Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.31975 del 06/12/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICARONI Elisa – Presidente –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14725/2015 proposto da:

I.F., rappresentato e difeso dall’Avvocato MAURIZIO ROBERTO BRANCATI e dall’Avvocato GIOVANNI ALBANESE ed elettivamente domiciliato a Roma, via Telegono 31/B, presso lo studio dell’Avvocato MARGHERITA DE NITTIS, per procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

T.V., rappresentato e difeso dall’Avvocato GIOVANNI SCHIAVONI ed elettivamente domiciliato a Roma, piazza A. Capponi 16, presso lo studio dell’Avvocato CARLO CERMIGNANIN, per procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

nonchè

I.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 92/2015 della CORTE D’APPELLO DI BARI, depositata il 10/2/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 12/6/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO.

FATTI DI CAUSA

T.V., con ricorso del 9/4/2013, dopo aver premesso di essere il proprietario del fondo rustico in *****, censito in catasto al f. *****, p.lle *****, per averlo ricevuto per successione da T.G., ha dedotto che: – alla morte di quest’ultimo in data 8/10/1995, I.A. e F., padre e figlio, si sono presentati alla vedova, M.D., usufruttuaria del fondo, ed al figlio, T.V., nudo proprietario, dichiarando di essere conduttori del terreno; – in tale occasione, i predetti hanno consegnato un assegno di 11.000.000 Lire, emesso da I.F. a proprio ordine e girato a T.V., senza, però, in seguito farsi più vivi; – il 25/3/2002, M.D. ha sporto querela a carico di I.A., il quale, nel corso delle relative indagini, in data 5/10/2002, ha dichiarato ai Carabinieri che conduttore del fondo era il figlio F. e che lo stesso aveva versato la somma di Lire 11.000.000 quale anticipo di un contratto di locazione.

In forza di tali circostanze, l’attore ha chiesto che fosse dichiarata l’inesistenza di ogni contratto agrario riguardo il fondo in questione ed, in subordine, che fosse dichiarato risolto per inadempimento ogni contratto agrario ritenuto esistente ed, in via di ulteriore subordine, che ne fosse dichiarata la cessazione, con la condanna di I.F. al rilascio del fondo.

I.F. si è costituito in giudizio ed ha chiesto il rigetto della domanda, deducendo che il fondo era detenuto da moltissimi anni dal padre A. e che la somma da lui versata al T. riguardava altri rapporti.

I.A. è rimasto contumace.

Il tribunale, con sentenza del 29/5/2014, qualificata la domanda principale come rivendica, ha rigettato la domanda proposta nei confronti di I.A. e, dopo aver dato atto che I.F. non aveva allegato nè provato un titolo alla detenzione, lo ha, quindi, condannato al rilascio dell’immobile in favore dell’attore.

I.F. ha proposto appello avverso tale sentenza chiedendo, in riforma della stessa, il rigetto della domanda.

T.V. ha chiesto il rigetto del gravame ed, con appello incidentale condizionato, l’accoglimento di ogni domanda così come preposta anche nei confronti di I.A..

I.A. non si è costituito.

La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato l’appello.

La corte, in particolare, ha ritenuto che correttamente il tribunale aveva tratto la prova dell’occupazione del fondo da parte di I.A. da una serie di elementi indiziari, convergenti ed univoci.

Innanzitutto, ha osservato la corte, è incontestabile l’efficacia della dichiarazione resa nel 2002 da I.A. ai Carabinieri, e cioè che il terreno era detenuto dal figlio: dichiarazione sicuramente credibile, non essendovi alcun motivo per ipotizzare che il padre avesse riferito il falso in pregiudizio del figlio. Nè, ha aggiunto la corte, rileva il fatto che tale dichiarazione documentasse una situazione risalente al 2002 posto che, da un lato, I.F. ha sostanzialmente ammesso di aver conseguito, sia pur in epoca lontana, la disponibilità del fondo, riconoscendo così la veridicità di quanto riferito al riguardo dal padre, e, dall’altro lato, era logico attendersi che il convenuto specificasse con quali modalità e in quale data avesse dismesso tale disponibilità, laddove nulla era stato riferito al riguardo.

In secondo luogo, ha proseguito la corte, non può essere messa in dubbio l’efficacia indiziaria del versamento dell’assegno in favore di T.V., da valere, come dedotto dal ricorrente, quale anticipo della futura stipula della locazione: per un verso, il fatto che l’assegno fosse stato girato al T., nudo proprietario, e non della M., usufruttuaria, non vale a dimostrare che il pagamento fosse avvenuto a diverso titolo, essendo plausibile che, in detta occasione, il nudo proprietario, figlio dell’usufruttuaria, avesse operato come gestore del rapporto; per altro verso, è emblematico il fatto che I.F. non abbia mai specificato, neppure nel corso del giudizio, quali fossero i diversi rapporti da lui intrattenuti nel 1996, quando aveva vent’anni, con T.V..

