LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –
Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –
Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –
Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –
Dott. PEPE Stefano – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 21855/2016 proposto da:
B.F., elettivamente domiciliato in Roma, Via Calabria n. 56, presso lo studio dell’avvocato Giovanni D’Amato, rappresentato e difeso dall’avvocato Giacomo Sepe, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F.: *****), in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (C.F.: *****), presso i cui uffici in Roma, Via dei Portoghesi 12, è domiciliata;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1786/39/16 della Commissione tributaria Regionale di Napoli, depositata il 25/2/2016;
udita la relazione della causa svolta nella adunanza pubblica del 7/10/2019 dal Consigliere Dott. Pepe Stefano;
udite le conclusioni scritte rassegnate dal Procuratore Generale della Repubblica Dott. Giacalone Giovanni, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udite le conclusioni rassegnate dall’Avv. Giacomo Sepe per il ricorrente e dall’Avv. Massimo Bachetti per la resistente.
RITENUTO IN FATTO
1. Il ricorrente, con atto notarile del 4.3.2011, Rep. n. 18906, acquistava dalla Napoletana Parcheggi S.p.a. il diritto di superficie, per novanta anni, di due box, adiacenti tra loro di circa 14 mq siti nel Comune di Napoli e, precisamente, al secondo piano sotto il livello stradale di ***** e riportati, a seguito di dichiarazione di variazione (DOCFA), al N. C.E.U. alla sez. *****, foglio *****, p.lla *****, z.c. *****”, Cat. C/6, classe 2”, mq 14 r.c. Euro 86,76, distinti il primo con il sub. 157 e il secondo con il sub. 158.
2. Con due identici avvisi di accertamento n. ***** e n. ***** del 16.11.2011, l’Agenzia del Territorio di Napoli provvedeva ad attribuire, diversamente da quanto indicato dal contribuente, una diversa classe e conseguentemente rendita ai suddetti beni e, precisamente, la classe 6" e la rendita catastale in Euro. 159,79.
3. Il B., con due distinti ricorsi, impugnava i predetti avvisi e i relativi giudizi avevano diversa sorte: quello afferente al box contraddistinto dal sub. 157 era oggetto della sentenza n. 11089/31/15 depositata il 7.12.2015 della CTR Campania, passata in giudicato, con la quale veniva disposto l’annullamento dell’avviso. Diversamente, la medesima CTR, con riferimento al ricorso avente ad oggetto il box indicato al sub. 158, accoglieva il gravame proposto dall’Agenzia del territorio di Napoli e, conseguentemente, confermava l’atto di accertamento ad esso relativo.
4. Nei confronti di tale ultima pronuncia B.F. propone ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi.
5. L’Agenzia dell’entrate ha depositato controricorso.
6. In prossimità dell’udienza il ricorrente depositava memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione del R.D. n. 652 del 1939, della L. n. 1249 del 1939, del D.P.R. n. 1142 del 1949, del D.L. n. 70 del 1988 (convertito in L. n. 154 del 1988), della L. n. 241 del 1990, della L. n. 212 del 2000, del D.Lgs. n. 32 del 2001, art. 6 e dell’art. 2 Cost..
Il ricorrente lamenta che la CTR non ha rilevato che il provvedimento di classamento catastale era carente di motivazione con conseguente impossibilità per il contribuente di comprenderne l’iter logico seguito dall’Amministrazione al fine della individuazione del suddetto classamento.
2. Con il secondo motivo il ricorrente eccepisce la violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, della L. n. 1249 del 1939, del D.P.R. n. 1142 del 1949 e della L. n. 154 del 1988, per non avere la CTR tento conto che ai fini della rettifica del classamento proposto dal contribuente, l’Agenzia del territorio doveva preliminarmente compiere specifiche verifiche, tra le quali, quella di sottoporre l’immobile ad apposito sopralluogo, nonchè indicare le unità “tipo” sulle quali ha fondato il nuovo classamento.
