LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –
Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 9087-2018 proposto da:
O.K., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOVELLO ANTONINO;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso il decreto n. R.G. 16340/2017 del TRIBUNALE di CATANIA, deciso il 18/01/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 02/07/2019 dal Consigliere Relatore Dott. NAZZICONE LOREDANA.
RILEVATO
– che viene proposto ricorso avverso il decreto del Tribunale di Catania, reiettivo del ricorso avverso il provvedimento negativo della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale;
– che si difende con controricorso il Ministero intimato;
– che sono stati ritenuti sussistenti i presupposti ex art. 380-bis c.p.c..
CONSIDERATO
– che il primo motivo deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c. e del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 5 e 7, per non avere il tribunale applicato rigorosamente il principio dell’onere probatorio attenuato e per non aver correttamente valutato come, per il riconoscimento della protezione, sia sufficiente che lo Stato di provenienza del richiedente si disinteressi di difendere adeguatamente i propri cittadini da pericoli terroristici o cagionati da gruppi sociali violenti;
– che il secondo motivo deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c. e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), lamentando il mancato riconoscimento della sussistenza di una minaccia grave alla vita del cittadino straniero derivante da una situazione di violenza indiscriminata;
– che il terzo motivo lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c. e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 32, per avere il giudice omesso di pronunciarsi su una domanda autonoma (ossia, quella relativa al riconoscimento della protezione umanitaria) o, comunque, in assenza assoluta di motivazione;
– che i motivi sono manifestamente inammissibili poichè volti ad un riesame del merito precluso a questa Corte;
– che, invero, la motivazione del provvedimento impugnato risulta congrua ed immune da vizi poichè, da un lato, contiene l’esame della situazione esposta dal richiedente, di nazionalità nigeriana, e la puntuale indicazione dei motivi per cui il racconto fornito dall’odierno ricorrente risulta non credibile e, dall’altro, fa corretto governo dei principi elaborati da questa Corte in materia di riconoscimento della protezione internazionale, sussidiaria ed umanitaria;
– che, inoltre, radicalmente il provvedimento impugnato non ha ritenuto il ricorrente credibile: ed, al riguardo, questa Corte ha chiarito come “l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 3, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati; la valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiaraeioni del richiedente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostante” (Cass., ord. 30 ottobre 2018, n. 27503) e che “l’accertamento del “giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona; qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dell’impossibilità di fornire riscontri probatori” (Cass. 27 giugno 2018, n. 16925; Cass., ord. 5 febbraio 2019, n. 3340; ancor più di recente, v. Cass. n. 16028 del 2019);
– che, in relazione alla protezione umanitaria, non sussiste il vizio di omessa pronuncia, avendo il giudice provveduto al riguardo, nè di motivazione omessa, avendo anzi il Tribunale motivato il suo omesso riconoscimento, avendo accertato l’insussistenza del rischio di esposizione a trattamenti degradanti o discriminatori; nè la circostanza di essere egli privo, in patria, di legami familiari, dedotta in questa sede, è presupposto idoneo per il rilascio del permesso di soggiorno suddetto;
– che, in ogni caso, avendo il giudice del merito compiutamente approfondito l’esame in fatto della situazione nel rispetto dei principi enunciati da questa Corte in materia ed esponendo le ragioni per le quali ha reputato il richiedente privo dei requisiti idonei al riconoscimento dello status, nessuna censura può essere promossa in questa sede, trattandosi, per l’appunto, di valutazioni fattuali non sindacabili dinanzi al giudice di legittimità;
– che l’inammissibilità o manifesta infondatezza del ricorso già alla luce delle pregresse disposizioni rende irrilevante il sopraggiunto D.L. n. 113 del 2018;
– che le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 2.100, oltre spese liquidate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 2 luglio 2019.
Depositato in Cancelleria il 11 dicembre 2019