LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –
Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO Maria Giulia – Consigliere –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2489/2017 R.G. proposto da:
Agenzia delle dogane e dei monopoli, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
– ricorrente –
contro
DHL Express (Italy) Srl, rappresentata e difesa dall’Avv. Alessandro Fruscione, elettivamente domiciliata presso lo studio Santacroce
& Associati in Roma via Giambattista Vico n. 22, giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 3907/9/2016, depositata il 17 giugno 2016;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 settembre 2019 dal Consigliere Fuochi Tinarelli Giuseppe.
RILEVATO
CHE:
DHL Express (Italy) Srl impugnava l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle dogane per l’omesso pagamento dell’Iva all’importazione su operazioni effettuate tra il 18.10.2010 e il 14.11.2011 in sospensione d’imposta per l’indebita utilizzazione del plafond da parte della ditta importatrice, BRE.MA. Srl, per conto della quale la ricorrente aveva agito in regime di rappresentanza indiretta, nonchè per il recupero dei maggiori diritti dovuti per essere stata la merce classificata come display a cristalli liquidi alla VD 9012803000, esente da dazio, anzichè come “altri monitor” alla VD 8528594090, soggetta a dazio nella misura del 14%.
La contribuente deduceva, in particolare, l’insussistenza della propria responsabilità ex art. 202 CDC e la carenza di prova in ordine alla diversa classificazione e alla falsità delle dichiarazioni d’intento.
L’impugnazione, accolta integralmente dalla CTP di Roma, era rigettata dal giudice d’appello, in parziale riforma della decisione di primo grado, limitatamente all’Iva all’importazione.
L’Agenzia delle dogane propone ricorso per cassazione con un motivo. Resiste la contribuente con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale con tre motivi.
CONSIDERATO
CHE:
1. L’unico motivo del ricorso principale denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione dell’art. 201 CDC e dell’art. 2697 c.c. per aver la CTR ritenuto onere dell’Ufficio provare la responsabilità del rappresentante indiretto.
1.1. Il motivo è fondato.
1.2. Nella vicenda in esame è incontroverso che le importazioni sono avvenuta in base alla presentazione di dichiarazioni doganali (e pur con la falsa attestazione dell’origine indicata in Hong Kong anzichè in Cina), sicchè la fattispecie resta sussunta nell’art. 201 CDC.
Va infatti rilevato che l’art. 4, punto 9, CDC, definisce l’obbligazione doganale come l’obbligo di una persona di corrispondere l’importo dei dazi all’importazione applicabili a una determinata merce, sicchè è l’immissione in libera pratica, ossia l’atto di introdurre, nel territorio comunitario, merce di provenienza extracomunitaria, che rappresenta il presupposto dell’obbligazione doganale.
Tale atto, nelle operazioni doganali regolari, è preceduto dalla dichiarazione doganale, che – come anche osservato in dottrina costituisce la manifestazione di volontà dell’importatore (o, comunque, dell’operatore che la presenta) di rendere liberamente commerciabili i beni esteri in un mercato diverso da quello di origine, e tale fattispecie è espressamente regolata dall’art. 201 CDC.
L’art. 202 CDC, invece, prevede che l’obbligazione doganale sorge con l’immissione in libera pratica nel territorio comunitario anche nei casi di “introduzione irregolare” e di “sottrazione indebita al controllo doganale”.
In altri termini, nelle ipotesi contemplate dall’art. 201 CDC la nascita dell’obbligazione è collegata – come per la vicenda in esame – alla dichiarazione doganale, mentre negli altri casi, venendo a mancare l’elemento dichiarativo e l’indicazione della destinazione della merce, opera una presunzione legale di immissione in libera pratica.
1.3. Non è pertinente, poi, il richiamo operato con il primo motivo del ricorso incidentale da parte del controricorrente, alla sentenza della Corte di Giustizia, 2 marzo 2005, C-195/03, la quale, infatti, si riferisce all’ipotesi, radicalmente differente, in cui la dichiarazione doganale forniva una rappresentazione delle merci del tutto irreale, sì da essere considerata inesistente.
