LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –
Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –
Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –
Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –
Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22724/2016 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A., *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 190 (AREA LEGALE TERRITORIALE CENTRO DI POSTE ITALIANE), presso lo studio dell’Avvocato ROBERTA AIAZZI, che la rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
O.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RENO 21, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO RIZZO, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1877/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 29/03/2016 r.g.n. 1619/13.
RILEVATO
che, con sentenza depositata il 29.3.2016, la Corte di appello di Roma ha riformato la pronunzia del Tribunale della stessa sede n. 15461/2012, resa il 2.10.2012, dichiarando la nullità del termine apposto ai contratti stipulati tra Poste Italiane S.p.A. e O.C., dal 17.1.2005 al 31.3.2005 e dall’1.7.2005 al 20.9.2005, “ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, per ragioni di carattere sostitutivo correlate alla specifica esigenza di provvedere alla sostituzione del personale addetto al servizio smistamento e movimentazione carichi, presso il Polo Corrispondenza Lazio, assente nel periodo dal 17.1.2005 al 31.3.2005 ed in quello dall’1.7.2005 al 20.9.2005”, nonchè la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con la prosecuzione giuridica del rapporto dopo il 31.3.2005, ancora in atto, e con la condanna della società a corrispondere a O.C. l’indennizzo della L. n. 183 del 2010, ex art. 32, comma 5, nella misura di sei mensilità, oltre rivalutazione e interessi dalla data della sentenza di appello;
che avverso tale decisione Poste Italiane S.p.A. ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi;
che O.C. ha resistito con controricorso;
che il P.G. non ha formulato richieste.
CONSIDERATO
che, con il ricorso, si censura: 1) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “la violazione e falsa applicazione dell’art. 1372 c.p.c., commi 1 e 2 e art. 2697 c.c., in relazione allo scioglimento del rapporto di lavoro per mutuo consenso” e si lamenta che la Corte di Appello abbia ritenuto l’insussistenza dello scioglimento del contratto per mutuo consenso, reputando che il mero decorso del tempo non poteva essere considerato indice della risoluzione consensuale, anche in considerazione del fatto che la società datrice “non ha evidenziato, oltre al lasso di tempo intercorso, specifiche circostanze ad ulteriore dimostrazione del disinteresse dimostrato per la prosecuzione del rapporto di lavoro”; 2) la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto generica la causale apposta ai contratti a termine, nonostante, nella fattispecie, fosse ravvisabile un grado di specificità desumibile dall’indicazione, nella lettera di assunzione: a) delle ragioni sostitutive; b) delle mansioni di applicazione della parte intimata; c) della durata del contratto; d) del luogo/ufficio di applicazione; 3) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 115,116,253,420 e 421 c.p.c., per non avere i giudici di seconde cure valutato l’ammissibilità e la rilevanza degli articolati capitoli di prova, per avere omesso di spiegare le ragioni per cui la prova testimoniale non sarebbe stata meritevole di accoglimento e per non avere considerato che la società aveva comunque compiutamente provato l’esigenza sostitutiva producendo il documento “Mod. 70P”, riportato anche nel presente ricorso, da cui risultano le numerose giornate di assenza per malattia, ferie programmate, congedo, invalidità, infortuni del personale assunto a tempo indeterminato con la stessa mansione, nel medesimo periodo e nel medesimo ufficio di applicazione dell’ O.; 4) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 5 e 6, per avere la Corte distrettuale immotivatamente ritenuto equo l’indennizzo di 6 mensilità, anzichè quello minimo di 2,5 mensilità;
che il primo motivo non è fondato: al riguardo, deve premettersi che la Corte di legittimità ha, in più occasioni, precisato che, “affinchè possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle stesse parti di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo. La mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine, quindi, è di per sè insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, mentre grava sul datore di lavoro, che eccepisca tale risoluzione, l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre fine ad ogni rapporto di lavoro” (così, testualmente, Cass. n. 20605/2014; cfr., pure, nella materia, ex plurimis, Cass. nn. 11262/2013; 5887/2011, 23319/2010, 26935/2008, 20390/2007, 23554/2004).
