LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –
Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –
Dott. TRIA Lucia – Consigliere –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 24199/2016 proposto G.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BELLUNO, 16, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO FERIOZZI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato RITA MARIA PORTINCASA;
– ricorrente –
contro
MINISTERO ISTRUZIONE UNIVERSITA’ RICERCA;
– intimato –
avverso la sentenza n. 2062/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 15/04/2016 R.G.N. 8073/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/09/2019 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CIMMINO Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
udito l’Avvocato GIULIO MURANO per delega Avvocato RITA MARIA PORTINCASA.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 2062 del 2016, ha accolto l’impugnazione proposta nei confronti di G.A. dal MIUR, avverso la sentenza emessa tra le parti dal Tribunale di Viterbo, rigettando la domanda proposta dalla lavoratrice per il riconoscimento, ai fini dell’anzianità di servizio, degli anni di lavoro prestati negli istituti paritari nel periodo che va dall’anno scolastico 2001/2002 all’anno scolastico 2006/2007, con conseguente diritto all’attribuzione del relativo punteggio ai fini della ricostruzione della carriera.
2. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre la lavoratrice prospettando quattro motivi di ricorso.
3. Il MIUR è rimasto intimato.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, in relazione all’art. 435, comma 3, avuto riguardo alla data di effettiva notifica del ricorso in appello e del pedissequo decreto di fissazione dell’udienza di discussione.
Assume la ricorrente che controparte non aveva proceduto alla notifica dell’appello almeno 25 giorni prima dell’udienza fissata con decreto dopo il deposito dell’atto di impugnazione.
L’Amministrazione, quindi, all’udienza del 21 ottobre 2014, aveva chiesto termine per depositare l’appello già notificato.
All’udienza di rinvio del 17 novembre 2015 l’Amministrazione, tuttavia, non depositava appello già notificato prima del 21 ottobre 2014, ma atto di appello con la notifica effettuata per la data del 17 novembre 2015, e quindi tardiva, con conseguente inammissibilità dell’impugnazione, in ragione delle disposizioni processuali che ne regolano i termini.
2. Il motivo non è fondato.
La Corte d’Appello ha rigettato l’eccezione di inammissibilità dell’appello per tardività della notifica, in quanto all’udienza del 21 ottobre 2014 veniva dato un nuovo termine di sessanta giorni per rinnovare la notifica poichè quella precedentemente effettuata non era andata a buon fine.
La Corte d’Appello ha precisato di avere esaminato la ritualità della notifica, esibita dall’Amministrazione all’udienza, che non era andata a buon fine.
Quindi, il giudice di appello, nel dare termine per la rinotifica, ha fatto corretta applicazione dei principi enunciati da questa Corte atteso che si era in presenza di una notificazione nulla e non inesistente (Cass., S.U., n. 14916 del 2016).
Nè la ricorrente ha contestato in modo circostanziato accertamento svolto dal giudice di appello, atteso che anche la censura ex art. 360 c.p.c., n. 4 (Cass., S.U., n. 8077 del 2012) resta soggetta alle regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito, nel senso che la parte ha l’onere di rispettare il principio di specificità del ricorso e le condizioni di procedibilità di esso (in conformità alle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4).
3. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione alla L. n. 62 del 2000, art. 1, commi 1 e 3, alla C.M. n. 163 del 15 giugno 2000, al D.Lgs. n. 297 del 1994, artt. 355, 356, art. 360, comma 6 e art. 485, L. n. 27 del 2006, art. 1-bis, alla nota n. 0069064 della Ragioneria generale dello Stato; e in via analogica: al D.Lgs. n. 255 del 2001, art. 2, comma 2, alla tabella 2) promanante dal MIUR ed allegata al DDR 16 marzo 2007, avuto riguardo alla possibilità di computare ai fini economici e di carriera il periodo di servizio prestato dagli insegnanti delle scuole paritarie.
Assume la ricorrente che il D.Lgs. n. 276 del 1994, art. 485, regolava le scuole pareggiate.
La L. n. 62 del 2000 aveva disciplinato le scuole paritarie.
