Corte di Cassazione, sez. I Civile, Sentenza n.32407 del 11/12/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 1583-2018 r.g. proposto da:

POSTE ITALIANE s.p.a., *****, in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 175, presso lo studio dell’avvocato MAURO PANZOLINI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROSSANA CATALDI, con procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

BANCA POPOLARE di SONDRIO soc. coop. p.a., in persona dei procuratori pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MERULANA 234, presso lo studio dell’avvocato CRISTINA DELLA VALLE, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MAURIZIO CARRARA, con procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2512/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 07/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/10/2019 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. Cardino Alberto, che ha chiesto dichiararsi il rigetto del ricorso;

udita, per la ricorrente, l’Avv. Anna M. Ursino per delega, che ha chiesto accogliersi il proprio ricorso;

udito, per la controricorrente, l’Avv. Maurizio Carrara, che ha chiesto respingersi l’avverso ricorso.

FATTI DI CAUSA

1.La Banca Popolare di Sondrio s.c.p.a. citò innanzi al Tribunale di Sondrio Poste italiane s.p.a., per chiederne la condanna al pagamento di una somma oggetto di un assegno di traenza non trasferibile all’ordine di D.R.S., che fu negoziato dalla società convenuta pagandolo a persona diversa dal legittimo beneficiario, attraverso una condotta negligente, in violazione dell’art. 43 Legge Ass..

2. Con sentenza del 13.1.2015, il Tribunale accolse la domanda, ritenendo la natura oggettiva della responsabilità della banca negoziatrice che, comunque, non aveva esaminato con diligenza il titolo, pur contraffatto ictu oculi.

3. Poste italiane s.p.a propose appello che, con sentenza del 7.6.17, la Corte d’appello di Milano rigettò, rilevando che era stato correttamente affermata la responsabilità dell’appellante nel pagare l’assegno in questione, non avendo quest’ultima fornito sufficienti elementi per dimostrare il proprio corretto adempimento, a norma dell’art. 1218 c.c., ed affermando, dunque, la natura contrattuale della invocata responsabilità.

4. Poste Italiane s.p.a. ha impugnato per cassazione con ricorso affidato a due motivi, cui la Banca Popolare di Sondrio s.c.p.a. ha resistito con controricorso.

5. Con ordinanza interlocutoria del 22 maggio 2019, la Sesta Sezione ha ritenuto che la causa dovesse essere rimessa alla pubblica udienza “in ordine alla questione relativa all’ambito della diligenza che deve connotare la condotta della banca (o Istituto) che negozia un assegno di traenza non trasferibile, a norma dell’art. 1176 c.c., comma 2, nella sua accezione di “clausola aperta” integratrice del contenuto contrattuale”.

La ricorrente ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è denunziata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 43 Legge Ass. e degli artt. 1176 e 1992 c.c., in quanto la Corte d’appello non avrebbe valutato la condotta di Poste Italiane s.p.a. con il parametro della diligenza ex art. 1176, comma, trascurando altresì l’incauta spedizione del titolo con lettera semplice e non con raccomandata a.r..

2. Con il secondo motivo è denunziata, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 1176,1189 e 1992 c.c., in relazione all’art. 43, comma 2 Legge Ass., non avendo la Corte d’appello tenuto conto della diligente condotta di pagamento dell’assegno, preceduta dal controllo dell’autenticità del titolo che non presentava segni evidenti di alterazione.

3. Il ricorso è infondato.

3.1 Il primo motivo è, in parte infondato, e, in altra parte inammissibile.

3.1.1 Quanto al primo profilo, occorre ricordare che – in ordine alla natura giuridica della responsabilità della banca negoziatrice di un assegno dotato di clausola di non trasferibilità, si è recentemente espressa la giurisprudenza di vertice di questa Corte (cfr. Sez. U, Sentenza n. 12477 del 21/05/2018) che, in seguito ad un annoso dibattito giurisprudenziale dispiegatosi dal 1958, ha fissato il principio secondo cui – ai sensi del R.D. n. 1736 del 1933, art. 43, comma 2, (c.d. legge assegni) – la banca negoziatrice chiamata a rispondere del danno derivato per errore nell’identificazione del legittimo portatore del titolo dal pagamento dell’assegno bancario, di traenza o circolare, munito di clausola non trasferibilità a persona diversa dall’effettivo beneficiario, è ammessa a provare che l’inadempimento non le è imputabile, per aver essa assolto alla propria obbligazione con la diligenza richiesta dall’art. 1176 c.c., comma 2.

