LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –
Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –
Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –
Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –
Dott. DI MARZIO PAolo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso proposto da:
R.F., Re.La., Re.Li. e Re.Fl., eredi di Re.Fr., rappresentate e difese, giusta procura speciale rilasciata in calce al ricorso, dagli Avv.ti Pasquale Russo e Guglielmo Fransoni, che hanno indicato, recapito PEC, ed elettivamente domiciliate presso lo studio del secondo, in Via Crescenzie n. 2, in Roma;
– ricorrenti –
contro
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, legale rappresentante, pro tempore, rappresentata e difesa, ex lege, dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed elettivamente domiciliata presso i suoi uffici, alla via dei Portoghesi n. 12 in Roma;
– resistente –
avverso la sentenza n. 4452, pronunciata dalla Commissione Tributaria Centrale, Sezione di Roma, il 11.6.12 e pubblicata il 16.07.2012;
raccolte le conclusioni rassegnate dal P.M. di udienza, Dott. De Augustinis Umberto, il quale ha domandato il rigetto del ricorso;
ascoltate la discussioni proposte, per la difesa delle ricorrenti, dall’Avv. Guglielmo Fransoni e, per la difesa dell’Agenzia delle Entrate, dall’Avvocato dello Stato Salvatore Faraci;
ascoltata, in camera di consiglio, la relazione svolta dal Consigliere Dott. Di Marzio Paolo;
FATTI DI CAUSA
R.F., Re.La., Re.Li. e Re.Fl., eredi del Senatore della Repubblica Re.Fr., in seguito al decesso di quest’ultimo, avvenuto il 6.1.1988, ricevevano dal Senato della Repubblica la corresponsione della somma di Lire 112.142.438 a titolo di contributo di solidarietà, ai sensi dell’art. 8 del “Regolamento del Fondo di solidarietà fra gli onorevoli senatori”.
Su tale importo veniva operata dall’amministrazione del Senato una ritenuta alla fonte pari a Lire 34.512.804, sicchè la somma effettivamente percepita dalle eredi del Senatore Re. ammontava a Lire 76.729.634.
Il 12.5.1989 le odierne ricorrenti presentavano all’Intendenza di Finanza di Roma – Ufficio Imposte Dirette e al Centro di Servizio di Roma, istanza diretta ad ottenere il rimborso della suddetta ritenuta, reputandola indebita. Formatosi il silenzio-rifiuto dell’Amministrazione finanziaria, le eredi ricorrevano alla Commissione Tributaria di primo grado di Roma, osservando che l’assegno di fine mandato trovava provvista nel Fondo di solidarietà tra i Senatori, alimentato mediante quote di contributi previdenziali obbligatori versate esclusivamente dagli stessi Onorevoli, ed era corrisposta dall’amministrazione del Senato in conseguenza della cessazione del mandato parlamentare o in caso di decesso. Pertanto tale assegno non poteva essere considerato come una retribuzione differita, dovendo invece configurarsi come una forma di assicurazione con carattere previdenziale ed assistenziale. In altri termini, nella prospettazione delle ricorrenti il contributo di solidarietà non costituiva un reddito ma una somma capitale, analoga a quanto corrisposto da una eventuale assicurazione e, pertanto, doveva rimanere esente da tassazione ai fini dell’imposta Irpef.
L’Intendenza di Finanza non si costituiva nel giudizio di primo grado, che si concludeva con una sentenza d’accoglimento del ricorso delle eredi, rilevando il giudice di primo grado che “poichè al Fondo affluisce una quota mensile del contributo di previdenza di cui all’art. 1 del Regolamento per la previdenza ed assistenza a senatori e loro familiari, cioè il contributo posto a carico del senatore è pari al 100%, sussiste la violazione del T.U. delle imposte dirette, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917, art. 17. Ne consegue che nessuna ritenuta doveva essere operata sull’assegno di solidarietà corrisposto agli eredi del Senatore Re.Fr. per mancanza del presupposto impositivo e, pertanto, in accoglimento del ricorso, si dispone che l’Ufficio provveda ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 40 e s.s.” (ric. pp. 4 e 5).