La circolare n. 163 del 2000 aveva messo in evidenza come il personale docente delle scuole paritarie dovesse avere titolo di stuolo abilitante ovvero specifica abilitazione, e che il rapporto di lavoro doveva essere conforme ai contratti collettivi di settore, così pervenendo ad una omogeneità tra il servizio d’insegnamento presso le scuole statali e quello alle dipendenze degli istituti paritari privati. La circolare prevedeva, inoltre, il riconoscimento della parità alle scuole pareggiate, già riconosciute.
Il D.L. n. 205 del 2005, art. 1-bis, conv. dalla L. n. 27 del 2006, regolava il fenomeno della successione, in ragione della previsione delle scuole paritarie.
La nota 0069064 della Ragioneria generale dello Stato riconosceva che la L. n. 62 del 2000, non aveva modificato nulla con riguardo al riconoscimento dei servizi pre-ruolo.
Il D.L. n. 255 del 2001, all’art. 2, comma 2, dava rilievo al servizio pre-ruolo, così come il DDR 16 marzo 2007 con riguardo alle graduatorie ad esaurimento del personale docente.
La ricorrente richiamava a sostegno del riconoscimento del servizio pre-ruolo la giurisprudenza di merito e quella amministrativa.
In ragione di tale excursus la lavoratrice ha affermato che la previsione del D.Lgs. n. 295 del 1994, art. 485 (recte: n. 297) dovrebbe trovare applicazione anche per le scuole paritarie, con conseguente riconoscimento del servizio pre-ruolo prestato presso le stesse.
4. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione o falsa applicazione dell’art. 360, n. 3 e, per quanto occorra, n. 5, c.p.c., in relazione al D.M. 28 dicembre 2000 e al D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 485.
E’ censurata la statuizione secondo cui non poteva riconoscersi il servizio pre-ruolo in quanto l’Istituto *****, presso cui la G. aveva prestato servizio quale docente, era un istituto legalmente riconosciuto.
La ricorrente assume di aver dedotto nella comparsa di costituzione in appello che si trattava di scuola paritaria in virtù del disposto del D.M. 28 dicembre 2000, che peraltro aveva gli stessi requisiti delle scuole pareggiate.
Pertanto, vi era stato l’omesso esame di un fatto rilevante erroneamente dato per incontroverso.
5. Con il quarto motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione alla L. n. 62 del 2000, art. 1, comma 1, ed all’art. 2 della Circolare MIUR n. 153 del 2000, avuto riguardo all’inserimento ex lege delle scuole pareggiate nel novero delle scuole paritarie.
6. I suddetti motivi di ricorso, secondo, terzo e quarto, devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione.
6.1. Preliminarmente, va rilevato che è applicabile alla fattispecie l’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo modificato dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (pubblicata sulla G.U. n. 187 dell’11.8.2012), di conversione del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, che consente di denunciare in sede di legittimità unicamente l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti.
Hanno osservato le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. n. 19881 del 2014 e Cass. S.U. n. 8053 del 2014) che la ratio di detto intervento normativo è ben espressa dai lavori parlamentari lì dove si afferma che la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ha la finalità di evitare l’abuso dei ricorsi per cassazione basati sul vizio di motivazione, non strettamente necessitati dai precetti costituzionali, e, quindi, di supportare la funzione nomofilattica propria della Corte di cassazione, quale giudice dello ius constitutionis e non dello ius litigatoris, se non nei limiti della violazione di legge.
Il vizio di motivazione, quindi, rileva solo allorquando l’anomalia si tramuta in violazione della legge costituzionale, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.
Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”, sicchè quest’ultima non può essere ritenuta mancante o carente solo perchè non si è dato conto di tutte le risultanze istruttorie e di tutti gli argomenti sviluppati dalla parte a sostegno della propria tesi.
Pertanto, sono inammissibili le censure sopra esposte riferite all’art. 360 c.p.c., n. 5, non ravvisandosi nella sentenza di appello, in ragione del percorso motivazionale che ha tenuto conto degli atti di causa, le suddette lacune, e non potendosi in sede di legittimità procedere ad un riesame delle risultanze istruttorie.
6.2. E’ inammissibile anche la censura prospettata con il terzo motivo di ricorso, con la quale si denuncia l’omesso esame di una prospettazione difensiva svolta nella comparsa di costituzione in appello.
