LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MOCCI Mauro – Presidente –
Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –
Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –
Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –
Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 8844-2018 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, *****, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro
PARCO SCIENTIFICO E TECNOLOGICO DELL’ALTO LAZIO SCARL;
– intimata –
avverso la sentenza n. 5347/12/2017 della COMMISSIONE TRBUTARIA REGIONALE del LAZIO, depositata il 20/09/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 25/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO GIOVANNI CONTI.
FATTI E RAGIONI DELLA DECISIONE L’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale di ***** propone ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, contro la società Parco scientifico tecnologico dell’Alto Lazio S.c.a.r.l., impugnando la sentenza resa dalla CTR del Lazio indicata in epigrafe che per la parte che qui interessa, ha rigettato l’impugnazione dell’Ufficio contro la decisione di primo grado che aveva annullato il recupero a tassazione dell’IVA, secondo l’Ufficio indebitamente detratta per l’anno 2012, in relazione all’assenza di operazioni imponibili. La CTR del Lazio, respingendo l’appello dell’Ufficio, riconosceva la legittima detrazione dell’Iva sugli acquisti effettuati, non potendo la stessa escludersi in forza della provenienza degli stessi da contributi concessi a fondo perduto, nè potendo rilevare l’entità delle operazioni attive effettuate a fronte di altre operazioni di particolare natura oggetto di futura realizzazione.
La cooperativa Parco scientifico tecnologico dell’Alto Lazio S.c.a.r.l. non si è costituita.
Col motivo dedotto la ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Il giudice di merito avrebbe errato nel ritenere raggiunta la prova dell’inerenza degli acquisti e della detraibilità dell’IVA addebitata in assenza di elementi di prova sufficienti, fondandosi la ragione della decisione per un verso sulla dimostrata effettività di tre operazioni attive successivamente fatturate, per altro verso sul carattere esente dell’acquisto sovvenzionato.
Il motivo è fondato nei termini di seguito esposti.
Orbene, giova ricordare che il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, in conformità alla Dir. 17 maggio 1977, 77/388/CEE, art. 17 – oggi rifuso nella Dir. 2006/112/CE, art. 167 e ss. -, prevede che il diritto alla detrazione dell’IVA sorga in capo al soggetto passivo che abbia acquistato o importato beni o servizi nell’esercizio della sua impresa, arte o professione. La neutralità dell’imposizione richiede, in altri termini, la sussistenza dei requisiti della soggettività passiva del cedente e del cessionario, dell’onerosità ed imponibilità dell’operazione nonchè dell’inerenza dell’acquisto rispetto all’attività di impresa svolta contribuente. Attesa la natura armonizzata del tributo, giova richiamare sul punto l’orientamento consolidato della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, secondo cui “il regime di detrazioni posto in essere dalla predetta direttiva è inteso a sollevare interamente l’imprenditore dall’onere dell’IVA dovuta o versata nell’ambito di tutte le sue attività economiche. Il sistema comune dell’IVA è diretto a garantire la perfetta neutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività economiche, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di dette attività, purchè queste siano, in linea di principio, di per sè soggette all’IVA (…)” (Corte giust. 16 febbraio 2012, C -118/11, Corte giust. 12 febbraio 2009, C-515/07). Conformemente, la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che “In tema di IVA, ai sensi del D.P.R. 23 ottobre 1972, n. 633, art. 19, ed in conformità con la Dir. del Consiglio 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE, art. 17, nonchè con la successiva Dir. del Consiglio 28 novembre 2006, n. 2006/112/CE, artt. 167 e 63, non è ammessa la detrazione dell’imposta pagata a monte per l’acquisto o l’importazione di beni o servizi – ovvero per conseguire la prestazione di servizi necessari all’impresa – per il solo fatto che tali operazioni attengano all’oggetto dell’impresa e siano fatturate, poichè è, invece, indispensabile che esse siano effettivamente assoggettabili all’IVA nella misura dovuta” (Cass., Sez. V, n. 9946/2015).
