Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.10008 del 28/05/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20668-2018 proposto da:

L.P., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato FARAONE VITTORIO;

– ricorrente –

contro

ACQUEDOTTO PUGLIESE S.P.A., in persona del legale Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato BORGIA FRANCESCO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 165/2018 della CORTE D’APPELLO di POTENZA, depositata il 29/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 05/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CIRILLO FRANCESCO MARIA.

FATTI DI CAUSA

1. L.P. convenne in giudizio l’Ente autonomo acquedotto pugliese davanti al Tribunale di Matera e – sulla premessa che gli era stato chiesto il pagamento della somma di lire 14.947.586 quale eccedenza consumi di acqua per l’anno 1996 – chiese che fosse dichiarata tale somma non dovuta, trattandosi di consumi presunti di acqua del tutto incompatibili con le esigenze della sua famiglia, sul rilievo che la somma richiesta fosse frutto di un errore.

Si costituì in giudizio l’Ente convenuto, chiedendo il rigetto della domanda.

Dichiarata l’interruzione del processo a seguito della trasformazione dell’Ente convenuto in Acquedotto pugliese s.p.a., il giudizio fu riassunto nei confronti di quest’ultima.

Il Tribunale rigettò la domanda e compensò le spese di giudizio.

2. La pronuncia è stata impugnata dall’attore soccombente e la Corte d’appello di Potenza, con sentenza del 29 marzo 2018, ha rigettato il gravame, ha confermato l’impugnata sentenza ed ha condannato l’appellante alla rifusione delle spese del grado.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Potenza ricorre L.P. con atto affidato ad un motivo.

Resiste l’Acquedotto pugliese s.p.a. con controricorso.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375, 376 e 380-bis c.p.c., e il ricorrente ha depositato memoria, insistendo per l’accoglimento del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., sostenendo che nessuna prova vi sarebbe dell’effettivo consumo dell’acqua e che la Corte d’appello avrebbe fatto erronea applicazione dei principi sull’onere della prova. 1.1. Il ricorso è inammissibile per una serie di ragioni.

Osserva la Corte, innanzitutto, che il ricorso è redatto con una tecnica non rispettosa dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), perchè è del tutto privo di esposizione sommaria del fatto.

In secondo luogo, esso non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata, perchè invoca a sostegno della propria tesi gli stessi principi richiamati correttamente dalla Corte d’appello, senza in effetti in alcun modo indicare in cosa la sentenza avrebbe errato. La sentenza, infatti, ha rilevato che nelle cause quale quella in esame il gestore del servizio è tenuto a dimostrare la corrispondenza tra il dato fornito dal contatore e quello trascritto in fattura, nonchè il corretto funzionamento del contatore medesimo, mentre è l’utente che deve provare che il consumo reale è inferiore a quello esposto in fattura. Ora la sentenza impugnata ha accertato che, mentre l’ente aveva dimostrato il buon funzionamento del contatore, il L. nulla aveva provato a favore della propria tesi, per cui la domanda doveva essere rigettata; e la doglianza non supera in alcun modo la motivazione ora sintetizzata.

In ultimo, il ricorso si risolve nell’apodittica affermazione, tutta in fatto, secondo cui il consumo addebitato sarebbe irrealistico, con ciò sollecitando la Corte ad un diverso e non consentito esame del merito.

2. Il ricorso, pertanto, è dichiarato inammissibile.

A tale esito segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.

Sussistono, inoltre, le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 2.200, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, il 5 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2020

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