3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione della L. n. 212 del 2000 e del D.P.R. n. 1142 del 1949, per essere stata la classificazione operata dall’Agenzia del territorio compiuta unilateralmente senza alcun previo contraddittorio con il contribuente.
4. Con il quarto motivo il ricorrente censura, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la sentenza della CTR per non aver tenuto conto del giudicato intervenuto tra le medesime parti – sentenza della CTR Campania n. 11089/2015 – avente ad oggetto un bene diverso ma con caratteristiche identiche a quello sottoposto allo scrutinio dei giudici del gravame; giudicato chts-4- aveva riconosciuto la correttezza del classamento operato dal contribuente. Da tale omessa valutazione deriverebbe, sempre a parere del ricorrente, una irragionevole diversità di trattamento a fronte di situazioni identiche.
5. Con il quinto motivo il ricorrente impugna, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e 5, la sentenza di merito per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, avendo l’Agenzia del territorio eccepito solo in appello la circostanza che a beni analoghi a quelli oggetto di giudizio era stata attribuita la 6 classe.
6. I primi tre motivi, da trattarsi congiuntamente stante la loro stretta connessione, non sono fondati.
Con essi il ricorrente lamenta, sotto diversi profili, la carente motivazione dell’avviso di accertamento impugnato, nonchè la mancata partecipazione al procedimento valutativo dell’immobile.
Con riferimento all’attribuzione della rendita catastale mediante la procedura disciplinata dal D.L. 23 gennaio 1993, n. 16, art. 2, convertito, con modificazioni, in L. 24 marzo 1993, n. 75, e dal D.M. 19 aprile 1994, n. 701 (cosiddetta procedura DOCFA), questa Corte (Cass. ord. n. 3394 del 2014) ha, condivisibilmente, ritenuto che, in ipotesi di classamento di un fabbricato mediante la indicata procedura, l’atto con cui l’amministrazione disattende le indicazioni date dal contribuente deve contenere un’adeguata – ancorchè sommaria – motivazione che delimiti l’oggetto della successiva ed eventuale controversia giudiziaria, affermando, appunto, che l’Ufficio “non può limitarsi a comunicare il classamento che ritiene adeguato, ma deve anche fornire un qualche elemento che spieghi perchè la proposta avanzata dal contribuente con la Dofca viene disattesa”.
Tale principio contrasta, solo in apparenza, con la giurisprudenza (Cass. n. 2268 del 2014) secondo cui in tali ipotesi l’obbligo di motivazione è soddisfatto mediante la mera indicazione nell’atto di rettifica dei dati oggettivi e della classe attribuiti dall’Agenzia, trattandosi di elementi conosciuti o comunque facilmente conoscibili per il contribuente e tenuto conto della struttura fortemente partecipativa dell’atto.
Ed invero, questa Corte ha precisato che l’obbligo di motivazione dell’avviso di classamento è soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita solo se gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano stati disattesi dall’Ufficio e l’eventuale discrasia tra rendita proposta e rendita attribuita derivi da una valutazione tecnica sul valore economico dei beni classati, mentre, in caso contrario, la motivazione dovrà essere più approfondita e specificare le differenze riscontrate sia per consentire il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente sia per delimitare l’oggetto dell’eventuale contenzioso (Cass. n. 31809 del 2018, n. 23237 del 2014 e n. 21532 del 2013). Nel primo caso, infatti, gli elementi di fatto indicati nella dichiarazione presentata dal contribuente non disattesi dall’Ufficio risultano immutati, di tal che la discrasia tra la rendita proposta e la rendita attribuita si riduce ad una valutazione tecnica sul valore economico dei beni classati. In simili ipotesi risulta evidente che la presenza e la adeguatezza della motivazione rilevino, non già ai fini della legittimità dell’atto, ma della concreta attendibilità del giudizio espresso. Diversamente, laddove la rendita proposta con la DOCFA non venga accettata in ragione di ravvisate differenze relative a taluno degli elementi di fatto indicati dal contribuente, l’Ufficio dovrà, appunto, specificarle per i motivi sopra indicati.