L’Ente impositore proponeva appello lamentando che le ricorrenti non avevano prodotto alcuna documentazione, nè in allegato all’istanza di rimborso nè al ricorso, al fine di provare la sussistenza delle pretese avanzate in merito all’an e al quantum. Le appellate, costituendosi nel giudizio di secondo grado, ribadivano le ragioni poste a fondamento della propria domanda di rimborso sottolineando, in particolare, la non imponibilità del contributo di solidarietà per essere esso costituito, interamente, da contributi previdenziali posti a carico del de cuius, e come tale non risultava tassabile “alla stregua della giurisprudenza della Corte Costituzionale del 1986 e dell’art. 17, comma 1, TUIR” (ric., p. 6).
La Commissione Tributaria di secondo grado accoglieva il gravame proposto dall’Amministrazione, sul presupposto che “non si conosce solamente se tale fondo è stato costituito con il contributo dei singoli senatori e la percentuale di contribuzione. Tale prova doveva essere data dal contribuente con relativa documentazione” (ric. p. 6).
Avverso tale pronuncia le odierne ricorrenti adivano la Commissione Tributaria Centrale, Sezione di Roma, la quale, ritenendo necessario acquisire ulteriori elementi per la disamina del caso, con ordinanza istruttoria del 6.6.2011, assegnava al Senato della Repubblica il termine di 90 giorni affinchè fornisse il proprio parere circa la natura giuridica del Fondo di solidarietà.
Il Senato della Repubblica, con nota del 22.09.2011, precisava che “il contributo di solidarietà è un istituto legato allo status di parlamentare, estraneo al sistema di diritto comune e definito dall’autonomo ordinamento interno delle Camere. Il suo ammontare è determinato nella misura dell’80 per cento dell’importo mensile lordo dell’indennità parlamentare – di cui alla L. 31 ottobre 1965, n. 1261, art. 1 – moltiplicato per ogni anno di mandato. Il Fondo di solidarietà è alimentato dal versamento di un contributo mensile pari al 6,70 per cento dell’indennità parlamentare lorda, interamente a carico dei parlamentari (moltiplicando la percentuale del 6,70 per cento per dodici mesi dell’anno si ottiene, appunto l’80% dell’indennità mensile lorda). L’indennità parlamentare è interamente sottoposta all’imposta sui redditi delle persone fisiche ai sensi dell’art. 50 – Redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente – del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, comma 1, lett. g). La somma ritenuta mensilmente, a titolo di contribuzione in favore del Fondo di solidarietà, è considerata onere deducibile ai fini della formazione dell’imponibile fiscale. Da quanto esposto emerge che il contributo di solidarietà – denominato assegno di solidarietà quando viene erogato al senatore in vita all’atto della cessazione dal mandato (ossia in caso di mancata rielezione) – non può essere giuridicamente assimilato nè al trattamento di fine rapporto nè all’indennità di buonuscita” (ric. p. 8).
La CTC, cn sentenza n. 4452 depositata il 28.2.2013, avvalendosi delle osservazioni rese dal Senato, riteneva che correttamente l’assegno di solidarietà fosse stato sottoposto a tassazione, e per l’effetto respingeva il ricorso delle odierne comparenti perchè ritenuto privo di fondamento.
Avverso la decisione adottata dalla Commissione Tributaria Centrale, Sezione di Roma, hanno proposto ricorso per cassazione R.F., Re.La., Re.Li. e Re.Fl., quali eredi di Re.Fr., affidandosi ad un unico, articolato, motivo di impugnazione, confermando la richiesta di riconoscimento del diritto alla restituzione delle somme trattenute. L’Agenzia delle Entrate ha depositato atto di costituzione tardiva, invocando il disposto di cui all’art. 370 c.p.c., comma 1, al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione orale della causa.
All’udienza camerale del 30.4.2019 il Collegio, letto l’art. 375 c.p.c., u.c., tenuto conto della peculiarità e novità delle questioni sollevate, in ordine alle quali non si rinvengono precedenti nella giurisprudenza di legittimità, disponeva la trattazione in pubblica udienza del giudizio. All’esito della pubblica udienza celebrata il 19.9.2019, la causa era trattenuta in decisione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. – Le ricorrenti contestano, con il loro unico motivo di impugnazione, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione del TUIR, D.P.R. n. 917 del 1986, art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17, comma 1, nella versione vigente ratione temporis, in relazione all’art. 111 Cost., comma 7, per avere la Commissione Tributaria Centrale confermato il contestato diniego di rimborso “sulla scorta di considerazioni interamente mutuate dalla giurisprudenza costituzionale formatasi in relazione al diverso istituto dell’assegno vitalizio spettante ai parlamentari cessati dalla carica” (ric. p. 17), erroneamente concludendo nel senso della piena assimilazione del “vitalizio in questione” al reddito da lavoro dipendente. In definitiva, sottopongono alla Corte di legittimità il seguente quesito di diritto: “se sia o meno conforme a diritto, e in particolare al TUIR, art. 16, comma 1 e art. 17, comma 1 (nella versione vigente ratione temporis) la decisione dei giudici a quibus la quale, non tenendo conto del fatto che il contributo di solidarietà spettante agli eredi del parlamentare deceduto in costanza di mandato costituisce un’indennità equipollente al trattamento di fine rapporto formata per intero da contribuzioni previdenziali obbligatorie poste a carico del parlamentare medesimo, ne riconosce l’imponibilità negando il rimborso della ritenuta alla fonte operata su tale contributo dal competente ramo del Parlamento al momento della relativa erogazione” (ric. p. 17).