3.1.2 Nel percorso che ha portato alla decisione delle S.U. ora ricordata non può, tuttavia, essere dimenticato altro fondamentale arresto giurisprudenziale rappresentato sempre dalla sentenza espressa, nel massimo consesso di questa Corte, nel pronunciamento n. 14712 del 2007, che è intervenuto a comporre un precedente contrasto di giurisprudenza sorto circa la natura (contrattuale, extracontrattuale o ex lege) della responsabilità derivante dal pagamento dell’assegno non trasferibile a persona diversa dal prenditore ed alla conseguente durata – decennale o quinquennale – del termine di prescrizione dell’azione di risarcimento proposta dal danneggiato. Con tale pronuncia le sezioni unite – ribadito preliminarmente che l’espressione “colui che paga”, adoperata dall’art. 43, comma 2 L.A., va intesa in senso ampio, sì da riferirsi non solo alla banca trattaria (o all’emittente, nel caso di assegno circolare), ma anche alla banca negoziatrice (che è l’unica concretamente in grado di operare controlli sull’autenticità dell’assegno e sull’identità del soggetto che, girandolo per l’incasso, lo immette nel circuito di pagamento) – hanno riconosciuto natura contrattuale alla responsabilità cui si espone il banchiere che abbia negoziato un assegno munito della clausola di non trasferibilità in favore di persona non legittimata. E’ necessario ricordare che la conclusione non trova fondamento nel consueto argomento utilizzato dalla tesi contrattualistica (secondo la quale la banca girataria per l’incasso, oltre ad essere mandataria del girante, sarebbe sostituta della trattaria nell’esplicazione del servizio bancario per quanto attiene all’identificazione del presentatore ed al conseguente pagamento), ma nella c.d. teoria del contatto sociale qualificato, ravvisabile ogni qualvolta l’ordinamento imponga ad un soggetto di tenere un determinato comportamento, idoneo a tutelare l’affidamento riposto da altri soggetti sul corretto espletamento da parte sua di preesistenti, specifici doveri di protezione che egli abbia volontariamente assunto.

3.1.3 Ed è proprio sulla scorta di queste considerazioni, che le S.U. del 2018 hanno ribadito il principio secondo cui la responsabilità della banca negoziatrice per avere consentito, in violazione delle specifiche regole poste dall’art. 43 Legge Assegni (R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736), l’incasso di un assegno bancario, di traenza o circolare, munito di clausola di non trasferibilità, a persona diversa dal beneficiario del titolo, ha – nei confronti di tutti i soggetti nel cui interesse quelle regole sono dettate e che, per la violazione di esse, abbiano sofferto un danno – natura contrattuale, avendo la banca un obbligo professionale di protezione (obbligo preesistente, specifico e volontariamente assunto), operante nei confronti di tutti i soggetti interessati al buon fine della sottostante operazione, di far sì che il titolo stesso sia introdotto nel circuito di pagamento bancario in conformità alle regole che ne presidiano la circolazione e l’incasso.

Così, una volta ricondotta la responsabilità della banca negoziatrice nell’alveo di quella contrattuale derivante da contatto qualificato, inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c. e dal quale derivano i doveri di correttezza e buona fede enucleati dagli artt. 1175 e 1375 c.c. – non risulta più sostenibile la tesi secondo cui detta banca risponde del pagamento dell’assegno non trasferibile effettuato in favore di chi non è legittimato, a prescindere dalla sussistenza dell’elemento della colpa nell’errore sull’identificazione del prenditore.

Sul punto, la sentenza Sez. U, n. 12477/2018, ha evidenziato, verbatim, che “Una responsabilità oggettiva può infatti concepirsi solo laddove difetti un rapporto in senso lato “contrattuale” fra danneggiante e danneggiato, ed il primo sia chiamato a rispondere del fatto dannoso nei confronti del secondo non per essere con questi entrato in contatto, ma in ragione della particolare posizione rivestita o della relazione che lo lega alla res causativa del danno”.

Ne consegue che, sulla base dei suesposti principi, nell’azione promossa dal danneggiato, la banca negoziatrice che ha pagato l’assegno non trasferibile a persona diversa dall’effettivo prenditore è ammessa a provare che l’inadempimento non le è imputabile, per aver essa assolto alla propria obbligazione con la diligenza dovuta, che è quella nascente, ai sensi dell’art. 1176 c.c., comma 2 dalla sua qualità di operatore professionale, tenuto a rispondere del danno anche in ipotesi di colpa lieve.

