Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.32618 del 12/12/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. PERRINO Angel – Maria –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. MELE Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2690-2015 preposto da:

COMPAGNIA ITALIANA ALLUMINIO SPA COMITAL, in persona del Presidente del C.d.A. e legale rappresentante pro tempore, domiciliato in ROMA P.ZZA CAVOUR presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avvocato CLAUDIO D’ALESSANDRO con studio in TORINO VIA CIBRARIO 12, giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DI *****, AGENZIA DELLE ENTRATE DI *****;

– intimati –

Nonchè da:

AGENZIA DELLE ENTRATE DI *****, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente incidentale –

contro

COMPAGNIA ITALIANA ALLUMINIO SPA COMITAL, in persona del Presidente del C.d.A. e legale rappresentante pro tempore, domiciliato in ROMA P.ZZA CAVOUR presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avvocato CLAUDIO D’ALESSANDRO con studio in TORINO VIA CIBRARIO 12, giusta delega in calce;

– controricorrente all’incidentale –

e contro

AGENZIA DELLE DENTRATE DI *****;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1203/2014 della COMM. TRIB. REG. del PIEMONTE, depositata il 23/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/05/2019 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MELE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. IMMACOLATA ZENO che ha concluso per il rigetto del ricorso principale, accoglimento del 1 motivo dell’incidentale;

udito per il ricorrente l’Avvocato D’ALESSANDRO che si riporta agli atti;

udito per il controricorrente l’Avvocato COLLABOLLETTA che si riperta agli atti.

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 1203/26/2014 depositata il 23.10.2014 e non notificata, la commissione tributaria regionale del Piemonte confermava – salvo il capo relativo alle sanzioni, la cui misura rideterminava in Euro diecimila- la sentenza della commissione tributaria provinciale di Torino di rigetto del ricorso proposto dalla Compagnia Italiana Alluminio spa (COMITAL), esercente attività di produzione di alluminio e semilavorati, avverso avviso di accertamento, relativo all’anno di imposta 2007, con il quale -sulla premessa della illegittima emissione di fatture senza addebito di IVA da parte di COMITAL, per operazioni ritenute erroneamente assoggettate al regime speciale dell’inversione contabile (c.d. reverse charge), previsto per le cessioni di rottami ferrosi dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 74, comma 7 – recuperava a tassazione IVA Euro 1.405.584,00, oltre sanzioni ed interessi, imposta calcolata applicando l’aliquota ordinaria del 20% sull’ammontare complessivo dei corrispettivi delle vendite dei laminati di alluminio, qualificati come rottami, alla ditta Ferbert di B.D. per un importo di Euro 7.027.920,41.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione COMITAL affidandolo a tre motivi.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate, che spiega a sua volta ricorso incidentale affidato a tre motivi.

Resiste al ricorso incidentale, con rituale controricorso, la società contribuente.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Va premesso – per come si legge nella sentenza impugnata- “che l’accertamento scaturisce da una complessa ed articolata attività ispettiva, coinvolgente diversi operatori, sull’intero flusso commerciale dei “rottami” venduti da COMITAL Secondo quanto descritto nell’avviso impugnato, le indagini hanno portato alla luce una vasta frode fiscale che ha visto coinvolte più società, realizzata tramite l’emissione e l’utilizzo di fatturazioni oggettivamente false; nello specifico, la DERMET srl, dopo avere acquistato dalla FERBERT di B.D. i laminati di alluminio impropriamente commercializzati da COMITAL, come “rottami metallici”, senza applicazione dell’IVA ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 74, in seguito li vendeva, sempre come rottami, in regime di reverse charge, per la trasformazione in semilavorati, a SYNERGICOM, società cartiera che, senza eseguire alcuna lavorazione, li cedeva tal quali, con esposizione di IVA (poi non versata all’erario), nuovamente a DERMET la quale, a sua volta, li rivendeva come prodotti finiti, e quindi con applicazione dell’IVA, alla L.A.G. – Laminati Alluminio Gallarate, in tal modo fruendo di un indebito credito IVA e di una indebita deduzione di costi sulle predette forniture”.

Il ricorso principale consta dei seguenti tre motivi: 1) “Violazione/Falsa applicazione di norme di diritto. Art. 360 c.p.c., n. 3. Norme violate: art. 111 Cost.; D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, n. 4”; 2) “Violazione/Falsa applicazione di norme di diritto. Art. 360 c.p.c., n. 3. Norme violate: D.P.R. n. 633 del 1972; artt. 1, 27 e 74, D.P.R. n. 100 del 1998, art. 1; VI Direttiva 17 maggio 1997, 77/388/CEE, art. 17; Direttiva CEE 28 novembre 2006, n. 112, artt. 1-206”; 3) “Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5)”.

