 6937; 12/06/2008, n. 15808; 25/05/2007, n. 12239; 06/11/2012, n. 19157), la mancanza di tale indicazione rendendo anche di per sè sola il ricorso inammissibile (cfr., da ultimo, Cass. Sez. U. 19/04/2016, n. 7701).
5.2. In secondo luogo perchè, come riferiscono gli stessi ricorrenti, la richiesta istruttoria era stata – sia pure in sede di revoca dell’ordinanza che l’aveva inizialmente ammessa – espressamente respinta per la ritenuta incompatibilità del teste e non è nemmeno dedotto (tanto meno nel rispetto dei necessari requisiti di specificità, ex art. 366 c.p.c., n. 6) che la richiesta fosse stata reiterata, in primo grado, in sede di precisazione delle conclusioni (riferendosi soltanto della trascrizione dei relativi capitoli nella comparsa conclusionale).
Questa Corte ha al riguardo già più volte chiarito che la parte che si sia vista rigettare dal giudice di primo grado le proprie richieste istruttorie ha l’onere di reiterarle al momento della precisazione delle conclusioni poichè, diversamente, le stesse debbono intendersi rinunciate e non possono essere riproposte in appello (Cass. 04/08/2016, n. 16290, che ha affermato tale principio proprio in un caso in cui la richiesta era stata rigettata per la ritenuta incompatibilità del teste; v. anche, ex aliis, Cass. 03/08/2017, n. 19352; 14/10/2008, n. 25157).
5.3. La doglianza secondo cui tale valutazione (di incompatibilità del teste) sarebbe erronea è conseguentemente del tutto inammissibile, non solo perchè non risulta dedotta in appello ma solo, per la prima volta, nel presente giudizio di cassazione, ma ancor prima perchè -quand’anche fosse stata svolta tra i motivi di gravame – avrebbe dovuto ritenersi preclusa dalla implicita rinuncia alla prova desumibile dalla mancata reiterazione della richiesta in sede di precisazione delle conclusioni nel giudizio di primo grado.
6. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo.
Ricorrono le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per l’applicazione del raddoppio del contributo unificato.
PQM
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 12 settembre 2019.
Depositato in cancelleria il 6 dicembre 2019