Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.32945 del 13/12/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

C.A., rappr. e dif. dall’avv. Donatella Panzarola, elett. dom. presso lo studio dell’avv. Francesca Nestonni, in Roma, via Fulcieri Paulucci de Calboli n. 60, come da procura in calce all’atto;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t. Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Firenze – sezione di Perugia;

– intimati –

per la cassazione della sentenza App. Perugia 27.8.2018, n. 638/2018, cron. 3172/18, rep. 3274/18, R.G. 159/2018;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore Dott. Massimo Ferro alla Camera di consiglio del 14.11.2019;

il Collegio autorizza la redazione del provvedimento in forma semplificata, giusta decreto 14 settembre 2016, n. 136/2016 del Primo Presidente.

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. C.A. impugna la sentenza App. Perugia 27.8.2018, n. 638/2018, cron. 3172/18, rep. 3274/18, R.G. 159/2018 che ha rigettato il suo appello avverso l’ordinanza Trib. Perugia 13.1.2018 che aveva negato la dichiarazione dello status di rifugiato, la protezione sussidiaria e altresì quella umanitaria con concessione del permesso di soggiorno, così non accogliendo l’opposizione del ricorrente al provvedimento della competente Commissione territoriale, la quale aveva escluso i relativi presupposti;

2.1a corte ha condiviso il primo giudizio quanto a non credibilità della narrazione effettuata dall’impugnante, carente di prova sulle ragioni del mancato rientro del medesimo nel Paese d’origine (Gambia), nonchè insussistenza dei presupposti della protezione sussidiaria (per impossibilità di valutazione delle situazioni d’insicurezza e protezione delle autorità statuali) e di quella umanitaria;

3. il ricorso è su cinque motivi.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. con il primo motivo si contesta il carattere meramente apparente della motivazione in punto di non credibilità del ricorrente, con violazione altresì dell’art. 111 Cost., art. 16 Direttiva UE 2013/32, artt. 112 e 132 c.p.c. e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3;

2. con il secondo motivo si censura la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 5 e 7, avendo la corte ignorato i fatti di minaccia di morte e persecuzione rappresentati in giudizio e così l’assenza di protezione nel sistema del Paese di provenienza;

3. con il terzo motivo si contesta il mancato riferimento alla situazione socio-politica del Gambia, avendo omesso il giudice di svolgere accertamenti e dunque in violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27;

4. il quarto motivo contesta, in rapporto al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10, la mancata messa a disposizione da parte dell’autorità di polizia delle informazioni sulla procedura e i diritti-doveri connessi e comunque con consegna delle comunicazioni e atti solo in italiano;

5. il quinto motivo contesta la mancata concessione della protezione umanitaria, in violazione dell’art. 2 Cost., art. 8 CEDU, T.U. n. 286 del 1998, art. 5, essendo mancata un’indagine individualizzata sulla vulnerabilità;

6. il ricorso è complessivamente inammissibile, avendo mancato il ricorrente, per ciascuno dei motivi di censura, di riportare, almeno nei termini essenziali e significativi, il contenuto delle ragioni di doglianza avverso la decisione della commissione territoriale, i fatti specifici ivi rappresentati e le difese interposte avverso la pronuncia del tribunale; appaiono in particolare del tutto generici i riferimenti al contrastato giudizio di credibilità della parte (primo motivo), i fatti di persecuzione dedotti con riguardo al contesto familiare (secondo motivo), gli elementi di raffronto avuto riguardo alla comparabilità (quinto motivo), per ciascuno di essi l’impugnazione risolvendosi in doglianze che contrastano con il principio di necessaria puntualità del ricorso;

7. la corte ha condotto, con apprezzamento di merito insindacabile in questa sede alla luce degli stringenti limiti di censurabilità della motivazione (Cass. s.u. 8053/2014) ed anche con riferimenti di condivisione alle lacune della domanda già riscontrate dal primo giudice, una verifica sui presupposti delle tipologie di protezione oggetto di domanda; la sintesi delle enunciazioni valutative cui è giunta non permette una diversa disamina in questa sede, altresì per i limiti redazionali del ricorso; in realtà la sentenza ha motivatamente e in via preliminare anche escluso la piena attendibilità del ricorrente, in ragione della contraddittorietà delle dichiarazioni rese avanti alla commissione e al primo giudice, così che la pretesa violazione del dovere di cooperazione istruttoria si fonda su una lettura non corretta del principio, cui il Collegio intende dare continuità, per cui “il richiedente è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5” (Cass. 15794/2019), circostanza nella specie positivamente esclusa;

8. va inoltre ricordato, ancora sul punto, che “in tema di riconoscimento della protezione sussidiaria, il principio secondo il quale, una volta che le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad approfondimenti istruttori officiosi, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori, non riguarda soltanto le domande formulate ai sensi dell’art. 14, lett. a) e b), del predetto decreto, ma anche quelle formulate ai sensi dell’art. 14, lett. c), poichè la valutazione di coerenza, plausibilità e generale attendibilità della narrazione riguarda “tutti gli aspetti significativi della domanda” (art. 3, comma 1) e si riferisce a tutti i profili di gravità del danno dai quali dipende il riconoscimento della protezione sussidiaria” (Cass. 4892/2019, 18446/2019); in ogni caso il ricorrente non ha allegato alcuna classe di impedimenti, fatti valere in giudizio ed erroneamente trascurati, giustificanti i limiti del proprio corredo probatorio o contributo istruttorio;

9. il terzo motivo è ulteriormente inammissibile, avendo il ricorrente espresso l’invocazione di una mera diversa conclusione, a sè favorevole, quale discendente da una generalizzata situazione di pericolosità che avrebbe interessato l’intero Gambia, secondo un giudizio del tutto generico e solo alternativo a quello cui è giunta la corte; questa, escludendo ognuna delle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ha in particolare – e per quanto in estrema sintesi – negato l’emersione di una minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona per violenza indiscriminata, anche ai sensi della lett. c) art. cit.; il che rende insuperabile il dato, presupposto nella sentenza impugnata, per cui la prospettazione persecutoria al ricorrente è risultata del tutto indiretta e generica; invero, la stessa “nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia” (Cass. 13858/2018, 18306/2019);

10. il quarto motivo è a sua volta inammissibile non avendo il ricorrente provato di aver già introdotto, e ritualmente, nel processo la questione che, al di là della sua rilevanza quale vizio di nullità del procedimento, appare conseguentemente nuova e, come tale, non esaminabile in sede di legittimità; si ripete che “qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di specificità del motivo, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla S.C. di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione” (Cass. 15430/2018, 20694/2018);

11. il quinto è inammissibile, dovendosi ripetere, con Cass. 23778/2019 (pur sulla scia di Cass. 4455/2018), che “occorre il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale, mediante una valutazione comparata della vita privata e familiare del richiedente in Italia e nel Paese di origine, che faccia emergere un’effettiva ed incolmabile sproporzione nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa, da correlare però alla specifica vicenda personale del richiedente… altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 cit., art. 5, comma 6"; si tratta di principio ribadito da Cass. s.u. 29460/2019;

il ricorso va dunque dichiarato inammissibile e sussistono i presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. 9660/2019, 25862/2019).

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2019

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