LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 23961-2018 proposto da:
V.E., C.B., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato MAURO VINTAMI;
– ricorrenti –
contro
DOLLY SRL in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RIMINI 14, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO LORENTI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato PIETRO VISALLI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 496/2018 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 27/02/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 25/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. DELL’UTRI MARCO.
RILEVATO
che, con sentenza resa in data 27/2/2018, la Corte d’appello di Firenze ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado, in accoglimento della domanda proposta dalla Dolly s.r.l., ha dichiarato l’inopponibilità, ai sensi dell’art. 2901 c.c., nei confronti della società attrice, dell’atto con il quale C.B. (debitore della Dolly s.r.l.) aveva ceduto taluni immobili propri in favore della nuora V.E.;
che, a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato come gli elementi istruttori complessivamente acquisiti al giudizio avessero confermato, tanto l’anteriorità del credito della società attrice nei confronti del C., rispetto al compimento dell’atto revocando, quanto la sussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi per l’accoglimento dell’azione revocatoria proposta;
che, avverso la sentenza d’appello, C.B. ed V.E. propongono ricorso per cassazione sulla base di due motivi d’impugnazione;
che la Dolly s.r.l. resiste con controricorso;
che, a seguito della fissazione della camera di consiglio, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., le parti hanno presentato memoria.
CONSIDERATO
che, con il primo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione dell’art. 2901 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente affermato che la fattispecie costitutiva del credito della Dolly s.r.l. nei confronti del C. preesistesse al relativo accertamento in sede arbitrale, laddove, al contrario, prima di tale accertamento, tale credito si esauriva unicamente in una pretesa litigiosa caratterizzata da una mera aspettativa di diritto;
che il motivo è manifestamente infondato;
che al riguardo, osserva il Collegio come la corte territoriale, nel riconoscere la sussistenza del presupposto del credito in capo all’originaria società attrice, si sia correttamente allineata ai consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale l’art. 2901 c.c. ha accolto una nozione lata di credito, comprensiva della ragione o aspettativa, con conseguente irrilevanza dei normali requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità, da ciò derivando che anche il credito ‘eventualè, nella veste di credito litigioso, è idoneo a determinare – sia che si tratti di un credito di fonte contrattuale oggetto di contestazione in separato giudizio sia che si tratti di credito risarcitorio da fatto illecito – l’insorgere della qualità di creditore che abilita all’esperimento dell’azione revocatoria ordinaria avverso l’atto di disposizione compiuto dal debitore (cfr., ex plurimis, Sez. 3, Sentenza n. 1893 del 09/02/2012, Rv. 621220 – 01);
che, pertanto, la circostanza della pendenza, dinanzi all’organo arbitrale, della lite sull’accertamento del ridetto credito non valgono a revocare in dubbio la sussistenza del presupposto del credito così come estensivamente interpretato;
che, con il secondo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione dell’art. 2901 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente affermato la conoscenza o conoscibilità del giudizio arbitrale da parte del C. prima del compimento dell’atto impugnato, nonchè la sussistenza dell’asserito consilium fraudis a fondamento dell’atto impugnato, in contrasto con il contenuto delle evidenze probatorie acquisite agli atti dei giudizio e specificamente richiamate in ricorso;
che il motivo è inammissibile;
che, ai riguardo, osserva il Collegio come, con il motivo in esame, i ricorrenti – lungi dal denunciare l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, delta fattispecie astratta recata dalla norma di legge richiamata – alleghino un’erronea ricognizione, da parte del giudice a quo, della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa: operazione che non attiene all’esatta interpretazione della norma di legge, inerendo bensì alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr., ex plurimis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612745; Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015, Rv. 638171), non potendo dirsi coinvolta, nella prospettazione critica dei ricorrenti, alcuna eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sè incontroverso;
che, infatti, osserva il Collegio come la combinata valutazione delle circostanze di fatto indicate dalla corte territoriale a fondamento del ragionamento probatorio in concreto eseguito (secondo il meccanismo presuntivo di cui all’art. 2729 c.c.) non può in alcun modo considerarsi priva, icto oculi, di quella minima capacità rappresentativa suscettibile di giustificare l’apprezzamento ricostruttivo che il giudice del merito ha ritenuto di porre a fondamento del ragionamento probatorio argomentato in sentenza, con la conseguente oggettiva inidoneità della censura in esame a dedurre la violazione dell’art. 2729 c.c. nei termini analiticamente indicati da Cass., Sez. Un., n. 1785 del 2018 (v. in motivazione sub par. 4. e segg.);
che, pertanto, nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe del motivo d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ubi consistam delle censure sollevate dagli odierni ricorrenti deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, dei fatti di causa o dei rapporti tra le parti ritenuti rilevanti;
che tale operazione critica appare con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato;
che, ciò posto, il motivo d’impugnazione così formulato deve ritenersi inammissibile, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante, sul quale la sentenza doveva pronunciarsi, non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5 ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti;
che, sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva manifesta infondatezza dei motivi esaminati – cui la memoria da ultimo depositata dai ricorrenti non apporta contributi argomentativi dotati di decisiva incidenza -, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso, cui segue la condanna dei ricorrenti al rimborso, in favore della società con-troricorrente, delle spese del presente giudizio, secondo la liquidazione di cui al dispositivo, oltre l’attestazione della sussistenza dei presupposti per il pagamento del doppio contributo, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 8.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, della Corte Suprema di Cassazione, il 25 settembre 2019.
Depositato in cancelleria il 11 dicembre 2019