LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –
Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. SUCCIO Roberto – rel. Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27737/2016 R.G. proposto da:
GRAPHITE s.r.l. in liquidazione in persona del suo legale rappresentante pro tempore rappresentata e difesa giusta delega in atti dall’avv. Simona Arpinati (PEC simona.arpinati.ordineavvocatiravenna.eu) e dall’avv. Anselmo Carlevaro con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma via G.G.
Porro n. 8;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE DOGANE in persona del direttore pro tempore rappresentata e difesa dall’avvocatura generale dello Stato (PEC ags.rm.mailcert.avvocaturastato.it) con domicilio eletto presso quest’ultima in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna n. 1150/6/16 depositata il 28/04/2016 non notificata;
Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 19/09/2019 dal consigliere Dott. Succio Roberto.
RILEVATO
che:
– con la sentenza di cui sopra la Commissione Tributaria Regionale ha accolto l’appello dell’Amministrazione Finanziaria, riformando la pronuncia di prime cure che aveva annullato il provvedimento di irrogazione di sanzioni impugnato;
– avverso la sentenza di seconde cure propone ricorso per Cassazione l’Agenzia delle Entrate con ricorso affidato a tre motivi; l’Amministrazione Doganale resiste con controricorso.
CONSIDERATO
che:
– con il primo motivo di ricorso la contribuente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 295 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per avere la CTR, pur in pendenza del giudizio relativo all’accertamento dei maggiori diritti doganali e dell’iva dal quale discendeva l’irrogazione delle sanzioni qui contestate, omesso di sospendere il giudizio in attesa della definizione della controversia sul merito della pretesa tributaria;
– il motivo è inammissibile per sopravvenuta perdita di interesse;
– va premesso che, come questa Corte ha già sancito (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 22673 del 05/11/2015, conf. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 11441 del 01/06/2016) in tema di contenzioso tributario, va effettivamente cassata con rinvio la sentenza che decida la causa pregiudicata (nella specie, avente ad oggetto il provvedimento d’irrogazione di sanzione amministrativa) in base alla decisione, non ancora passata in giudicato, della causa pregiudiziale (nella specie, consistente nell’annullamento dell’avviso di rettifica, presupposto della sanzione applicata), dovendosi, in tale ipotesi, disporre la sospensione del processo pregiudicato ex art. 295 c.p.c.;
– risulta incontroverso, dalla lettura della sentenza gravata, che all’epoca del deposito della stessa fosse pendente il giudizio di cassazione;
pertanto, in attesa della definizione della causa pregiudiziale la CTR avrebbe dovuto piuttosto sospendere il presente giudizio ai sensi dell’art. 295 c.p.c., norma che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, si applica anche al processo tributario e ricorre qualora risultino pendenti davanti a giudici diversi procedimenti legati tra loro da un vincolo di pregiudizialità tale che la definizione dell’uno costituisce indispensabile presupposto logico-giuridico dell’altro, nel senso che l’accertamento dell’antecedente venga postulato con effetto di “giudicato”, in modo che possa astrattamente configurarsi l’ipotesi di conflitto di giudicati (Cass.2214/2011; 1865/2012);
– peraltro, osserva la Corte che i giudizi pregiudiziali, in allora pendenti agli r.g. 13574, 13577, 13578, 13580, tutti del 2015, risultano decisi da questo giudice con sentenze n. 26635 depositata in data 21.12.2016; n. 16944 depositata in data 25.06.2019; n. 16945 depositata in pari data; n. 16946 pure depositata in pari data;
– con tali sentenze questa Corte ha dichiarato inammissibili i ricorsi della contribuente avverso la pronuncia della CTR che aveva confermato la legittimità degli avvisi di accertamento doganali impugnati;
– conseguentemente, la relazione di pregiudizialità non risulta più sussistente;
– il secondo motivo di ricorso denuncia violazione del reg. UE n. 512/2013 della Commissione 4 giugno 2013 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per avere la CTR dell’Emilia Romagna erroneamente ritenuto soggetta ad autorizzazione l’importazione posta in essere dalla contribuente, autorizzazione non necessaria in quanto relativa a beni di numero inferiore a 300;