2.1. – Mediante il loro motivo di impugnazione le ricorrenti contestano la violazione di legge in cui sarebbe incorsa la Commissione Tributaria Centrale, Sezione di Roma, per aver motivato la propria decisione, circa la imponibilità dell’assegno di solidarietà secondo il regime della tassazione separata, facendo riferimento alle considerazioni spese dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 289 nel 1994, in merito all’incostituzionalità della L. n. 154 del 1989, art. 2, comma 6 bis, che aveva comportato l’applicazione agli assegni vitalizi, spettanti ai parlamentari cessati dal mandato, di un trattamento tributario privilegiato, trascurando però che tali argomentazioni “non assumono, evidentemente, alcuna rilevanza rispetto al diverso problema della natura e del regime tributario del suddetto contributo” (ric. p. 11).
Ancora, “non accorgendosi dell’errore nel quale, per tal via, è incorsa, la Commissione stessa non solo si riferisce ripetutamente al contributo di solidarietà della cui imponibilità si controverteva fra le parti come al “vitalizio in questione” (v. p. 4 della decisione) ma, oltretutto, conclude nel senso della sua presunta “piena assimilazione… al reddito di lavoro dipendente” (ric. p. 10).
Secondo le ricorrenti non vi sarebbe, invece, alcun dubbio in merito al fatto che il contributo di solidarietà sia da qualificare come “indennità equipollente al trattamento di fine rapporto”, ai sensi del TUIR, art. 17, comma 1, lett. a), che dispone l’assoggettabilità a tassazione separata sia del trattamento di fine rapporto, di cui all’art. 2120 c.c., sia delle “indennità equipollenti, comunque denominate, commisurate alla durata dei rapporti di lavoro dipendente, compresi quelli di cui all’art. 47 (oggi, art. 50), comma 1, lett. a), d) e g)”. Tra i rapporti di lavoro assimilati a quelli di lavoro dipendente, di cui all’art. 47, lett. g), dovrebbe ritenersi compreso anche l’incarico di membro di uno dei rami del Parlamento della Repubblica. Il contributo di solidarietà, ribadiscono le odierne comparenti, si risolve in una “indennità equipollente al trattamento di fine rapporto” (ric., p. 11 s.), commisurata alla durata dell’incarico di parlamentare, in quanto tale somma viene corrisposta all’avente diritto nell’ipotesi di mancata rielezione o di suo decesso.
La natura del contributo di solidarietà quale “indennità equipollente al trattamento di fine rapporto” sarebbe risultata confermata dalla stessa Amministrazione finanziaria che, con Circolare n. 2 del 05.02.1986, ha sussunto entro la fattispecie degli emolumenti qualificabili come indennità di fine rapporto anche “le indennità percepite per la cessazione dalla carica di membro del Parlamento”.
Ne conseguirebbe, ad avviso delle ricorrenti, la non imponibilità dell’assegno di solidarietà ai sensi dell’art. 17 TUIR, comma 1, lett. a) e dell’art. 19 TUIR, comma 2 bis, anche “in virtù del fatto che si tratta di un emolumento formato interamente da contribuzioni di tipo previdenziale poste a carico del parlamentare cessato dalla carica o deceduto” (ric. p. 13). Il Giudice delle leggi con sentenza n. 178 del 07.07.1986 avrebbe, difatti, affermato che “se le indennità percepite in relazione alla cessazione del rapporto lavorativo sono formate (anche) da contribuzioni poste a carico dei loro stessi beneficiari, allora esse non sono imponibili per la parte riconducibile, appunto, a tali contribuzioni senza che possa attribuirsi una qualche rilevanza, in senso contrario, alla circostanza che, per tale via, non trovi applicazione alcuna forma di tassazione, nè al momento della contribuzione, nè al momento della percezione dell’indennità” (ric. p. 15).