Ed infatti, la ricorrente non riproduce, anche ai fini della valutazione della rilevanza della doglianza, quanto illustrato in appello, con difetto di specificità della stessa, atteso che la proposizione del motivo di censura resta soggetta alle regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito, nel senso che la parte ha l’onere di rispettare il principio di specificità del ricorso e le condizioni di procedibilità di esso (in conformità alle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), sicchè, anche qualora la censura sia stata proposta o venga sussunta nell’ambito dell’art. 360 c.p.c., n. 4, l’esame diretto degli atti che la Corte è chiamato a compiere è pur sempre circoscritto a quegli atti ed a quei documenti che la parte abbia specificamente indicato ed allegato (Cass., S.U., n. 8077 del 2012).
6.3. La censura, come illustrata nei diversi motivi di ricorso, relativa alla prospettazione della estensibilità della disciplina delle scuole pareggiate alle scuole paritarie, e della computabilità del servizio pre-ruolo presso scuole paritarie di secondo grado nella determinazione dell’anzianità di servizio del docente con rapporto di lavoro di impiego pubblico contrattualizzato, in sede di ricostruzione della carriera, non è fondata.
6.4. La Costituzione (art. 33 Cost., comma 3) sancisce il diritto dei privati di istituire scuole e istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.
Essa (art. 33 Cost., comma 2) affida inoltre alla legge ordinaria il compito di fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, assicurando ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni delle scuole statali.
6.5. Prima della L. 10 marzo 2000, n. 62, nell’ordinamento vi erano, accanto alle scuole statali, due tipologie di scuole private: quelle che non rilasciavano titoli di studio avente valore legale e quelle – parificate, pareggiate, legalmente riconosciute – che avevano tale legittimazione.
6.6. Occorre ricordare, in particolare, che il D.Lgs. n. 297 del 1994, nell’ambito dell’istruzione non statale, per l’istruzione secondaria, disciplinava oltre il riconoscimento legale, il pareggiamento.
Per la concessione del pareggiamento, occorreva, tra l’altro che le cattedre fossero occupate da personale nominato, secondo norme stabilite con regolamento, in seguito ad apposito pubblico concorso, o che fosse risultato vincitore, o avesse conseguito la votazione di almeno sette decimi in identico concorso generale o speciale presso scuole statali o pareggiate o in esami di abilitazione all’insegnamento corrispondente, ovvero per chiamata, dal ruolo di scuole di pari grado, statali o pareggiate, ai sensi del R.D. 21 marzo 1935, n. 1118, art. unico, lett. b).
Il D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 485, al comma 1, stabiliva che: “Al personale docente delle scuole di istruzione secondaria ed artistica, il servizio prestato presso le predette scuole statali e pareggiate, comprese quelle all’estero, in qualità di docente non di ruolo, è riconosciuto come servizio di ruolo, ai fini giuridici ed economici, per intero per i primi quattro anni e per i due terzi del periodo eventualmente eccedente, nonchè ai soli fini economici per il rimanente terzo. I diritti economici derivanti da detto riconoscimento seno conservati e valutati in tutte le classi di stipendio successive a quella attribuita al momento del riconoscimento medesimo”.
6.7. Con la L. n. 62 del 2000, il legislatore ha sancito che il sistema nazionale di istruzione, fermo restando quanto previsto dall’art. 33 Cost., comma 2, è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e pubbliche degli enti locali.
Si afferma (L. n. 62 del 2000, art. 1, secondo periodo) che “La Repubblica individua come obiettivo prioritario l’espansione dell’offerta formativa e la conseguente generalizzazione della domanda di istruzione dall’infanzia lungo tutto l’arco della vita”.
Le scuole paritarie costituiscono, insieme alle scuole statali, il sistema nazionale di istruzione, secondo un modello pluralistico integrato.
La parità è riconosciuta alle scuole non statali che ne fanno richiesta e che siano in possesso dei requisiti stabiliti dalla legge, tra cui: personale docente fornito del titolo di abilitazione; contratti individuali di lavoro per personale dirigente e insegnante che rispettino i contratti collettivi nazionali di settore.