1.4. Ne deriva che il rappresentante indiretto è, in quanto tale, soggetto passivo dell’obbligazione doganale in pari misura rispetto all’importatore.
1.5. Va poi escluso che il rappresentante indiretto sia esente da responsabilità per il solo fatto dell’inconsapevolezza della irregolarità della merce, gravando su di esso “l’obbligo di vigilare, con la diligenza qualificata da ragguagliare, ex art. 1176 c.c., comma 2, alla natura dell’attività esercitata, sull’esattezza delle informazioni fornite dall’esportatore allo Stato di esportazione, al fine di evitare abusi, posto che l’Unione Europea non è tenuta a subire le conseguenze di comportamenti scorretti dei fornitori dei suoi cittadini, rientranti nel rischio dell’attività commerciale, e contro i quali gli operatori economici ben possono premunirsi nell’ambito dei loro rapporti negoziali” (Cass. n. 3739 del 08/02/2019; Cass. n. 4059 del 12/02/2019; Cass. n. 5560 del 26/02/2019; Cass. n. 12719 del 23/05/2018), obbligo a cui corrisponde l’onere di provare la ricorrenza delle condizioni idonee a soddisfare i richiesti parametri di diligenza.
1.6. La CTR, invece, ritenuta la correttezza della classificazione operata dall’Ufficio, nel ritenere che spettasse all’Ufficio provare le condizioni in base alle quali “lo spedizioniere avrebbe potuto rendersi conto della irregolare dichiarazione dell’importatore”, ha operato una impropria commistione degli istituti doganali e, in ispecie, delle condizioni per l’imputazione di responsabilità ex art. 202 CDC, norma attiene alla diversa, ed estranea, ipotesi di coloro che hanno comunque partecipato all’introduzione irregolare, mentre, nella vicenda in esame, la responsabilità del dichiarante rispetto alla diversità del bene discende dalla stessa presentazione della dichiarazione d’importazione.
2. Passando al ricorso incidentale, il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione dell’art. 202 CDC per aver la CTR ritenuto la responsabilità del rappresentante indiretto in forza della mendace dichiarazione d’intenti dell’importatore, senza valutare la sussistenza delle condizioni soggettive imposte dalla norma.
2.1. Il motivo è infondato, discendendo tale esito dalle stesse considerazioni prima esposte.
Nella vicenda in esame, infatti, trova applicazione l’art. 201 CDC e non l’art. 202 CDC, derivandone la piena responsabilità del rappresentante indiretto, autore della dichiarazione, per le obbligazioni doganali.
Va ricordato, del resto, che secondo la costante e ripetuta giurisprudenza della Corte, del pagamento dell’Iva all’importazione, derivante dall’indebita utilizzazione del plafond (ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8, comma 1, lett. c) e comma 2), risponde non soltanto l’importatore (autore di una dichiarazione di intento rivelatasi mendace, con l’affermazione di un inesistente status di esportatore abituale), ma anche – ed in via solidale – il suo rappresentante indiretto, che presenti la dichiarazione in dogana, ai sensi del D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 56, assumendo questi la qualità di soggetto responsabile a norma dell’art. 201, punto 3, CDC (v. Cass. n. 9455 del 18/4/2018, relativa alla medesima contribuente; v. anche Cass. n. 1142 del 18/01/2018; Cass. n. 19749 del 19/09/2014; Cass. n. 7720 del 27/03/2013; Cass. n. 1574 del 03/02/2012; Cass. n. 3285 del 02/03/2012; Cass. n. 29585 del 29/12/2011).
L’obbligazione Iva della quale la società DHL Express (Italy) Srl è chiamata a rispondere in via solidale deriva, infatti, dall’importazione e non dalla dichiarazione di intenti e, dunque, ha ad oggetto un diritto che rientra a pieno titolo tra gli oneri doganali (se non anche tra i “diritti di confine”), che deve essere accertato e riscosso nel momento in cui si verifica il presupposto impositivo, costituito dall’importazione, mentre la sospensione d’imposta di cui al citato art. 8 non riguarda la sussistenza del debito Iva (o la sua responsabilità) poichè attiene esclusivamente alla sua esecutività (ossia alla possibilità di essere soddisfatta mediante compensazione).