– il terzo motivo di ricorso censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vale a dire per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti per non avere la CTR preso in esame la questione relativa alla mancanza di “elusione” del divieto antidumping nel caso di importazioni di parti in numero minore di 300;
– i motivi sono strettamente connessi tra di loro e possono esaminarsi quindi congiuntamente poichè costituiscono in sostanza frammentazione di una medesima censura;
– la disciplina in questione, infatti, come correttamente affermato sia pure in termini sintetici dalla CTR, prevede – e recentemente lo ha statuito anche questa Corte (v. Cass. n. 14582 del 06/06/2018; Cass. Sez. 5 n. 29531 del 16/11/2018) – la necessità della preventiva autorizzazione per poter fruire del regime di esenzione dal dazio antidumping. In particolare: 1) l’art. 82 del Codice Doganale Comunitario, prevede che la merce, in caso di importazione in esenzione in ragione dell’utilizzazione “per fini particolari”, resta “soggetta a vigilanza doganale”, sicchè, in forza dell’art. 292 disp. att. CDC, “è necessaria una autorizzazione scritta”; 2) il quarto considerando del Reg. CE n. 88 del 1997 prevede, poi, che “le importazioni di parti essenziali di biciclette sono esonerate dal pagamento del dazio esteso qualora siano ammesse nell’ambito del controllo della destinazione particolare”, mentre l’art. 2 del Reg. cit. espressamente condiziona l’esenzione “al controllo della destinazione particolare conformemente all’art. 14”; 3) il citato art. 14, infine, espressamente prevede “Le importazioni di parti essenziali di biciclette dichiarate per l’immissione in libera pratica da un soggetto che non sia esentato, a partire dalla data di entrata in vigore del regolamento di riferimento sono esentate dall’applicazione del dazio esteso se sono dichiarate in conformità della struttura Taric di cui all’allegato III e delle condizioni di cui all’art. 82 del Regolamento (CEE) n. 2913/92 e agli articoli da 291 a 304 del Regolamento (CEE) n. 2454/93 che si applicano in quanto compatibili nei casi seguenti: a) consegna di parti essenziali di biciclette ad una parte esentata a norma degli artt. 7 o 12, b) consegna di parti essenziali di biciclette ad un altro titolare di un’autorizzazione in conformità dell’art. 291 del Regolamento (CEE) n. 2454/93, oppure c) dichiarazione, su base mensile, di un quantitativo inferiore alle 300 unità per tipo di parti essenziali di biciclette per l’immissione in libera pratica da una parte o sia ad essa consegnato. Il numero di parti essenziali di biciclette dichiarate da una parte, oppure consegnate ad una parte qualsiasi, viene calcolato con riferimento al numero di parti di biciclette dichiarate o consegnate a tutte le parti associate o legate da accordi di compensazione con detta parte”. Il termine “oppure”, su cui la ricorrente fonda la propria tesi, non ha alcun valore di alternatività, ma solo che le ipotesi, pur diverse, non sono diversificate ma sono oggetto del medesimo trattamento poichè postulano tutte, ai fini dell’esenzione, l’esistenza delle condizioni e dei requisiti previsti dai regolamenti 2913/92 e 2454/93;
– tale interpretazione, del resto, ha trovato pieno conforto nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, la quale, con la sentenza 29 luglio 2010, C-371/09, proprio con riguardo al dazio per l’importazione di parti di biciclette, ha affermato la necessità dell’autorizzazione, non surrogabile dal mero riscontro dei presupposti materiali per il suo rilascio (par. 41-42: “l’art. 14 del regolamento di esenzione,… nel concedere l’esenzione dai dazi antidumping di cui trattasi, rinvia esplicitamente alle condizioni di cui agli artt. 291-304 del regolamento di applicazione, con riserva di queste ultime. Tra tali condizioni figura quella relativa al rilascio di un’autorizzazione preventiva ex art. 292 del regolamento di applicazione… il legislatore ha esplicitamente e specificamente subordinato il beneficio dell’esenzione al rilascio di una siffatta autorizzazione… la sola circostanza che l’importatore abbia rispettato il limite quantitativo di cui all’art. 14, lett. c), del regolamento di esenzione sarebbe sufficiente per concludere che “le altre condizioni per l’applicazione” sono soddisfatte, equivarrebbe a rendere lettera morta l’imposizione della condizione dell’autorizzazione preventiva… detto articolo prevede un’esenzione dai dazi antidumping e, pertanto, va interpretato restrittivamente”; v. anche successivamente Corte di Giustizia, sentenza 17 settembre 2014, C-3/13);
