LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –
Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 32956/2018 proposto da:
I.B., elettivamente domiciliato in PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA civile della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato Mario Lotti del Foro di Varese, giusta procura speciale allegata al ricorso;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, *****, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12 Avvocatura Generale Dello Stato. che lo rappresenta e difende;
– resistente –
avverso la sentenza n. 625/2018 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 04/04/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/10/2019 dal Cons. Dott. IOFRIDA GIULIA.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Brescia, con sentenza n. 625/2018, depositata in data 4/04/2018, ha confermato la decisione del Tribunale che aveva respinto la richiesta di I.B., cittadino della Nigeria, a seguito di diniego della competente Commissione territoriale, del riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria ed umanitaria.
In particolare, la Corte d’appello, confermando la statuizione di primo grado, ha ritenuto che la vicenda narrata dal richiedente (essere stato costretto a lasciare la Nigeria, in quanto *****, per sfuggire al conflitto tra il suo villaggio e quello confinante, in merito a diritti di proprietà su terreni da coltivare) era inattendibile, in quanto presentava diverse lacune e contraddizioni, non essendo emersi riscontri neppure in ordine al conflitto descritto; quanto alla richiesta di protezione sussidiaria, la regione di provenienza del richiedente (l'*****) non risultava interessata da situazione di violenza indiscriminata o generalizzata (come risultava da Report di Human Rights Watch); non ricorrevano le condizioni per la concessione del permesso per ragioni umanitarie, in difetto di situazioni di vulnerabilità oggettive, con riguardo alla situazione nell’area di provenienza, o soggettive (avendo il richiedente l’età di 22 anni, vivendo lo stesso in Italia da meno di tre anni ed avendo nel Paese d’origine ancora la madre).
Avverso la suddetta pronuncia, I.B. propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che si costituisce al solo fine di partecipare all’udienza pubblica di discussione).
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorrente lamenta: 1) con il primo motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e art. 2697 c.c., in relazione alla violazione dei criteri legali per la valutazione della credibilità del richiedente; 2) con il secondo motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 1, lett. A) della Convenzione di Ginevra de 1951, come modificata dal Protocollo di New York ratificato con L. n. 95 del 1970, nonchè D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 14 e 17 con riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5 in relazione al diniego del riconoscimento dello status di rifugiato, superato il vaglio di credibilità per effetto dell’accoglimento del primo motivo; 3) con il terzo motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c) e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 in relazione al diniego di protezione sussidiaria, per omessa valutazione della situazione generale presente nel paese d’origine, dovendo ritenersi, contrariamente a quanto sostenuto dai giudici di merito, che tutto il territorio nigeriano, compreso l'*****, sia connotato da una situazione di violenza generalizzata, per effetto in particolare delle violenze poste in essere dagli integralisti islamici del gruppo di *****; 4) con il quarto motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19 in relazione al rigetto della richiesta di protezione umanitaria ed all’omessa comparazione tra la situazione oggettiva e soggettiva del richiedente nel paese d’origine (a causa degli atti di persecuzione patiti in Nigeria ed in Libia) ed il livello di integrazione raggiunto in Italia.
2. La prima censura è inammissibile.
In materia di protezione internazionale questa Corte ha da tempo chiarito nel senso che la valutazione in ordine alla credibilità soggettiva del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve stimare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, in forza della griglia valutativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c).
L’apprezzamento, di fatto, risulta censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. 05/02/2019 n. 3340). Sempre questa Corte (Cass. 27503/2018) ha precisato che “l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a) essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati”, cosicchè “la valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c) ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate”.
Sull’indicata premessa, la valutazione sul punto svolta dai giudici di merito si sottrae a sindacato di questa Corte, avendo i primi ritenuto non credibile il racconto, in relazione alle pretese persecuzioni subite in quanto ***** anche per contraddizioni correlate alle lacune nella vicenda narrata in merito al conflitto tra il suo villaggio e quello confinante; nè il ricorrente spiega efficacemente perchè le lacune e contraddizioni specificate dalla Corte d’appello verterebbero su aspetti secondari ed irrilevanti.
3. Il secondo ed il terzo motivo sono del pari inammissibili.
In ordine al secondo deve rilevarsi anzitutto che non è stata efficacemente censurata, per quanto detto sopra, la statuizione in ordine all’inattendibilità del racconto del richiedente.