Occorre allora osservare che, pacificamente, al termine del mandato parlamentare, l’onorevole riceve dal Fondo di solidarietà fra i Senatori l’assegno di fine mandato, erogato sulla base di contributi interamente posti a carico dei Senatori, ai quali è trattenuto mensilmente il 6,7 per cento dell’indennità lorda, corrispondente circa all’80% di un’indennità mensile lorda. La somma viene dedotta annualmente dal reddito imponibile.
Il (TUIR) D.P.R. n. 917 del 1986, art. 17, comma 1, dispone, analogamente a quanto previsto per il trattamento di fine rapporto dei lavoratori dipendenti, il regime di tassazione separata dell’assegno di fine mandato, per evitare che si sommi al reddito dell’anno in cui esso viene incassato, conseguendone la possibile applicazione di un’aliquota fiscale più elevata. Secondo la ricostruzione del quadro normativo vigente proposta dalle ricorrenti, la norma appena ricordata deve essere, però, letta in combinato disposto con il D.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR), art. 19, comma 2 bis, che riguarda il metodo di tassazione separata dell’indennità spettante ai dipendenti pubblici (buonuscita per gli statali) e agli assimilati (fra i quali, anche i parlamentari). La disposizione prevede che la base imponibile dell’assegno deve essere determinata in funzione dell’incidenza dell’onere sopportato dal datore di lavoro rispetto al totale del contributo previdenziale.
Nel regime lavorativo del dipendente pubblico, pertanto, l’onere di fornire la provvista necessaria per la costituzione dell’accantonamento è posto, per larga parte, a carico del datore di lavoro. Diversamente, nel caso del Senatore la quota da accantonare per l’indennità di parlamentare è interamente imputata a quest’ultimo. Deve quindi tenersi conto dei principi esposti dalla stessa Corte costituzionale con n. 178 del 1986, liddove la Consulta ha affermato che “la capacità contributiva deve essere intesa come idoneità soggettiva all’obbligazione tributaria, mentre alla L. 26 settembre 1985, n. 482, artt. 2 e 4 non colpiscono effettive manifestazioni di essa, per la parte in cui assoggettano ad imposizione somme affluite al Fondo gestito dall’E.N.P.A.S., in base a contribuzioni, gravanti sul dipendente e corrisposte direttamente dallo Stato. Infatti, per la parte afferente in via virtuale a tale contribuzione, è illogico ritenere che la indennità di buonuscita si profili come reddito, cosicchè la tassazione di essa lede il principio di capacità contributiva, tenuto anche conto che l’art. 53 Cost., comma 1, va interpretato nel senso che a situazioni uguali debbono corrispondere uguali regimi impositivi e, correlativamente, a situazioni diverse un trattamento tributario disuguale. Pertanto, sono costituzionalmente illegittimi – per contrasto con l’art. 53 Cost., comma 1 – alla L. 26 settembre 1985, n. 482, art. 2 e art. 4, commi 1 e 4, nella parte in cui non prevedono che dall’imponibile da assoggettare ad imposta vada detratta anche una somma pari alla percentuale dell’indennità di buonuscita, corrispondente al rapporto esistente alla data del collocamento a riposo tra il contributo del 2,50% posto a carico del pubblico dipendente e l’aliquota complessiva del contributo previdenziale obbligatorio versato al Fondo di previdenza dell’E.N.P.A.S.” (massima ufficiale, n. 12487). Ne discenderebbe, secondo la tesi difensiva, che nel caso del contributo di solidarietà dei Senatori della Repubblica, trattandosi di un accantonamento formato esclusivamente mediante contributi versati dal parlamentare, l’imposta Irpef non dovrebbe essere corrisposta in alcuna misura.
Si osservi che una delle conseguenze di una simile ricostruzione sarebbe che, qualora il Senato della Repubblica dovesse ritenere di elevare la misura del contributo di solidarietà dal 6,7% dell’indennità corrisposta ad una percentuale anche di molto superiore il parlamentare, sulle somme corrispostegli in forma differita in dipendenza dall’incarico svolto, non verserebbe alcuna somma a titolo di Irpef, stante il regime di deduzione dall’imponibile delle somme destinate al Fondo di solidarietà in occasione dell’accantonamento delle stesse, e di esenzione dall’imposizione all’atto della corresponsione.
