Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.34518 del 27/12/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. FICHERA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 19726/2015 R.G. proposto da:

S.L.S. s. r. l. (C.F. *****), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Trunfio Eugenia, elettivamente domiciliata presso il suo studio in Reggio Calabria via Pio IX 161;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate (C.F. *****), in persona del direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocatura generale dello Stato, elettivamente domiciliata presso i suoi uffici in Roma via dei Portoghesi 12;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 7244/19/2014 della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, depositata il giorno 24 dicembre 2014.

Sentita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 14 novembre 2019 dal Consigliere Fichera Giuseppe.

FATTI DI CAUSA

S.L.S. s.r.l. impugnò l’avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate, con il quale vennero ripresi a tassazione maggiori redditi ai fini IRES, IVA e IRAP, per l’anno d’imposta 2006.

L’impugnazione venne parzialmente accolta in primo grado, con la rideterminazione dei maggiori ricavi conseguiti dalla società; proposto appello dalla contribuente, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, con sentenza depositata il giorno 24 dicembre 2014, lo respinse integralmente.

Avverso la detta sentenza, S.L.S. s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad otto motivi, cui ha risposto con controricorso Agenzia delle Entrate.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo deduce la ricorrente la nullità della sentenza impugnata – nonchè di quella di primo grado -, per violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 36 e 62, degli artt. 132 e 156 c.p.c., dell’art. 118 delle disp. att. c.p.c. e degli artt. 24 e 111 Cost., poichè la stessa difetta di una reale motivazione, recependo senza alcuna spiegazioni le ragioni dell’Amministrazione.

1.1. Il motivo è manifestamente infondato, per la decisiva ragione che la sentenza impugnata – l’unica che rileva nel giudizio di legittimità, a differenza di quanto mostra di ritenere l’odierna ricorrente – esamina in maniera analitica i motivi di appello, rispondendo con dovizia di argomenti alle doglianze ivi esposte.

2. Con il secondo mezzo assume di nuovo la nullità della sentenza impugnata, per violazione dell’art. 112 c.p.c., avendo omesso di pronunciare sull’eccezione di inutilizzabilità di elementi meramente indiziari nell’accertamento parziale.

3. Con il terzo mezzo denuncia ancora la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., avendo omesso di pronunciare sull’eccezione avanzata dalla contribuente, a tenore della quale non sarebbe possibile fondare gli accertamenti su indizi se non gravi precisi e concordanti.

4. Con il quarto mezzo lamenta la violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 36 e 62, degli artt. 115 e 116 c.p.c., degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c., nonchè del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, poichè il giudice di merito non ha indicato le fonti di prova utilizzate per ritenere legittimo l’avviso di accertamento impugnato.

5. Con il quinto mezzo assume la violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 41-bis, avendo la commissione tributaria regionale errato nel non considerare la diversità dall’accertamento ordinario rispetto a quello parziale, del quale, nella vicenda all’esame, non ricorrevano i presupposti applicativi.

6. Con il sesto mezzo eccepisce la violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), poichè l’accertamento impugnato non si basava su indizi gravi, precisi e concordanti.

7. Con il settimo mezzo denuncia la violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, comma 1, della L. 21 luglio 2000, n. 212, art. 7, della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, nonchè dell’art. 24 Cost., atteso che la motivazione contraddittoria e fuorviante dell’avviso di accertamento impugnato, risulta essere stata integralmente accolta dal giudice d’appello.

7.1. I sei mezzi, connessi per il comune oggetto, sono tutti manifestamente inammissibili, per le ragioni di cui si dirà.

Lamentando omessa motivazione su questioni sollevate con l’atto di appello, ovvero violazioni di legge, in realtà la ricorrente intende sollecitare a questa Corte un inammissibile riesame dell’accertamento in fatto operato dal giudice di merito, il quale con un’ampia motivazione ha dato conto – analizzandoli uno per uno – degli indizi forniti dall’Amministrazione, che legittimavano il ricorso all’accertamento di maggiori redditi attraverso il c.d. metodo analitico induttivo; fermo restando, poi, che insindacabile, in sede di legittimità appare l’espressa valutazione dei detti indizi in termini di gravità, precisione e concordanza, operata dalla commissione tributaria regionale.

7.2. Priva di qualsivoglia consistenza, poi, si mostra la doglianza riferita all’accertamento parziale oggetto di impugnazione, per l’assorbente considerazione che detto strumento è diretto esclusivamente a perseguire finalità di sollecita emersione della materia imponibile, ma non costituisce un metodo di accertamento autonomo rispetto alle previsioni di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 38 e 39 e del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 54 e 55, bensì una modalità procedurale che ne segue le stesse regole, per cui può basarsi senza limiti anche sul metodo induttivo e il relativo avviso può essere emesso pur in presenza di una contabilità tenuta in modo regolare (Cass. 28/10/2015, n. 21984).

8. Con l’ottavo mezzo deduce di nuovo la violazione degli artt. 24 e 111 Cost., dell’art. 6 CEDU e dell’art. 5 TFUE, par. 4, poichè i giudici di merito hanno violato il diritto di difesa della contribuente, venendo meno agli obblighi di terzietà ed imparzialità, così violando in definitiva i principi del giusto processo.

8.1. Il motivo è manifestamente inammissibile, atteso che la ricorrente neppure indica quali siano state le specifiche violazioni della legge processuale, in thesi poste in essere dai giudici di merito, lamentando in maniera del tutto generica ed apodittica la violazione di taluni principi generali dell’ordinamento.

9. Le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti per l’applicazione nei confronti della ricorrente del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

Respinge il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore della controricorrente, liquidate in complessivi Euro 7.000,00, oltre alle spese anticipate a debito e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 14 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2019

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