Infine, ha proseguito la corte, non può essere trascurata l’equivoca condotta processuale di I.F. il quale, dopo aver sostenuto, in primo grado, che il fondo era detenuto, da moltissimi anni, esclusivamente dal padre, nell’atto d’appello ha affermato che egli stesso e il padre erano conduttori del fondo, come sostenuto nell’originario ricorso dal T., per poi, tuttavia, concludere di non essere nella detenzione del fondo.

Nè, ha aggiunto la corte, possono rilevare le prove orali del quale l’appellante ha lamentato la mancata ammissione, evidenziando che le circostanze articolate nella richiesta istruttoria risultano prive del carattere della decisività: sia quella di non detenere in locazione alcun fondo ed, in particolare, quello del T., essendo emersa un’occupazione senza titolo, sia quella di lavorare per altre imprese agricole, trattandosi di una circostanza di per sè non incompatibile con l’occupazione del fondo del T., sia quella del possesso del fondo da parte del padre, trattandosi di circostanza che, oltre ad essere smentita dalla condotta dell’appellato contumace, non esclude la codetenzione.

Del resto, ha concluso la corte, dal verbale di immissione in possesso del 5/11/2014 emerge che l’esecuzione della sentenza è avvenuta alla presenza di I.F. il quale ha chiesto di eseguire e completare anche nei giorni successivi le operazioni di smantellamento dei teloni e delle reti di copertura del vigneto, “circostanze atte a confermare, in via risolutiva, la preesistente occupazione del terreno da parte dell’appellato”.

Dimostrata, quindi, l’occupazione del fondo da parte di I.F., anche a prescindere dall’ulteriore circostanza valorizzata dal tribunale, e cioè la residenza di I.A. in un Comune lontano, la corte ha ritenuto che correttamente era stata pronunciata, in difetto di prova di un titolo attuale ed efficace per la prosecuzione della detenzione, la condanna dell’appellante al rilascio dello stesso.

I.F., con ricorso notificato l’1/6/2015, ha chiesto, per quattro motivi, la cassazione della sentenza della corte d’appello, dichiaratamente notificata in data 2/4/2015.

T.V. ha resistito con controricorso notificato il 18/6/2015, con il quale ha proposto, per un motivo, ricorso incidentale condizionato, ed ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e l’erronea applicazione dell’art. 2697 c.c. e del principio dell’onere della prova, nonchè la violazione e l’erronea applicazione degli artt. 233 c.p.c. e segg., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che era incontestabile l’efficacia della dichiarazione resa nel 2002 da I.A. ai Carabinieri, e cioè che il terreno era detenuto dal figlio, aggiungendo che tale dichiarazione era sicuramente credibile non essendovi alcun motivo per ipotizzare che il padre avesse riferito il falso in pregiudizio del figlio.

1.2. La corte d’appello, tuttavia, ha osservato il ricorrente, così facendo, ha consentito al convenuto contumace I.A., che ha sempre avuto il possesso del fondo, di lucrare elementi di prova a suo favore da proprie dichiarazioni, finendo, così, per ammettere un giuramento decisorio non deferito dalla controparte.

1.3. La corte d’appello, inoltre, ha proseguito il ricorrente, ha ritenuto che la circostanza che l’assegno fosse stato girato al T., nudo proprietario, e non della M., usufruttuaria, non valeva a dimostrare che il pagamento era avvenuto a diverso titolo, essendo plausibile che, in detta occasione, il nudo proprietario, figlio dell’usufruttuaria, avesse operato come gestore del rapporto.

1.4. In tal modo, però, ha osservato il ricorrente, la corte ha finito per ritenere che era l’appellante ad avere l’onere di dimostrare le ragioni del pagamento al nudo proprietario e non all’usufruttuaria, laddove, al contrario, tale onere spettava al T., tanto più a fronte dell’interrogatorio formale richiesto dall’appellante e non ammesso nè dal tribunale nè dalla corte d’appello.