Orbene, nella fattispecie, la Corte distrettuale si è attenuta a tale consolidato principio e, con una motivazione puntuale relativamente alla non configurabilità del mutuo consenso, ha reputato che la complessiva valutazione di tutti gli elementi del caso concreto non potesse indurre a ritenere cessato il rapporto di lavoro, per mutuo consenso tacito, alla data in cui il contratto si è concluso, poichè il mero decorso di sette anni tra la detta data e la messa in mora del datore di lavoro, con offerta delle prestazioni lavorative da parte del ricorrente non integra una condotta incompatibile, sotto il profilo obiettivo, con la ripresa della funzionalità del rapporto di lavoro, anche in considerazione del fatto che la parte datoriale non ha fornito elementi dai quali potere desumere la volontà dell’ O. di prestare acquiescenza alla conclusione definitiva del rapporto lavorativo di cui si tratta;
che il secondo motivo è fondato: invero, come affermato da questa Corte (cfr. tra le altre Cass. nn. 8766/2014; 23119/2010; 1577/2010; 1576/2010), in tema di assunzione a termine di lavoratori per esigenze sostitutive, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 214/2009, l’onere di specificazione delle ragioni è correlato alla finalità di assicurare la trasparenza e la veridicità della causa di apposizione del termine e l’immodificabilità della stessa; in un quadro caratterizzato dalla definizione di un criterio elastico, che si riflette poi sulla relatività della verifica dell’esigenza sostitutiva in concreto, per la legittimità dell’apposizione del termine è sufficiente, quindi, l’indicazione di elementi ulteriori che consentano di determinare il numero dei lavoratori da sostituire, ancorchè non identificati nominativamente (cfr. Cass. 4267/2011; Cass. n. 27052/2011; Cass. 8966/2012; Cass. n. 13239/2012; Cass. n. 1928/2014);
che, nel caso in esame, non può condividersi, in relazione ai principi sopra enunciati, la valutazione operata dalla Corte di merito circa l’assenza di specificità della clausola apposta al contratto di lavoro a termine stipulato fra le odierne parti per non avere tenuto in debito conto del fatto che erano stati indicati l’ambito territoriale di riferimento (Regione Lazio), il luogo della prestazione lavorativa (Polo Corrispondenza Lazio), le mansioni per le quali il lavoratore era stato assunto (attività di recapito, smistamento e trasporto) asseritamente corrispondenti a quelle dei lavoratori da sostituire, nonchè il periodo di riferimento: elementi questi che senza dubbio rendevano la clausola apposta non generica;
che dalla pronuncia impugnata non emerge, pertanto, una congrua considerazione di tutti gli elementi indicati nel contratto individuale e considerati come significativi dalla giurisprudenza (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 1605/2016; 182/2016);
che anche il terzo motivo è fondato: ed invero, i capitoli di prova testimoniale, articolati in relazione alle circostanze innanzi esplicitate e trascritte sia con l’atto di appello che con il ricorso per cassazione, si dimostravano ammissibili e decisivi per verificare le scoperture temporanee verificatesi nel contesto lavorativo sopra richiamato; peraltro, nella sentenza oggetto del presente giudizio, non si fa alcun riferimento alla copiosa documentazione versata in atti dalla società per provare la sussistenza concreta delle ragioni che avevano indotto a stipulare i contratti a tempo determinato di cui si tratta;
che il quarto motivo risulta, all’evidenza, assorbito in conseguenza dell’accoglimento del secondo e del terzo motivo;
che, per le considerazioni innanzi svolte, il secondo ed il terzo motivo devono essere accolti; rigettato il primo motivo ed assorbito il quarto, con cassazione della sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvio alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, che verificherà la legittimità del termine apposto al contratto provvedendo, altresì, alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo ed il terzo motivo di ricorso; rigetta il primo; assorbito il quarto; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 2 ottobre 2018.
Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2019
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