6.8. Questa Corte, con la sentenza n. 4080 del 2018, ha affermato, in tema di scuole private riconosciute, che, ai sensi della L. n. 62 del 2000, art. 1, commi 4 e 6 e della L. n. 86 del 1942, artt. 3 e 6, l’abilitazione all’insegnamento è requisito di validità del contratto di lavoro avente ad oggetto mansioni di insegnamento; ne consegue che il mancato possesso del titolo di abilitazione rende nullo il contratto a termine concluso con una scuola paritaria e, pur accertata la illegittimità del termine, ne preclude la trasformazione in contratto a tempo indeterminato.
Le scuole paritarie svolgono un servizio pubblico e sono soggette alla valutazione dei processi e degli esiti da parte del sistema nazionale, secondo standard stabiliti dalla legge; a queste condizioni la scuola paritaria è abilitata al rilascio dei titoli di studio (Corte Cost., n. 220 del 2007, n. 242 del 2014).
7. Successivamente, il D.L. n. 255 del 2001, conv. dalla L. n. 333 del 2001, nel dettare “Disposizioni urgenti per assicurare l’ordinato avvio dell’anno scolastico 2001/2002", ha stabilito che nell’integrazione delle graduatorie permanenti, i servizi di insegnamento prestati dal 1” settembre 2000 nelle scuole paritarie sono valutati nella stessa misura prevista per il servizio prestato nelle scuole statali.
8. Interveniva, quindi, il D.L. n. 250 del 2005, art. 1-bis, convertito dalla L. n. 27 del 2006, che sanciva come le scuole ron statal di cui alla parte II, titolo VIII, capi I, II e III, del testo unico di cui al D.Lgs. n. 297 del 1994, sono ricondotte alle due tipologie di scuole, scuole paritarie riconosciute ai sensi della L. 10 marzo 2000, n. 62, e scuole non paritarie.
9. L’attuale disciplina delle scuole paritarie si inserisce in una più ampia evoluzione del sistema scolastatico.
Nel tempo, l’attuazione dell’art. 33 Cost., ha visto, infatti, il legislatore modificare progressivamente un assetto organizzativo caratterizzato dal governo centrale della scuola, pervenendo, tra l’altro, ad una pluralità di centri di riferimento in ragione dell’affermazione dell’autonomia scolastica, e dell’integrazione tra scuola pubblica e scuola paritaria privata.
9.1. La Corte costituzionale ha avuto un ruolo significativo in materia, basti pensare alla pronuncia n. 42 del 2003 che ha dichiarato inammissibile la richiesta referendaria intervenuta su diverse disposizioni della L. n. 62 del 2000.
Il Giudice delle Leggi, nel ritenere inammissibile la richiesta di referendum ha affermato che “Le scuole paritarie, che, per effetto di una pronuncia popolare, si vorrebbero escludere dal sistema nazionale di istruzione, ne costituirebbero invece parte integrante alla stregua della disciplina più dettagliata che non è toccata dal quesito referendario. Ove si conformino ai prescritti standard qualitativi, esse non potrebbero infatti non concorrere, con le scuole statali e degli enti locali, al perseguimento di quello che la stessa legge definisce “obiettivo prioritario della Repubblica”, vale a dire “l’espansione della offerta formativa e la conseguente generalizzazione della domanda di istruzione dall’infanzia lungo tutto l’arco della vita””. (…) “il principio della esclusione dal sistema scolastico nazionale che si pretende di introdurre in via referendaria rence attiva una connotazione discriminatoria a carico delle scuole private, pur a fronte ci una disciplina dettagliata che realizza un sostanziale regime di parità” (citata sentenza n. 42 del 2003).
9.2. La Corte costituzionale ha altresì affermato (sentenza n. 33 del 2005) che “la L. n. 62 del 2000, nel prevedere l’istituzione delle scuole paritarie, quali componenti del sistema nazionale di istruzione, ha altresì dettato un principio, valido per tutte le scuole inserite in detto sistema di istruzione, volto a rendere effettivo il diritto allo studio anche per gli alunni iscritti alle scuole paritarie, da essa disciplinate”.
