Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.10182 del 28/05/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 32369/2018 proposto da:

A.M., elettivamente domiciliato in Roma, Viale dell’Università, 11 presso lo studio dell’avvocato Emiliano Benzi e rappresentato e difeso dall’avvocato Alessandra Ballerini per procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12 presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– intimato –

avverso la sentenza n. 569/2018 della Corte di appello di Genova pubblicata il 03/04/2018;

udita la relazione della causa svolta dal Cons. Laura Scalia nella camera di consiglio del 04/11/2019.

FATTI DI CAUSA

1. A.M. ricorre in cassazione con un unico motivo avverso la sentenza in epigrafe indicata con cui la Corte di appello di Genova ha rigettato l’impugnazione dal primo proposta avverso l’ordinanza ex art. 702-bis c.p.c. del locale Tribunale che aveva, a sua volta, respinto il ricorso contro il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva rigettato le richieste di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria, nella ritenuta insussistenza dei presupposti di legge.

2. Il Ministero dell’Interno, intimato, non ha svolto difese.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con unico motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 2 Cost., art. 11 del Patto Internazionale sui diritti civili e politici delle Nazioni Unite del 1966 (ratificato con L. n. 881 del 1977), in relazione all’art. 5, comma 6 T.U. Immigrazione e violazione e, ancora, la falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e dell’art. 19 T.U. cit. nonchè l’omesso esame della domanda di protezione umanitaria.

Il ricorrente, cittadino ***** di religione ***** ed etnia *****, nel racconto reso alla competente Commissione territoriale ha riferito di aver lasciato il proprio Paese nel gennaio 2014 all’esito di una controversia insorta con il committente di taluni lavori presso la propria abitazione.

Il committente – esponente di un partito denominato “*****”, il quale deteneva la maggioranza in parlamento -, nel tentativo del padre del richiedente di denuncia alle Autorità per avere il primo preteso, senza titolo, l’esecuzione dei lavori, aveva inviato tre persone presso il negozio della famiglia di A. una delle quali veniva uccisa, per reazione, dal padre.

Nella situazione di pericolo che si era determinata, il richiedente decideva di lasciare il proprio Paese.

La motivazione adottata nell’impugnata sentenza in punto di rigetto della protezione umanitaria sarebbe stata apparente ed apodittica, generica, senza alcuna indagine, autonoma, sulle condizioni legittimanti il relativo permesso, con omissione, altresì, di ogni attività istruttoria.

Il ricorrente nell’atto di appello aveva evidenziato la speciale condizione di vulnerabilità connessa alla oggettiva situazione del Paese di provenienza, il *****, afflitto da una sistematica violazione dei diritti umani e di emergenza umanitaria.

La Corte di appello riportando l’esistenza di numerosi episodi che avrebbero attestato nella regione una situazione di “violenza indiscriminata” D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c) avrebbe poi escluso la pericolosità dell’area senza motivare compiutamente.

Non sarebbe stata presa in considerazione la incolmabile sproporzione esistente tra i due contesti di vita, quello italiano, ove il richiedente aveva intrapreso un percorso serio e meritevole di integrazione socio-lavorativa, e quello del Paese di provenienza, e non sarebbe stato rispettato il principio dell’onere della prova in materia, segnato dal dovere di collaborazione del giudice nell’accertamento di fatti, in superamento del principio dispositivo.

Non sarebbe stato altresì apprezzato il rischio del ricorrente di subire nuove violenze nel Paese di origine e sarebbe mancata una debita valutazione, ai fini dell’apprezzamento della condizione di vulnerabilità, delle sofferenze e dei traumi dal primo sofferti in Libia, periodo ritenuto ininfluente dalla Corte di merito nonostante gli esiti di fonti internazionali, ultimo dei quali il Rapporto ONU dell’aprile 2018, su atrocità e trattamenti disumani cui vengono sottoposti i migranti in transito per l’Italia.

2. Il motivo proposto, con cui si contesta dell’impugnata sentenza il rigetto della richiesta di protezione umanitaria, presenta plurimi profili di inammissibilità.

2.1. La Corte di appello, con richiamo alla motivazione del provvedimento di primo grado, ha ritenuto non attendibile il racconto del richiedente protezione, evidenziandone incongruenze ed inverosimiglianza.

Su siffatto passaggio il ricorrente non articola nessuna censura rendendo per l’effetto non rilevante la critica condotta sul mal governo in cui sarebbe incorsa la Corte di merito delle risultanze delle fonti internazionali circa l’obiettiva condizione del Paese di provenienza del richiedente, il *****.

In materia di protezione internazionale il positivo superamento del vaglio di credibilità soggettiva del richiedente protezione condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, è preliminare all’esercizio da parte del giudice del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che il richiedente non è in grado di provare, in deroga al principio dispositivo (Cass. 12/06/2019 n. 15794; Cass. 24/04/2019 n. 11267; Cass. 27/06/2018 n. 16925).

La natura di quanto dichiarato vale a negare la configurabilità di forme di protezione anche umanitaria venendo a mancare ai fini della sussumibilità della fattispecie, il dato, imprescindibile, della credibilità del racconto.

2.2. Manca poi ogni individualizzazione del rischio corso dal richiedente, in applicazione del principio per il quale “La valutazione della condizione di vulnerabilità che giustifica il riconoscimento della protezione umanitaria deve essere ancorata ad una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza ed alla quale egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio, poichè, in caso contrario, si prenderebbe in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6” (Cass. 03/04/2019 n. 9304).

Siffatta prospettiva manca in ricorso in cui si contesta la ricostruzione, operata nell’impugnata sentenza, del ***** quale Paese in cui non si registrerebbero situazioni di violenza diffusa -oggettivamente integrative della vulnerabilità della persona – senza però raccordarsi siffatta mancanza con la situazione nello specifico da allegarsi dal richiedente.

2.3. Quanto poi al passaggio in Libia, la Corte di merito registra la tardività dell’allegazione, argomento a cui resta del tutto estraneo il proposto ricorso che dell’indicata evidenza si limita a denunciare l’omessa valutazione ai fini dell’integrazione della protezione umanitaria.

3. Il ricorso è, conclusivamente, inammissibile.

Nulla sulla spese nella mancata costituzione dell’Amministrazione intimata.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, va dichiarata la non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, ammesso al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, salvo revoca.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, va dichiarata la non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, ammesso al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, salvo revoca.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 4 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2020

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