– Va premesso che la ricorrente dà per ammesso di avere “errato, comunque in buona fede, nel qualificare come rottami i beni compravenduti” e che “debba applicarsi la pena pecuniaria ridotta di Euro diecimila, come sentenziato dalla commissione regionale”, laddove – in sede di appello – la medesima parte aveva sostenuto (motivo 2) essere stato il materiale in questione correttamente considerato, ai fini dell’applicabilità del regime dell’inversione contabile, quale rottame.

– Con il motivo sub 1), la ricorrente censura la sentenza per contraddittorietà della motivazione, assumendo che “…per accogliere l’appello in punto sanzione, il ragionamento logico della commissione regionale deve essere necessariamente transitato attraverso la considerazione dell’assolvimento del tributo. Il che è contraddittorio con il rigetto (implicito) dell’appello in punto recupero del tributo”, per rilevare, conclusivamente, che “…la commissione da un lato ammette il regolare assolvimento del tributo da parte dell’acquirente e dall’altro, non pronunziandosi sul punto, pur oggetto di esplicita domanda giudiziale, nel confermare l’impugnata sentenza della commissione provinciale salvo in punto sanzione, implicitamente rigetta l’appello della contribuente”.

Il motivo è inammissibile.

Va premesso che la sentenza impugnata ha affermato -nella parte che interessa il motivo di ricorso in commento- che “…l’appellante non è risultata direttamente coinvolta nel meccanismo fraudolento posto in essere da DERMET, esaurendosi la propria responsabilità nell’irregolare applicazione, in qualità di cedente, del meccanismo derogatorio dell’inversione contabile previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 74, violazione generata dall’errata convinzione che i beni venduti potessero fiscalmente essere inquadrati come rottami. Non emergono inoltre dall’avviso di accertamento sufficienti elementi per escludere con certezza la buona fede della contribuente nell’avere ritenuto che l’imposta, avuto riguardo alle transazioni commerciali dalla stessa poste in essere, fosse stata assolta, nelle forme consentite dal meccanismo dell’inversione contabile, dal cessionario, se si considera che a corollario delle risultanze svolte dalla Guardia di Finanza si dà atto dell’esito positivo del controllo di coerenza formale esterna eseguito su FERBERT (foglio n. 55 verbale di verifica) e della conseguente applicabilità a COMITAL della norma sanzionatoria attenuata di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 9 bis, (verbale di verifica, foglio n. 30)”.

Con il motivo in commento la contribuente si limita a ribadire la correttezza della rimodulazione delle sanzioni, operata dalla CTR sulla base delle considerazioni sopra trascritte; ma la sentenza fa registrare, in punto sanzioni – per come si è in precedenza evidenziato – l’acquiescenza della contribuente, la quale riduce la propria doglianza a una asserita lacuna di consequenzialità logica della sentenza, doglianza peraltro meramente assertiva e sfornita della necessaria specificità (“…il ragionamento logico della commissione regionale deve essere necessariamente transitato attraverso la considerazione dell’assolvimento del tributo”).

– Con il motivo sub 2), la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sia incorsa nella violazione della normativa comunitaria ivi citata, che esclude la possibilità di duplicazione dell’obbligazione tributaria.

Il motivo non è fondato.

L’assunto della contribuente si fonda sul presupposto -errato- che la CTR abbia ritenuto come accertato il versamento da parte del B. dell’IVA secondo il meccanismo del c. d. reverse charge: il che non è dato ricavare da nessun passaggio della sentenza impugnata.

In ogni caso sovviene il principio affermato da questa sezione, la quale, sulla premessa che “La frode opera come limite generale al principio fondamentale di neutralità dell’IVA” (e la fattispecie in esame ha, anche, natura fraudolenta), ha affermato che “…. trattandosi nella specie dell’IVA detratta dalla cessionaria col regime domestico d’inversione contabile però a fronte di frode con fatture emesse da cartiere per operazioni soggettivamente inesistenti, non può trovare applicazione il più generale principio secondo cui il diritto alla detrazione non può essere negato nei casi in cui l’operatore nazionale non ha applicato – o non ha applicato correttamente – la procedura dell’inversione contabile senza violazione dei requisiti sostanziali” (per ultimo cass. 16679/2016).

E’ da escludere poi che sussista la denunciata violazione della normativa comunitaria. Invero una recentissima sentenza della Corte di Giustizia (8 maggio 2019 in causa C-712/17), a seguito di pregiudiziale proposta dalla CTR della Lombardia – dalla quale non si reputa di doversi discostare – ha affermato, per quanto di interesse nella presente sede, che “…. quando una operazione di acquisto di un bene o di un servizio è inesistente, essa non può avere alcun collegamento con le operazioni del soggetto passivo tassato a valle. Di conseguenza, quando manca la realizzazione effettiva della cessione di beni o della prestazione di servizi, non può sorgere alcun diritto a detrazione….. E’ pertanto inerente al meccanismo dell’IVA il fatto che un’operazione fittizia non possa dare diritto ad alcuna detrazione di tale imposta” per concludere che “….la direttiva IVA, letta alla luce dei principi di neutralità e proporzionalità, deve essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale che esclude la detrazione dell’IVA relativa a operazioni fittizie”.