Diversamente opinando, potrebbe però anche operarsi riferimento a principi generali ed osservare che, essendo il fondo di solidarietà comunque alimentato mediante distrazione di una parte della indennità percepita dal parlamentare, la stessa non può che avere natura sostanziale di una retribuzione differita, corrisposta in conseguenza della cessazione dell’incarico parlamentare. Sembra opportuno ricordare, in proposito, che questa Corte di legittimità ha già avuto modo di osservare, in materia che presenta alcuni elementi di analogia, che “in tema di IRPEF, le quote del Fondo di previdenza aziendale dell’Isveimer corrisposte agli iscritti, ai sensi del D.L. 24 settembre 1996, n. 497, art. 4, convertito in L. 19 novembre 1996, n. 588, a seguito della messa in liquidazione del predetto ente, non sono assimilabili a prestazioni corrisposte in dipendenza di un contratto di assicurazione sulla vita o di capitalizzazione, e non sono quindi qualificabili, neppure in via analogica, come redditi di capitale; esse non hanno nemmeno natura risarcitoria, non essendo volte a compensare gli aventi diritto del sacrificio loro imposto o della perdita del trattamento integrativo (il cui ristoro, peraltro, sarebbe risultato comunque assoggettabile a tassazione, ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 6, comma 2), ma ad estinguere immediatamente i loro crediti a costi ridotti; esse, in quanto destinate, secondo le intenzioni, ad essere corrisposte dopo la cessazione del rapporto di lavoro, trovano in quest’ultimo la loro fonte giustificatrice, ed essendo volte a compensare la perdita di redditi futuri hanno natura di retribuzione differita e funzione previdenziale, tale da giustificare l’applicazione in via analogica del regime fiscale previsto dal D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 16,18 e 48 per il trattamento di fine rapporto e le altre indennità ad esso equiparabili”, Cass. 2.4.2007, n. 8200; e la Suprema Corte ha pure recentemente specificato che “in tema di IRPEF, l’indennità supplementare corrisposta, all’atto della cessazione dal servizio, dal Fondo di previdenza per i dipendenti del Ministero delle finanze ha funzione esclusivamente previdenziale ed è assimilabile alle “indennità equipollenti” di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 17, comma 1, sicchè rappresenta una forma di retribuzione differita con applicazione di tassazione separata e non integrale”, Cass. 25.10.2017, n. 25396.
Invero le ricorrenti affermano che le somme accantonate presso il fondo di solidarietà hanno natura indennitaria e sono completamente assimilabili al trattamento di fine rapporto, e pertanto troverebbe applicazione il ricordato principio sancito dalla Corte costituzionale con sentenza n. 178 del 1986, in conseguenza del quale la parte dei contributi versati dal lavoratore non sarebbe assoggettabile a tassazione. La natura di componenti del trattamento di fine rapporto del senatore dei fondi versati quali “assegno di solidarietà”, invero, si è visto essere stata espressamente esclusa dalla stessa amministrazione del Senato. Non sembra allora privo di un possibile fondamento sostenere che la reale natura giuridica del contributo di solidarietà sia piuttosto quella di una retribuzione a corresponsione posticipata – comunque manifestazione di capacità contributiva ai sensi dell’art. 53 Cost. – che, non essendo stata assoggettata ad imposizione all’atto dell’accantonamento, deve esservi sottoposta quando viene erogata, potendo peraltro il Senatore giovarsi del beneficio discendente dall’applicazione del regime agevolato proprio della tassazione separata. Tenuto conto della novità della questione proposta, in ordine alla quale non si registrano precedenti specifici nella giurisprudenza di legittimità, e dell’elevato rilievo anche sistematico della decisione che occorre adottare, valutato che occorre decidere in ordine ad una questione di massima di particolare importanza, il Collegio ritiene opportuno trasmettere il processo al Primo Presidente ai sensi dell’art. 374 c.p.c., comma 2, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite di questa Corte.
P.Q.M.
Dispone la trasmissione del ricorso introdotto da R.F., Re.La., Re.Li. e Re.Fl. al Primo Presidente, per l’eventuale rimessione alle Sezioni Unite civili di questa Corte.
Così deciso in Roma, il 19 settembre 2019.
Depositato in cancelleria il 12 dicembre 2019