In ordine poi all’obbligo di cooperazione istruttoria nella materia in esame, come già rilevato da questa Corte (Cass.19197/2015; conf. Cass. 7385/2017; Cass. 30679/2017), “il ricorso al tribunale costituisce atto introduttivo di un giudizio civile, retto dal principio dispositivo: principio che, se nella materia della protezione internazionale viene derogato dalle speciali regole di cui al cit. D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e al D.Lgs. n. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, che prevedono particolari poteri-doveri istruttori (anche) del giudice, non trova però alcuna deroga quanto alla necessità che la domanda su cui il giudice deve pronunciarsi corrisponda a quella individuabile in base alle allegazioni dell’attore”, cosicchè “i fatti costitutivi del diritto alla protezione internazionale devono necessariamente essere indicati dal richiedente, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli in giudizio d’ufficio, secondo la regola generale”. Da ultimo si è chiarito (Cass. 27503/2018) che “in tema di protezione internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a) essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati” (conf. Cass.29358/2018; Cass. 17069/2018).
Inoltre, come precisato sempre da questa Corte (Cass. 29358/2018), una volta assolto l’onere di allegazione, il dovere del giudice di cooperazione istruttoria, e quindi di acquisizione officiosa degli elementi istruttori necessari, è circoscritto alla verifica della situazione oggettiva del paese di origine e non alle individuali condizioni del soggetto richiedente, essendo evidente che, mentre il giudice è anche d’ufficio tenuto a verificare se nel paese di provenienza sia obiettivamente sussistente una situazione talmente grave da costituire ostacolo al rimpatrio del richiedente, egli non può essere chiamato – nè d’altronde avrebbe gli strumenti per farlo – a supplire a deficienze probatorie concernenti la situazione personale del richiedente medesimo, dovendo a tal riguardo soltanto effettuare la verifica di credibilità prevista nel suo complesso dal comma 5 del già citato D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3.
Ora, la censura attinente alla mancata attivazione dei poteri officiosi del giudice investito della domanda di protezione risulta essere assolutamente generica, in relazione al decisum (avendo il giudice merito attivato i poteri di acquisizione officiosa delle informative), e, per conseguenza, priva di decisività: non solo il ricorrente manca di indicare specificamente quali siano le informazioni e le fonti ufficiali delle stesse che, in concreto, avrebbero potuto determinare l’accoglimento del proprio ricorso (nè si fa menzione in ricorso di report aggiornati, con specificazione sulla loro allegazione in sede di merito), ma fa riferimento, sempre generico, alla necessità di acquisire informazioni sulla situazione in Nigeria in particolare, asseritamente caratterizzata da aspri e violenti conflitti interni in tutto il territorio.
Le doglianze sono altresì inammissibili perchè volte a sostituire le proprie valutazioni con quella, svolta, sulla base di informazioni tratte da fonti attuali, insindacabilmente (al di fuori dei limiti dell’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5), mirando, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito – mediante la ricostruzione della situazione politica nella Nigeria, sulla base di articoli e reports – così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. 04/04/2017, n. 8758).
4. Anche il quarto motivo è inammissibile.
La Corte territoriale, in ordine alla protezione umanitaria, ha ritenuto che non ricorressero i presupposi richiesti dalla normativa in tema, avendo il richiedente raggiunto ormai la maggiore età, non ricorrendo particolari situazioni di vulnerabilità in caso di rientro nel Paese di origine, ove egli conserva legami famigliari, avendo ancora la madre.
Quanto, invece, ai maltrattamenti subiti nel Paese di transito (la Libia), questa Corte (Cass. 31676/2018) ha chiarito che “nella domanda di protezione internazionale, l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito (nella specie la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perchè l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide. Il paese di transito potrà tuttavia rilevare (dir. UE n. 115 del 2008, art. 3) nel caso di accordi comunitari o bilaterali di riammissione, o altra intesa, che prevedano il ritorno del richiedente in tale paese”.
Il motivo risulta, in ogni caso, generico: il ricorrente si è limitato a dedurre di avere, sin dall’audizione dinanzi alla Commissione territoriale, il cui racconto è stato poi confermato nel corso del giudizio, narrato di essere stato fatto prigioniero in Libia.
Ma la Corte di merito ha riscontrato l’assenza di una situazione di vulnerabilità meritevole di tutela ai fini del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie.
5. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso.
Non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 18 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2019