3.1.4 Ciò posto, osserva la Corte come la sentenza impugnata non si sia, invero, discostata dai principi di diritto affermati nell’ultimo arresto delle S.U. sopra ricordato (e qui riaffermati) ed anzi abbia correttamente ricondotto il profilo della responsabilità della banca negoziatrice del titolo nell’alveo della responsabilità contrattuale, riconoscendola, nel caso di specie, proprio in conseguenza dell’accertamento del mancato corretto adempimento da parte dell’istituto di credito degli obblighi sulla stessa incombenti per la verifica della autenticità del titolo di credito che – secondo la valutazione in fatto svolta dalla Corte territoriale, con scrutinio qui non censurabile – era risultato alterato in modo evidente e rilevabile ictu oculi nella indicazione del beneficiario del pagamento, beneficiario che successivamente è risultato essere diverso dal soggetto che si è presentato all’incasso dell’assegno.

3.1.5 A fronte di questa corretta motivazione in punto di ricostruzione della natura giuridica della responsabilità della banca negoziatrice dell’assegno non trasferibile, la parte ricorrente contrappone, in realtà, solo considerazioni di carattere generale, avulse dal contenuto della sentenza impugnata e dalla ratio decidendi sopra ricordata, che non viene, peraltro, neanche evidenziata dalla parte ricorrente nella sua censura, le cui doglianze devono pertanto ritenersi, sotto quest’ultimo profilo, irrimediabilmente inammissibili.

3.1.4 E’ da ritenersi anche inammissibile – in quanto dedotta per la prima volta in questo giudizio di Cassazione – la questione dell’incauta spedizione del titolo con posta ordinaria, posto che non emerge dalla lettura della sentenza che la questione fosse stata discussa tra le parti e non avendo la parte ricorrente neanche indicato in quale doglianza difensiva avesse sollevato la relativa censura nelle precedenti fasi di merito.

3.2 Il secondo motivo è in realtà inammissibile.

3.2.1 Sul punto giova ricordare che – in tema di ricorso per cassazione – il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (così, Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019; cfr. anche Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017). Più precisamente è stato affermato sempre dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità che le espressioni violazione o falsa applicazione di legge, di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, descrivono i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto: a) quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto; b) quello afferente l’applicazione della norma stessa una volta correttamente individuata ed interpretata. Il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata; il vizio di falsa applicazione di legge consiste, o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perchè la fattispecie astratta da essa prevista pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione. Non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360, comma 1, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (cfr. Sez. 1, Ordinanza n. 640 del 14/01/2019).

Ciò detto, va anche precisato come la parte ricorrente non intenda proporre, invero, una censura volta a sollecitare il confronto tra le condotte adottate dalla banca negoziatrice e la clausola generale di diligenza, come tale integrata dagli standard valutativi della realtà sociale e dagli altri principi estraibili dall’ordinamento positivo (cfr. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 22950 del 10/11/2015; cfr. anche Sez. 2, Sentenza n. 8047 del 21/03/2019), ma voglia, al contrario, sottoporre a questa Corte la rivalutazione degli elementi di prova sulla cui base la corte territoriale ha fondato il giudizio di responsabilità contrattuale dell’istituto di credito.

Come sopra ricordato, la corte ambrosiana ha riconosciuto la detta responsabilità proprio in conseguenza dell’accertamento del mancato corretto adempimento da parte della banca negoziatrice degli obblighi sulla stessa incombenti per la verifica della autenticità del titolo di credito che secondo la valutazione in fatto svolta dal giudice di appello – era risultato alterato in modo evidente e rilevabile ictu oculi nella indicazione del beneficiario del pagamento.

Orbene, la ricorrente ritiene, invece, con considerazioni svolte peraltro genericamente, che la responsabilità dell’erroneo pagamento al soggetto non legittimato era invece addebitabile alla banca trattaria che, una volta esaminato il titolo in originale, avrebbe dovuto comunicare alla banca negoziatrice la diversità soggettiva tra il prenditore ed il reale beneficiario, e ciò senza neanche confrontarsi con la diversa affermazione che il titolo portato all’incasso aveva evidenti segni di contraffazione che avrebbero dovuto condurre l’istituto di credito negoziatrice a maggiore cautela.

3.2.2 Risulta, dunque, evidente come, nel caso di specie, la parte ricorrente, sotto l’egida formale del vizio di violazione dei predetti canoni normativi, pretenda ora una rilettura degli atti istruttori volti a determinare una diversa ricostruzione della vicenda fattuale in ordine alle condotte adottate dalla banca negoziatrice per l’accertamento dell’autenticità del titolo negoziato, e ciò, proprio, attraverso il diretto scrutinio delle fonti di prova.

3.2.3 Inammissibile anche l’ulteriore questione relativa alla dedotta corresponsabilità della banca trattaria per il mancato rilievo di contestazioni del titolo nella fase della stanza di compensazione perchè, anch’essa, versata in fatto.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 dicembre 2019

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