Si è, ancora aggiunto, da parte della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’UE, che quanto “(…)agli acquisti di beni ed in generale alle operazioni passive occorre accertare, ai fini della detraibilità dell’imposta, che ricorra l’effettiva inerenza all’esercizio dell’impresa, cioè il loro compimento in stretta connessione con le finalità imprenditoriali, senza, tuttavia, che sia richiesto il concreto esercizio dell’impresa, potendo la detrazione dell’imposta spettare anche nel caso di assenza di operazioni attive…”, in coerenza con quanto stabilito dalla Corte di giustizia, secondo cui “in assenza di circostanze fraudolente o abusive e fatte salve eventuali rettifiche…, il diritto a detrazione, una volta insorto, rimane acquisito anche se l’attività economica prevista non ha dato luogo ad operazioni imponibili” (Corte giust. 29 novembre 2012, C-257/11, SG Gran Via Moinesti s.r.l., punto 29; Corte giust. 29 febbraio 1996, 1996, C-110/94 INZO, punti 20-21; Corte giust. 19 gennaio 1998, C-37/95, Ghent Coal Terminal, punti 19-23 – cfr. Cass. 31 marzo 2011, n. 7344 e Cass., Sez. V, n. 27351/2013-).
Nondimeno, in relazione al principio di inerenza dell’operazione soggetta ad IVA, intesa come correlazione tra costi ed attività d’impresa in concreto esercitata, questa Corte è ferma nel ritenere che “in tema d’iva, ove l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione dell’imposta pagata per l’acquisizione di beni o servizi, spetta al contribuente l’onere di provarne la legittimità e la correttezza”. (Cass., Sez. V, n. 27615/2018; Cass., Sez. V, n. 18904/2018). Invero, “In tema di IVA, ai fini della detrazione dei costi, non è sufficiente l’avvenuta contabilizzazione degli stessi, dovendo il contribuente dimostrarne, nell’ipotesi di contestazione dell’Amministrazione finanziaria, anche l’esistenza, l’inerenza e la coerenza economica (Cass., Sez. V, n. 22940/2018).
Non si è ancora mancato di rammentare che “il contribuente è tenuto a dimostrare, nell’ipotesi di contestazione da parte dall’Amministrazione finanziaria, anche la coerenza economica degli stessi rispetto ai ricavi o all’oggetto dell’impresa, potendo a tal fine integrare il contenuto generico della fattura con idonei elementi di prova” (Cass., Sez. VI, V, n. 14858/2018).
Il principio si collega a quello, ulteriore, per cui la detrazione dell’IVA regolata dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, connessa all’inerenza all’attività di impresa di beni e servizi, è configurabile in presenza di documentate spese di investimento, sostenute in vista di un’iniziativa complessa, anche in assenza di operazioni attive, senza che occorra il concreto esercizio dell’impresa stessa (Cass., Sez. V, nn. 1863/2004, 5739/2005, 8583/2006, 3106/2013).
Orbene, nel caso di specie, la CTR non ha fatto corretta applicazione dei superiori principi laddove ha ritenuto raggiunta la prova della detraibilità dell’Iva e dell’inerenza degli acquisti fatti rispetto all’attività d’impresa svolta dal contribuente sulla scorta della non imponibilità delle operazioni effettuate “a monte”- id est la ricezione di un finanziamento a fondo perduto – e sulla non dimostrata affermazione della previsione di futuri acquisti non ben specificati addotta dal contribuente a giustificazione dell’esiguità degli importi dichiarati in fattura.
Inoltre, sempre ai fini della prova dell’inerenza, la CTR si è limitata a porre in correlazione i costi per l’attività rientrante fra gli scopi imprenditoriali dell’ente con l’esistenza di tre fatture relative a cessioni, senza tuttavia offrire alcun elemento che consentisse di porre una qualsivoglia correlazione tra le consulenze oggetto delle fatture in acquisto con quelle eseguite nel triennio successivo.
Non è dunque possibile inferire dalla motivazione della CTR se il giudice di appello abbia vagliato tale correlazione fra acquisti e vendite, nemmeno avendo la CTR indagato sulla strumentalità degli acquisti rispetto alle cessioni dei beni anche se non realizzate nello stesso anno di imposta. Ciò palesa l’errore in diritto della motivazione nel quale è incorsa la CTR.
In conclusione, la CTR ha fatto mal governo dei principi suesposti, sicchè il ricorso va accolto e la sentenza cassata con rinvio ad altra sezione della CTR per il Lazio, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso cassa la sentenza e rinvia ad altra Sezione della CTR per il Lazio, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 25 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2019