6.1 Nel caso in esame la commissione tributaria regionale ha fatto corretta applicazione di tali principi, assumendo rilievo la circostanza che il nuovo classamento non si fonda su elementi di fatto diversi da quelli indicati dal contribuente, ma su una differente valutazione compiuta dall’Ufficio sul valore economico del bene di talchè l’onere motivazionale, anche in ragione della procedura partecipata in esame (DOCFA), può dirsi pienamente adempiuto con l’attribuzione della classe diversa da quella indicata dal contribuente fondata proprio sulla indicata valutazione tecnica.
Quanto, poi, alla eccepita violazione del contraddittorio endoprocedimentale mediante l’omessa effettuazione di un sopralluogo del bene, questa Corte (Cass. n. 5600 del 2017) ha affermato il principio secondo il quale in tema di classamento, il metodo di valutazione, per gli immobili della categoria ordinaria, – come è quello oggetto in esame – “è quello della stima comparativa, basata sulle caratteristiche estrinseche ed intrinseche del bene e sulla sua ubicazione, in relazione alla tariffa prevista per la classe di appartenenza, mentre è soltanto per gli immobili a destinazione speciale, il cui valore risulta dalla sommatoria di più fattori, che è necessaria la stima diretta con sopralluogo” e, dunque, la necessaria instaurazione di un contraddittorio endoprocedimentale. In ragione di ciò l’Amministrazione non era tenuta a effettuare alcun preventivo sopralluogo, potendosi il riclassamento da quest’ultima operato basarsi sulla suindicata metologia comparativa.
Con riferimento a quest’ultima, la CTR dà conto che l’Agenzia dell’Entrate ha indicato gli immobili utilizzati per la stima comparativa e accatastati nella classe 6 attribuita anche al box di proprietà del ricorrente, così da consentire a quest’ultimo di utilmente contraddire al classamento operato, precisando che per quanto il box in questione sia interrato angusto e difficilmente accessibile, il riclassamento operato dall’Ufficio, lungi dall’essere frutto di una astratta comparazione teorica, corrisponde a dati reali circa il valore economico di beni aventi caratteristiche simili a quelle sopra indicate.
7. Il quarto motivo non è fondato.
Non si ravvisa, infatti, la lamentata disparità di trattamento conseguente dalla sentenza impugnata rispetto ad altra passata in giudicato intervenuta tra le stesse parti e afferente altro immobile indicato dalla contribuente come identico a quello oggetto del presente giudizio. Ed invero, diversamente, da quanto sostenuto dal ricorrente, la disparità di trattamento evocata presuppone la presenza di fattispecie assolutamente identiche che, nel caso di specie, difetta non potendosi considerare tali due immobili seppure aventi caratteristiche simili, assumendo, poi, rilievo la circostanza che il giudicato evocato dal ricorrente era riferito ad una pronuncia di annullamento di un atto di accertamento per difetto di motivazione e, dunque, priva di efficacia esterna (Cass. n. 13916 del 2006).
8. Il quinto motivo non è fondato.
Il divieto di domande nuove previsto al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 1, implica che all’Amministrazione non è consentito, innanzi al giudice del gravame, avanzare pretese diverse, sotto il profilo del fondamento giustificativo e, dunque, sul piano della causa petendi, da quelle recepite nell’atto impositivo, circostanza che non ricorre nel caso di specie essendosi la parte limitata nel giudizio di secondo grado a proporre ulteriori argomentazioni difensive circa la legittimità dell’avviso di accertamento.
9. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1- quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
PQM
La Corte:
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente B.F. al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dell’Agenzia dell’Entrate che si liquidano in Euro 4.000,00 oltre spese prenotate a debito ed accessori come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 7 ottobre 2019.
Depositato in cancelleria il 10 dicembre 2019