3. Il secondo motivo del ricorso incidentale denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, violazione dell’art. 112 c.p.c. per aver la CTR omesso di pronunciare sulla doglianza con cui si censurava l’illegittimità, ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 7, dell’avviso di accertamento per “difetto di istruttoria ed assenza di prove certe” in merito alla natura e all’origine delle merci.
3.1. Il terzo motivo del ricorso incidentale denuncia, parimenti, violazione dell’art. 112 c.p.c. per aver la CTR omesso di pronunciare sulla doglianza con cui si censurava, nuovamente, l’atto impugnato per “difetto di istruttoria ed assenza di prove certe in violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7” in merito alla presunta falsità della dichiarazione d’intento dell’importatore.
4. I motivi, che possono essere esaminati unitariamente per l’omogeneità delle censure, vanno disattesi.
4.1. Seppure sia vero, infatti, che la CTR non si è pronunciata, ciò, tuttavia, non giustifica l’accoglimento dei motivi.
Occorre ricordare che la Corte di cassazione, in ragione della funzione nomofilattica ad essa affidata dall’ordinamento nonchè dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111 Cost., comma 2, ha il potere di correggere la motivazione ex art. 384 c.p.c., u.c., , anche in presenza di un error in procedendo (Sez. U, n. 2731 del 02/02/2017; Cass. n. 16171 del 28/06/2017 che ha applicato il principio anche in tema di omessa pronuncia, nel senso che l’omissione “può condurre alla cassazione della sentenza impugnata soltanto se, vertendo su questione di diritto, esso sia fondato, atteso che, nel caso di sua infondatezza, lo iato esistente tra la pronuncia di rigetto ed il mancato esame della censura deve essere colmato dalla Corte di Cassazione facendo uso del proprio potere di correzione della motivazione della sentenza, integrando la decisione di rigetto mediante l’enunciazione delle ragioni di diritto che sostengono il provvedimento opposto, senza necessità di rimettere la causa ad altro giudice affinchè dichiari infondato il motivo non esaminato”).
4.2. Orbene, le doglianze proposte in appello investono, in realtà, la completezza e adeguatezza dell’attività probatoria nell’ambito dell’atto di rettifica, da cui la richiesta di declaratoria di illegittimità, mentre una tale questione è estranea alle condizioni di validità della motivazione dell’avviso di accertamento.
In altri termini, le censure non tengono conto della distinzione tra la questione dell’esistenza della motivazione dell’atto impositivo (in sè neppure posta in dubbio), requisito formale di validità, e quella concernente, invece, l’indicazione e l’effettiva esistenza di elementi dimostrativi dei fatti costitutivi della pretesa tributaria, che non è prescritta quale elemento costitutivo della validità dell’atto impositivo ma è disciplinata dalle regole processuali dell’istruzione probatoria da applicarsi nello svolgimento dell’eventuale giudizio (v. Cass. n. 8399 del 05/04/2013; Cass. n. 9810 del 07/05/2014).
Ne deriva l’infondatezza, in diritto, delle censure.
5. In conclusione, va accolto il ricorso principale e rigettato quello incidentale. In relazione al ricorso accolto, la sentenza va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito con il rigetto, nei medesimi limiti, dell’originario ricorso della contribuente.
Le spese dei gradi di merito, attesa la peculiarità della vicenda e il recente consolidarsi degli orientamenti su taluno dei profili in giudizio, vanno compensate, mentre le spese di legittimità sono liquidate, come in dispositivo, per soccombenza.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso principale e rigetta quello incidentale. In relazione al ricorso accolto, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta, negli stessi limiti, l’originario ricorso della contribuente.
Condanna la contribuente al pagamento delle spese di legittimità a favore dell’Agenzia delle dogane, che liquida in complessivi Euro 2.000,00, oltre spese prenotate a debito. Compensa le spese dei gradi di merito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 10 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2019