10. Senza dubbio il legislatore ha inteso riconoscere all’insegnamento svolto nelle scuole paritarie private lo stesso valore di quello che viene impartito nelle scuole pubbliche, garantendo un trattamento scolastico equipollente agli alunni delle une e delle altre, da intendere tale equipollenza non solo con riguardo al riconoscimento del titolo di studio, ma anche con riguardo alla qualità del servizio di istruzione erogato dall’istituzione scolastica paritaria.
Come già affermato dalle Sezioni Unite (Cass., S.U., n. 9966 del 2017) nel sistema così delineato, la scuola statale e quella paritaria devono garantire i medesimi standard qualitativi.
11. Tuttavia, ciò non dà luogo all’equiparazione del rapporto di lavoro che intercorre con la scuole paritaria, con quello instaurato in regime di pubblico impiego privatizzato, attesa la persistente non omogeneità dello status giuridico del personale docente, come si evince già dalla modalità di assunzione, che nel primo caso può avvenire al di fuori dei principi concorsuali di cui all’art. 97 Cost..
11.1. Sul punto è significativa la statuizione contenuta in Cass. n. 11595 del 6 giugno 2016, che ha affermato: “Va altresì rammentato che il lavoro pubblico e il lavoro privato non possono essere totalmente assimilati (Corte Cost., sentenze n. 120 del 2012 e n. 146 del 2008) e le differenze, pur attenuate, permangono anche in seguito all’estensione della contrattazione collettiva a una vasta area del lavoro prestato alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, e che la medesima eterogeneità dei termini posti a raffronto connota l’area del lavoro pubblico contrattualizzato e l’area del lavoro pubblico estraneo alla regolamentazione contrattuale (Corte Cost., sentenza n. 178 del 2015): in particolare i principi costituzionali di legalità ed imparzialità concorrono comunque a conformare la condotta della pubblica Amministrazione e l’esercizio delle facoltà riconosciutele quale datore di lavoro pubblico in regime contrattualizzato” (…) “D’altro canto la peculiarità del rapporto di lavoro pubblico, rinviene la sua origine storica, non solo nella natura pubblica del datore di lavoro, ma nella relazione che sussiste tra la prestazione lavorativa del dipendente pubblico e l’interesse generale, tutt’ora persistente anche in regime contrattualizzato”.
12. Non sussiste quindi, in mancanza di una norma di legge – come invece nella fattispecie di cui al D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 485 – la necessaria premessa della omogeneità delle posizioni professionali per pervenire al riconoscimento del servizio pre-ruolo prestato presso le scuole paritarie in via interpretativa.
Nè è applicabile il D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 485, in quanto attiene alla diversa fattispecie delle scuole pareggiate.
13. Argomenti a sostegno della tesi della ricorrente non possono trarsi neppure dalla disciplina della L. n. 333 del 2001, art. 2, comma 2 e dal D.L. n. 370 del 1970, art. 2, come convertito dalla L. n. 576 del 1970, art. unico.
La prima disposizione, infatti consente di valutare il servizio pre-ruolo, ma sempre nell’ambito della procedura che disciplina la costituzione del rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato, ambito in cui si collocano anche le disposizioni regolamentari richiamate dalla lavoratrice.
La seconda disposizione (si v., in particolare il comma 2), riprodotta dal D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 485 (si v., Cass., n. 1035 del 20141 prevede, ai fini giuridici ed economici, il riconoscimento, a favore del personale docente delle scuole elementari statali, del periodo di insegnamento pre-ruolo prestato, tra l’altro, nelle scuole materne statali o comunali, e dunque regola una fattispecie che esula da quella in esame (scuole secondarie paritarie).
Peraltro, un’interpretazione più ampia della norma (Corte Cost., sentenza n. 228 del 1986, Cass., n. 1035 del 2014), richiederebbe un’omogeneità (si v. anche Cass. n. 16623 del 2012, relativa al D.L. n. 370 del 1970, art. 1), nella specie di status giuridico dei docenti, in mancanza della quale “una differenza di trattamento appare giustificata sul piano obiettivo e funzionale relativamente al complessivo sistema scolastico unitariamente considerato” (Cass. n. 16623 del 2012).
14. Il ricorso deve essere rigettato.
15. Nulla spese.
16. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 -quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2019