LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MOCCI Mauro – Presidente –
Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –
Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –
Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –
Dott. CAPOZZI Raffaele – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 24011-2018 proposto da:
MINISTERO DELL’INTERNO *****, MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587, in persona dei Ministri pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende, ope legis;
– ricorrenti –
contro
U.P.E.;
– intimate –
avverso l’ordinanza n. 538/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 30/01/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata dell’11/07/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GRASSO GIUSEPPE.
RITENUTO
che la Corte d’appello di Bologna con la sentenza di cui in epigrafe, per quel che qui ancora rileva, respinse l’opposizione avanzata dal Ministero dell’Interno e da quello della Giustizia avverso la decisione con la quale la medesima Corte aveva liquidato al difensore dell’appellante, cittadino straniero extracomunitario richiedente protezione internazionale, ammesso al patrocinio a spese dello Stato, la somma di Euro 1.653,75, per compensi;
ritenuto che avverso la statuizione sull’opposizione ricorrono i Ministeri appellanti, rappresentati e difesi ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, illustrando unitaria, articolata censura e che la controparte è rimasta intimata;
ritenuto che con l’esposto motivo, denunziante violazione e falsa applicazione del T.U. n. 115 del 2002, artt. 75 e 120, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, si sostiene l’inammissibilità della richiesta di liquidazione delle spese di patrocinio a spese dello Stato, assumendo che la decisione avversata era erronea sotto duplice profilo: – il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 120 (T.U. in materia di spese di giustizia), secondo l’assunto impugnatorio, “non può essere aggirata attraverso una seconda richiesta al Consiglio dell’Ordine di valutare la fondatezza della pretesa dopo esser risultati soccombenti in primo grado”, tenuto conto del tenore letterale della disposizione, il quale fa salva solo l’azione di risarcimento del danno nel processo penale; la disciplina regolante l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato nel processo civile costituisce eccezione a quella generale di cui al medesimo T.U., art. 75, rivolta al processo penale (come, peraltro, evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità – sent. n. 21321/2012 -), tenuto conto delle speciali esigenze di tutela connesse all’esercizio della giurisdizione penale, messe in luce dalla Corte Costituzionale (sent. n. 237/2015), la quale, in ragione della limitatezza delle risorse economiche, ha chiarito che sarebbe stato illogico assegnare “lo stesso tipo di protezione, sul piano economico, all’imputato di un processo penale (…) rispetto alle parti di una controversia che coinvolga, o possa coinvolgere, beni o interessi di non equiparabile valore”;
– il T.U. n. 115, art. 82 del “prevede un limite massimo di possibile liquidazione, sicchè i valori medi degli onorari non sono il criterio normale, ma quello massimo della possibile determinazione del compenso” ed anche in questo caso, la diversità di disciplina rispetto al processo penale trova piena giustificazione nella diversità delle situazioni da comparare, con la conseguenza che il minimo tariffario deve reputarsi derogabile (vengono citate le ordinanze n. 350/2005 e n. 201/2006 della Corte Costituzionale); inoltre, i dd.mm. del 2012 e del 2014, a differenza di quello del 2004, non prevedono più il minimo inderogabile.
CONSIDERATO
che la doglianza è in parte manifestamente infondata e in parte inammissibile per le convergenti ragioni di cui appresso:
a) quanto al primo profilo, deve osservarsi che la lettera dell’art. 120 cit. (“La parte ammessa rimasta soccombente non può giovarsi dell’ammissione per proporre impugnazione, salvo che per l’azione di risarcimento del danno nel processo penale”) non supporta le conclusioni delle Amministrazioni ricorrenti, in quanto il significato della disposizione, diametralmente opposto all’assunto, è finalizzata ad assicurare il permanere di efficacia dell’ammissione, pur ove la parte ammessa sia risultata soccombente in primo grado, per l’esercizio dell’azione di risarcimento del danno nel processo penale, mentre per tutti gli altri casi, la norma, lungi dall’istituire un divieto (che, peraltro, avrebbe posto seri profili di compatibilità costituzionale), si limita, come è ovvio, a prevedere la perdita d’efficacia, il che non impedisce che possa essere presentata una nuova istanza per il grado successivo, in relazione alla quale il competente consiglio dell’ordine sarà tenuto a (ri)valutare i presupposti di cui al cit. T.U., art. 121; conferma di quanto esposto, peraltro, si rinviene nel dato testuale di cui al successivo art. 124, comma 2, il quale, sia pure al fine di determinare la competenza del consiglio dell’ordine, richiama il giudizio di cassazione e quello innanzi alle Corti amministrative superiori;
al) non è conferente l’evocazione dei principi affermati dalla Corte Costituzionale con la citata sentenza n. 237/2015, la quale, giudicando “non fondata non fondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto del D.Lgs. 30 maggio 2002, n. 113, art. 76, comma 2, e art. 92 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di spese di giustizia – Testo B), “riprodotti” nel D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia – Testo A), sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost., comma 1, art. 24 Cost., commi 1 e 3, e art. 113 Cost., comma 1" ha ribadito il convincimento, più volte affermato, della non equiparabilità degli interessi in gioco nel processo penale e in quello civile; ben condivisibile valutazione che qui non interferisce con la questione al vaglio, la quale, per essere risolta non impone di mutuare i principi valevoli per il processo penale, trovando, invece, appagante soluzione nella disciplina normativa che regola il patrocinio a spese dello Stato nel processo civile;
a2) appare opportuno enunciare per esplicito sulla base di quanto sopra esposto il seguente principio di diritto: “il T.U., art. 120, in materia di spese di giustizia assicura il permanere di efficacia dell’ammissione, pur ove la parte ammessa sia risultata soccombente in primo grado, per l’esercizio dell’azione di risarcimento del danno nel processo penale, mentre per tutti gli altri casi prevede la perdita d’efficacia dell’ammissione, che non impedisce la possibilità di presentare una nuova istanza per il grado successivo, in relazione alla quale il competente consiglio dell’ordine sarà tenuto a (ri)valutare i presupposti di cui al cit. T.U., art. 121”;
b) quanto al secondo profilo, la doglianza è inammissibile poichè, nel rispetto del parametro di legge la determinazione del quantum è insindacabilmente devoluta al giudice del merito e le Amministrazioni ricorrenti, pur avendo spiegato le ragioni per le quali sarebbe legittimo che i compensi, ridotti per legge alla metà (cit. T.U., art. 130), possano attestarsi al di sotto del minimo, non lamentano, con puntualità di riferimenti tabellari, una liquidazione al di sopra del parametro di legge, il quale impone la riduzione al 50%, lasciando, tuttavia, libero il giudice di determinare il compenso da decurtare, ovviamente tenendo conto del valore della causa e della quantità e qualità delle attività svolte;
considerato che nulla va disposto per il capo delle spese essendo le controparti rimaste intimate.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 11 luglio 2019.
Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2019