LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –
Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22557/2015 proposto da:
M.T., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA GIOVANNI RANDACCIO 1, presso lo studio dell’avvocato LEONARDO MUSA, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
L.F., elettivamente domiciliata in ROMA VIA LIMA 31, presso lo studio dell’avv. Claudio URCIUOLI, rappresentata e difesa dall’avv. DANILO D’ARPA;
– contoricorrente avverso la sentenza n. 106/2015 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 17/09/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 02/07/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO.
RITENUTO
che la vicenda, per quel che ancora residua di utilità, può riportarsi nei termini seguenti:
– la Corte d’appello di Lecce, confermò la sentenza di primo grado, la quale, risolto un contratto preliminare per colpa della promissaria acquirente L.F., affermò il diritto del promittente alienante M.T. di trattenere l’importo di Euro 15.000,00, detratto dalla maggiore somma di Euro 60.000, già versata dalla L., a titolo di caparra, alla stipula del contratto;
– la Corte di Lecce rigettò la doglianza del M., il quale si doleva della riduzione della caparra, evidenziando che:
a) sulla base della volontà dei contraenti doveva ritenersi che con il contratto le parti si erano vincolate con reciproche caparre confirmatorie;
b) il giudice aveva il dovere d’ufficio di riportare ad equità la penale, cosa che era stata fatta congruamente dal Tribunale, essendo iniquo l’incameramento di 60.000 Euro a fronte di un corrispettivo di 120.000 Euro;
ritenuto che avverso la sentenza d’appello ricorre M.T. sulla base di due motivi, ulteriormente illustrati da memoria;
L.F., con il controricorso, in via preliminare eccepisse la nullità del ricorso per mancata sottoscrizione del procuratore nella copia notificata, nonchè per mancanza della firma di autentica della procura, sempre nella detta copia.
CONSIDERATO
che l’eccezione preliminare non può trovare accoglimento, condividendo il Collegio il consolidato orientamento di legittimità secondo il quale la mancanza di sottoscrizione da parte del difensore in calce alla procura rilasciata dal rappresentato determina l’inammissibilità del ricorso stesso soltanto se la copia non contenga elementi idonei a dimostrare la provenienza dell’atto dal difensore munito di mandato (ex multis., Sez. 5, n. 1981/2018, Sez. 5, n. 5932/010, Sez. 1, n. 4548/011), circostanza che qui non ricorre, dovendosi, inoltre, escludere che l’omissione di sottoscrizione del procuratore sulla copia dell’atto notificata sia foriera di sanzione processuale, ove l’originale depositato in cancelleria sia sottoscritto (in tal senso si è espressa più volte la giurisprudenza di legittimità in materia tributaria, ma il principio ha portata generale – cfr., Sez. 5, n. 12621/017, Sez. 6 n. 24461/014, Sez. 6, n. 10282/013);
considerato che il primo motivo, con il quale viene denunziata violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366, 1367, 1368, 1369 e 1371, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, assumendosi che dal complessivo tenore del negozio emerge univocamente che le parti “abbiano voluto inserire nel contratto una caparra penitenziale con funzione riparatoria e risarcitoria, oltre che di forte dissuasione all’inadempimento e non già una clausola penale”, in disparte da ogni altra considerazione, è inammissibile per difetto di specificità, sotto il profilo dell’autosufficienza, poichè il contratto non è stato posto nella disponibilità della Corte;
considerato che il secondo motivo, con il quale viene dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 1384 c.c., nonchè dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, per non avere la sentenza gravata reputato necessaria una istanza di riduzione della L., accompagnata dall’allegazione delle circostanze che dimostravano la sproporzione, non coglie nel segno:
– quanto alla prospettata violazione dell’art. 112 c.p.c., la censura è inammissibile, avendo la Corte d’appello esaminato e disatteso la doglianza (cfr. pag. 4);
– quanto alla prospettata violazione dell’art. 1384 c.c., la censura è infondato, poichè in contrasto con la giurisprudenza di legittimità, condivisa dal Collegio, secondo la quale il potere di riduzione ad equità, attribuito al giudice dall’art. 1384 c.c., a tutela dell’interesse generale dell’ordinamento, può essere esercitato d’ufficio, salvo a precisare che l’esercizio di tale potere è subordinato all’assolvimento degli oneri di allegazione e prova, incombenti sulla parte, circa le circostanze rilevanti per la valutazione dell’eccessività della penale, che deve risultare “ex actis”, ossia dal materiale probatorio legittimamente acquisito al processo, senza che il giudice possa ricercarlo d’ufficio (ex multis Sez. L, Sentenza n. 24166 del 13/11/2006, Rv. 593503), materiale probatorio che qui era appunto in actis, avendo il Giudice reputato eccessivamente onerosa una penale corrispondente alla metà del corrispettivo;
considerato che le spese legali debbono seguire la soccombenza e possono liquidarsi siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonchè delle attività espletate;
considerato che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte del ricorrente, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovute.
Così deciso in Roma, il 2 luglio 2019.
Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2019