LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MOCCI Mauro – Presidente –
Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –
Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –
Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – rel. Consigliere –
Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 24437-2018 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE *****, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro
SI.TA.PAN. SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FERDINANDO GALIANI 68, presso lo studio dell’avvocato SELICATO PIETRO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato SELICATO SABINO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 188/18/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE del VENETO, depositata il 13/02/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 25/09/2019 dal Consigliere Relator Dott. DELIA PRISCOLI LORENZO.
FATTI DI CAUSA
Rilevato che:
la società contribuente impugnava un avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2008 relaitov ad IRES, IRAP e IVA emesso sulla base di una verifica fiscale presso altra società (la)ESSE s.p.a.) durante la quale era stata reperita documentazione relativa a rapporti commerciali con la SI.TA.PAN. s.r.l. non contabilizzati anche se poi presso quest’ultima società non è stata rinvenuta alcuna contabilità parallela che potesse confermare delle vendite “in nero”;
la Commissione Tributaria Provinciale accoglieva parzialmente il ricorso riconoscendo la deducibilità dei costi e la Commissione Tributaria Regionale accoglieva il ricorso della società contribuente ritenendo che gli elementi acquisiti dall’Agenzia dell’entrate non fossero sufficienti;
la Corte di Cassazione (Cass. 24 marzo 2017, n. 7710) cassava con rinvio per avere la CTR erroneamente affermato che la verifica di una contabilità in nero presso un terzo non potesse risultare idonea a giustificare l’accertamento a carico del terzo in assenza di una verifica fiscale presso la società appellante;
la società contribuente riassumeva la causa e la Commissione Tributaria Regionale, affermando che l’avviso di accertamento era stato emesso sulla base solo di presunzioni semplici, non suffragate da altro elemento di prova, respingeva l’appello dell’Ufficio annullando l’avviso di accertamento;
l’Agenzia delle entrate proponeva ricorso affidato a tre motivi mentre la società contribuente si costituiva con controricorso e in prossimità dell’udienza depositava una memoria con la quale insiste perchè il ricorso sia respinto.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Considerato che con il primo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la società contribuente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 384 c.p.c. in quanto la contabilità in nero tenuta da un soggetto terzo è un elemento grave, preciso e concordante tale per cui era onere di controparte dare la prova contraria dei fatti risultanti dalla contabilità;
considerato che con il secondo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la società contribuente denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 del D.P.R. n. 603 del 1972, art. 54, degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c. in quanto la contabilità in nero tenuta da un soggetto terzo è un elemento grave, preciso e concordante tale per cui era onere di controparte dare la prova contraria dei fatti risultanti dalla contabilità;
considerato che con il terzo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la società contribuente denuncia nullità della sentenza impugnata e violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 in quanto la motivazione della sentenza della CTR sarebbe meramente apparente;
ritenuto preliminarmente che il primo e secondo motivo lamentano sostanzialmente la stessa circostanza, ossia che, una volta dimostrata l’esistenza di una contabilità in nero da parte di un terzo spetterebbe poi al contribuente provarne la falsità e che dunque possono essere trattati congiuntamente e considerato che, secondo questa Corte, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. e), consente di procedere alla rettifica del reddito anche quando l’incompletezza della dichiarazione risulta “dai verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti”, da cui derivino presunzioni semplici, desumibili anche da documentazione extracontabile ed in particolare da “contabilità in nero”, costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dagli artt. 2709 c.c. e ss. tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta. Come si desume dagli argomenti valorizzati da detta pronuncia e che qui vale la pena ribadire, per i redditi d’impresa il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. e), consente di procedere alla rettifica del reddito anche quando l’incompletezza della dichiarazione risulta “dai verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti”. In tal caso, l’esistenza di attività non dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, con conseguente inversione dell’onere della prova, spettando al contribuente dimostrare – anche in presenza di scritture contabili formalmente corrette – l’infondatezza della pretesa fiscale”. Deve perciò concludersi nel senso che “la ‘contabilità in nerò (sebbene rinvenuta preso terzi), costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39 e – per il suo valore probatorio – legittima di per sè, ed a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso all’accertamento induttivo di cui al citato art. 39, incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria, al fine di contestare l’atto impositivo notificatogli” (Cass. 24 marzo 2017, n. 7710; Cass. 11 luglio 2016, n. 14150; Cass. 24 settembre 2014, n. 20094);
ritenuto che la CTR non si è attenuta ai suddetti principi – e in particolare a quanto già affermato dalla citata sentenza n. 7710 del 2017 di cui la sentenza in questa sede impugnata ha rappresentato la conclusione del giudizio di rinvio, dato che a norma dell’art. 384 c.p.c., comma 1, l’enunciazione del principio di diritto vincola il giudice di rinvio che ad esso deve uniformarsi (Cass. 31 luglio 2006, n. 17442; Cass. 7 maggio 2009, n. 10496) – laddove ha ignorato e non si è attenuta al principio di diritto della Corte di Cassazione secondo cui la presenza di una contabilità in nero, anche ad opera dei terzi, fa sì che sia il contribuente ad avere l’onere di fornire la prova contraria e ha apoditticamente affermato che l’avviso di accertamento era stato emesso sulla base solo di presunzioni semplici, non suffragate da altro elemento di prova;
ritenuto pertanto che il primo e il secondo motivo di impugnazione sono fondati e che dunque, assorbito il terzo motivo di impugnazione, il ricorso dell’Agenzia delle entrate va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale del Veneto, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale del Veneto, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 25 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 11 dicembre 2019