– Con il motivo sub 3), la ricorrente sostiene che la CTR avrebbe dovuto prendere atto dell’avvenuto assolvimento del tributo, da ciò facendo derivare le obbligate conseguenze in tema di divieto di duplicazione dell’obbligazione tributaria.

Il motivo si configura come inammissibile perchè tende a provocare un nuovo giudizio di merito ad opera del giudice di legittimità e, comunque, il fatto storico (sul quale è incentrata la censura ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5) costituito dall’assolvimento dell’IVA da parte del B. è stato considerato ed escluso dalla CTR, per come si è evidenziato in precedenza.

Rigettato il ricorso principale, si può ora passare all’esame del ricorso incidentale, il quale consta di tre motivi recanti, rispettivamente: 1) “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., del D.p.R. n. 633 del 1972, art. 74, comma 7, del D.Lgs. n. 472 del 1997, artt. 3, 5, 6 e 12, del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 5, comma 4, art. 6, comma 1, artt. 4,5 e 9 bis e art. 9, commi 1 e 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”; 2) “Violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 e dell’art. 156 c.p.c., dell’art. 118 disp. att. c.p.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4 e art. 61, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”; 3) “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (come modificato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54)”.

– Con il motivo sub 1), la ricorrente in via incidentale censura la sentenza impugnata nella parte in cui la CTR ha rideterminato il trattamento sanzionatorio irrogato dall’ufficio, osservando che quest’ultimo non era tenuto a dimostrare nè l’inesistenza della buona fede (la cui sussistenza, piuttosto, era onere della contribuente provare) nè l’esistenza di una condotta fraudolenta (la cui sussistenza, sotto il profilo soggettivo e/o oggettivo è condizione, peraltro, perchè le sanzioni siano legittimamente inflitte); inoltre la CTR ha applicato il regime sanzionatorio attenuato avendo riguardo non già al dato oggettivo richiesto dalla norma (“…imposta assolta, ancorchè irregolarmente, dal cessionario o committente ovvero dal cedente o prestatore”) ma a quello soggettivo del convincimento da parte del cedente che il pagamento dell’imposta sarebbe stato effettuato secondo il meccanismo del c.d. reverse charge, sebbene illegittimamente applicato; infine la sentenza impugnata è incorsa nella violazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, comma 3, per la cui applicazione è necessaria la c.d. continuità dell’illecito ovvero che il medesimo fatto sia sanzionabile alla luce sia della disposizione esistente al momento della sua commissione sia della disposizione sopravvenuta ed avrebbe dovuto, per ultimo, la CTR applicare i criteri di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, commi 1, 2 e 7, nella determinazione del trattamento sanzionatorio, vertendosi in una ipotesi di concorso di violazioni.

Il motivo è fondato nei termini che di seguito si espongono.

Il regime sanzionatorio attenuato applicato dalla CTR presuppone -così come richiesto dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 9 bis – che la “…..imposta (sia stata) assolta, ancorchè irregolarmente, dal cessionario ovvero dal cedente o prestatore”; nella specie non risulta che l’imposta erroneamente addebitata al cessionario sia stata effettivamente corrisposta da questi ovvero dal cedente.

La CTR infatti ha affermato che COMITAL “ha certamente violato la norma tributaria ed è quindi sanzionabile” e ha ritenuto, tuttavia, che la società fosse meritevole del predetto trattamento sanzionatorio perchè “non risultata direttamente coinvolta nel meccanismo fraudolento…” e che la violazione in parola sarebbe stata “generata dall’errata convinzione che i beni venduti potessero fiscalmente essere inquadrati come rottami”; il passaggio della sentenza per ultimo trascritto fa seguito al motivato rigetto, da parte della CTR, del secondo motivo di appello con cui la società aveva insistito sulla natura di rottami dei beni in questione; questione della qualificazione della merce destinata poi a costituire oggetto di formale rinuncia da parte della contribuente, la quale ha così prestato rituale acquiescenza su tale punto della decisione in sede di ricorso (pag. 7).

Accolto il primo motivo del ricorso incidentale, la restante parte resta assorbita.

La sentenza impugnata va cassata con rinvio alla commissione tributaria regionale del Piemonte, che, in diversa composizione, regolerà anche le spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale; accoglie il primo motivo del ricorso incidentale, assorbito il resto; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla commissione tributaria regionale del Piemonte, in diversa composizione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo, comma 1 – bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 9 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2019

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