– ne deriva l’irrilevanza del quantitativo (più o meno di 300 unità) ai fini dell’autorizzazione, che resta sempre necessaria; con ciò risultando irrilevante ogni profilo “elusivo” al quale il ricorrente fa rimando nel proprio atto, dal momento che il sistema normativo complessivamente interpretato non prevede nessun caso in cui non sia, come detto, comunque, gli atti …. sono diventati definitivi …
– quanto poi alla ultimà parte del terzo motivo, che si incentra (pag. 12 del ricorso) sul difetto di colpa e sulla sussistenza delle condizioni di obiettiva incertezza normativa ai fini dell’esclusione delle sanzioni unica parte dei mezzi di gravame direttamente volta a censurare il profilo sanzionatorio, qui unico rilevante, invero – la stessa è in parte inammissibile e comunque infondata;
– con riguardo al difetto di colpa, questa Corte ritiene che (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 12901 del 15/05/2019) in tema di sanzioni amministrative per violazioni tributarie, ai fini dell’esclusione di responsabilità per difetto dell’elemento soggettivo, grava sul contribuente ai sensi del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5 la prova dell’assenza assoluta di colpa, con conseguente esclusione della rilevabilità d’ufficio, occorrendo a tal fine la dimostrazione di versare in stato di ignoranza incolpevole, non superabile con l’uso dell’ordinaria diligenza;
– sul punto, il contribuente non indica nè trascrive gli atti del primo grado di giudizio dai quali si evince aver tempestivamente eccepito prima e dimostrato poi la insussistenza di tal difetto dell’elemento soggettivo la contestazione, di guisa che questa Corte non è posta in grado di apprezzarne neppure la tempestività, oltre che la fondatezza, non risultando bastevole la semplice indicazione di una generica affermazione contenuta nella comparsa di costituzione (rectius controdeduzioni) in appello;
– inoltre, con riguardo all’ulteriore profilo dell’incertezza normativa, che rileva in quanto oggettiva, questa Corte ha chiarito (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 15452 del 13/06/2018) come in tema di sanzioni amministrative tributarie, l’incertezza normativa oggettiva – che deve essere distinta dalla ignoranza incolpevole del diritto, come si evince dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6 – è caratterizzata dalla impossibilità di individuare con sicurezza ed univocamente la norma giuridica nel cui ambito il caso di specie è sussumibile e può essere desunta da alcuni “indici”, quali, ad esempio: 1) la difficoltà di individuazione delle disposizioni normative; 2) la difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica; 3) la difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata; 4) la mancanza di informazioni amministrative o la loro contraddittorietà; 5) l’assenza di una prassi amministrativa o la contraddittorietà delle circolari; 6) la mancanza di precedenti giurisprudenziali; 7) l’esistenza di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, specie se sia stata sollevata questione di legittimità costituzionale; 8)il contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale; 9) il contrasto tra opinioni dottrinali; 10) l’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di una disposizione implicita preesistente;
– nel presente caso, in primo luogo parte ricorrente non trascrive in ricorso il contenuto il contenuto della nota del 29 ottobre 2008 dell’Agenzia delle Dogante n. 79/2008 cui fa rimando (e neppure ne riporta il contenuto argomentativo), in violazione del canone dell’autosufficienza; secondariamente, il solo elemento dell’esistenza di una nota (non di una risoluzione nè di circolari) dell’Amministrazione doganale che ne affermerebbe la sussistenza, non risulta sufficiente a far ritenere che sussistano obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni;
– conseguentemente pertanto, il ricorso va rigettato;
– la soccombenza regola le spese;
– sussistono i presupposti per il c.d. “raddoppio” del contributo unificato.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; liquida le spese in Euro 5.600 oltre a spese prenotate a debito che pone a carico di parte ricorrente.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 19 settembre 2019.
Depositato in cancelleria il 14 dicembre 2019