2.1. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione e l’erronea applicazione degli artt. 1362 c.p.c. e segg. e la violazione dei canoni legali di ermeneutica o visi di motivazione sugli stessi, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che non poteva essere trascurata l’equivoca condotta processuale di I.F. il quale, dopo aver sostenuto, in primo grado, che il fondo era detenuto, da moltissimi anni, esclusivamente dal padre, nell’atto d’appello aveva affermato che egli stesso e il padre erano conduttori del fondo, come sostenuto nell’originario ricorso dal T., per poi, tuttavia, concludere di non essere nella detenzione del fondo.

2.2. La corte d’appello, infatti, ha osservato il ricorrente, così facendo ha posto al centro della propria motivazione una presunta ammissione che l’appellante avrebbe fatto nell’atto d’appello, e cioè di essere stato, unitamente al padre, conduttore del fondo, laddove, in realtà, tale ammissione, come si evince dalla lettura del ricorso in appello, non è mai avvenuta. La corte d’appello, quindi, ha erroneamente interpretato il contenuto del ricorso.

3.1. Con il terzo motivo, il ricorrente, lamentando la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, la carenza e l’insufficienza della motivazione in ordine al possesso del fondo da parte del ricorrente, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che correttamente il tribunale aveva tratto la prova dell’occupazione del fondo da parte di I.F. da una serie di elementi indiziari, convergenti ed univoci.

3.2. In realtà, ha osservato il ricorrente, alcuni di questi indizi sono stati valutati, come in precedenza illustrato, in violazione delle legge e ciò rende l’intera motivazione contraddittoria, insufficiente e carente, avendo la corte fondato le proprie argomentazioni sulle dichiarazioni di una parte processualmente contrapposta allo stesso ricorrente e sull’erronea interpretazione del contenuto del ricorso introduttivo del giudizio d’appello, senza tener conto che il T., quale figlio dell’usufruttuaria, non aveva fornito alcuna prova di averne gestito il rapporto quando ha ricevuto l’assegno.

4.1. Con il quarto motivo, il ricorrente, lamentando la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per la mancata ammissione di mezzi di prova e la motivazione contraddittoria sulla mancata ammissione del deferito interrogatorio formale, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha respinto le censure che l’appellante aveva formulato per la mancata ammissione delle prove orali evidenziando che le circostanze articolate nella richiesta istruttoria risultavano prive del carattere della decisività: sia quella di non detenere in locazione alcun fondo ed, in particolare, quello del T., essendo emersa un’occupazione senza titolo, sia quella di lavorare per altre imprese agricole, trattandosi di una circostanza di per sè non incompatibile con l’occupazione del fondo del T., sia quella del possesso del fondo da parte del padre, trattandosi di circostanza che, oltre ad essere smentita dalla condotta dell’appellato contumace, non esclude la codetenzione.

4.2. La corte d’appello, però, così facendo, ha osservato il ricorrente, non ha considerato che le prove invocate vertono su circostanze che avrebbero invalidato il convincimento del giudice di merito.

4.3. D’altra parte, ha aggiunto il ricorrente, la corte ha censurato il fatto che l’appellante non avesse mai specificato quali fossero i diversi rapporti da lui intrattenuti nel 1996 con T.V. e che giustificavano la consegna della somma di Lire 11.000.000 ma non ha ammesso il deferito interrogatorio formale proprio sulla circostanza che l’appellante aveva consegnato a T.V. la somma di Lire 11.000.000 proprio per regolare altri rapporti tra di loro.

5.1. I motivi, da trattare congiuntamente, sono infondati.

5.2. Il ricorso per cassazione, in effetti, non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti. Ne consegue che, qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze avverso una di tali rationes decidendi, neppure sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass. n. 4293 del 2016).

5.3. Nel caso in esame, il ricorrente non ha specificamente censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha rinvenuto, in via risolutiva, la prova della preesistente occupazione del terreno da parte dell’appellato, e cioè il verbale di immissione in possesso del 5/11/2014, lì dove, in particolare, dimostra che l’esecuzione della sentenza è avvenuta alla presenza di I.F. e che lo stesso aveva chiesto di eseguire e completare anche nei giorni successivi le operazioni di smantellamento dei teloni e delle reti di copertura del vigneto.

6. Il ricorso dev’essere, quindi, rigettato, con assorbimento del ricorso incidentale condizionato proposto dal controricorrente.

7. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

8. La Corte dà atto, con esclusivo riguardo al ricorso principale, che, trattandosi di azione di rivendica e di rilascio di un fondo occupato senza titolo, non è configurabile una causa agraria e che, per tale ragione, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 13 cit., comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte così provvede: rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale condizionato; condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese di lite, che liquida in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e spese generali nella misura del 15%; dà atto della sussistenza dei presupposti per l’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 12 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2019

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