LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –
Dott. TRIA Lucia – Consigliere –
Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – Consigliere –
Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 5949-2014 proposto da:
T.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BREGNANO 9, presso lo studio dell’avvocato CINZIA PIETROLUCCI, rappresentata e difesa dall’avvocato NARCISO RICOTTA;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE PER LE MARCHE, -, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;
– controricorrente –
e contro
C.G., M.E., elettivamente domiciliate in ROMA, VIA CRESCENZIO 42, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIA COZZI, rappresentate e difese dall’avvocato FABIO MATERDOMINI e dall’avvocato ANDREINA MARZOLI;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 915/2013 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 05/11/2013 R.G.N. 178/2013.
RILEVATO
che:
1. T.L., insegnante di scuola primaria con anzianità di 21 anni e titolarità presso il Circolo Didattico *****, conveniva in giudizio il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, l’Ufficio Scolastico Regionale e il Circolo Didattico per sentir dichiarare l’illegittimità dell’assegnazione, con effetto dal 1 settembre 2011, allo svolgimento delle cosiddette attività alternative alla religione, ad attività di sostituzione di insegnanti esterni, ad attività motoria;
ad avviso della ricorrente tale provvedimento di assegnazione (che aveva, peraltro, riguardato solamente lei e che le aveva fatto perdere la titolarità nelle tre classi in precedenza seguite) era stato adottato in violazione delle disposizioni del contratto integrativo di Istituto e dei criteri fissati dal Consiglio di Circolo e di Istituto ed in dispregio della continuità didattica atteso che la T., fino all’anno scolastico 2010/2011, aveva svolto l’insegnamento della materia storia e geografia presso tre classi (32 sez. A, 3a sez. B, 1a sez. D) e solo per due ore anche l’attività motoria ed era stato penalizzante essendosi la predetta trovata declassata;
assumeva, sulla base delle spiegazioni fornitele dal Dirigente (il quale aveva fatto riferimento a lamentele di genitori di alunni e di altri insegnanti), che la disposta assegnazione nascondesse una sorta di provvedimento disciplinare occulto, adottato senza il rispetto delle procedure stabilite sia dal c.c.n.l. di comparto sia dal TU sul pubblico impiego;
2. veniva attivato il giudizio cautelare ed il Tribunale di Camerino ordinava l’integrazione del contraddittorio nei confronti delle due insegnanti ( C.G. e M.E.) che avevano ottenuto l’assegnazione delle classi rivendicata dalla T.;
pur con diversa motivazione il ricorso veniva respinto sia nella fase ex art. 700 sia in quella di opposizione;
3. seguiva il ricorso per la fase di merito ed il Tribunale respingeva la domanda ritenendo legittima l’assegnazione della T.;
4. la decisione era confermata dalla Corte d’appello di Ancona;
4.1. la Corte territoriale richiamava preliminarmente varie segnalazioni di episodi riguardanti la T. dal 2006 al 2011 da parte di insegnanti e di genitori degli alunni (aventi ad oggetto inadeguatezze della predetta sul piano didattico) ed escludeva, sulla base della situazione venutasi a determinare un intento persecutorio della Direzione in danno della T.;
4.2. riteneva, poi, che, pur senza entrare nel merito delle segnalate inadeguatezze, la continuità didattica, prevista nell’interesse dei discenti, avrebbe potuto avere, nella specie, effetti controproducenti compromettendo la buona crescita e il buon apprendimento dei bambini;
4.4. seguiva la condanna della T. al pagamento delle spese sostenute sia dal MIUR sia dei chiamati in causa;
5. per la cassazione della sentenza T.L. con tre motivi;
6. hanno resistito con separati controricorsi il MIUR – Ufficio Scolastico Regionale per le Marche – e le chiamate in causa C.G. e M.E.;
7. non sono state depositate memorie.
CONSIDERATO
che:
1. con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. e del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato nonchè violazione e falsa applicazione dell’art. 346 c.p.c.;
lamenta che la Corte territoriale avrebbe posto a base della propria decisione episodi relativi a denunce di alcuni genitori non richiamati dal Ministero neppure nella memoria di costituzione in appello nè presi in considerazione dal giudice di primo grado;
deduce l’erroneità della sentenza impugnata laddove è evidenziato che: “con la comparsa di costituzione l’amministrazione ha dedotto e documentato…” atteso che la Corte d’appello avrebbe confuso la comparsa di costituzione dell’amministrazione scolastica per il giudizio di primo grado rispetto a quella depositata in appello;
rileva che le Amministrazioni (o le controinteressate) se avessero voluto far valere le presunte inadempienze della T., ulteriori rispetto al decisum della pronuncia di primo grado, avrebbero dovuto proporre appello incidentale;
2. il motivo è inammissibile;
la censura si incentra su atti del processo (comparsa di costituzione del Ministero in primo grado e in appello, ricorso in appello della T.) ma è formulata senza il necessario rispetto dell’onere di specificazione di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6;
la giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell’affermare che, anche qualora venga dedotto un error in procedendo, rispetto al quale la Corte è giudice del fatto processuale, l’esercizio del potere/dovere di esame diretto degli atti è subordinato al rispetto delle regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito, in nulla derogate dall’estensione ai profili di fatto del potere cognitivo del giudice di legittimità (Cass., Sez. Un., 22 maggio 2012, n. 8077);
la parte, quindi, non è dispensata dall’onere di indicare in modo specifico i fatti processuali alla base dell’errore denunciato e di trascrivere nel ricorso gli atti rilevanti, non essendo consentito il rinvio per relationem agli atti del giudizio di merito, perchè la Corte di Cassazione, anche quando è giudice del fatto processuale, deve essere posta in condizione di valutare ex actis la fondatezza della censura e deve procedere solo ad una verifica degli atti stessi (Cass. 4 luglio 2014, n. 15367; Cass. 14 ottobre 2010, n. 21226; Cass. 5 agosto 2019, n. 20924);
non è sufficiente, pertanto, che il ricorrente assolva al distinto onere previsto, a pena di improcedibilità, dall’art. 369 c.p.c., n. 4, indicando la sede nella quale l’atto processuale è reperibile, perchè l’art. 366 c.p.c., come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 5 richiede che al giudice di legittimità vengano forniti tutti gli elementi necessari per avere la completa cognizione della controversia, senza necessità di accedere a fonti esterne, mentre la produzione è finalizzata a permettere l’agevole reperibilità del documento o dell’atto la cui rilevanza è invocata ai fini dell’accoglimento del ricorso (cfr. sulla non sovrapponibilità dei due requisiti, Cass. 28 settembre 2016, n. 19048);
nel caso di specie la ricorrente ha omesso di riportare nel corpo del motivo le parti essenziali degli atti processuali rilevanti (limitandosi ad una mera sintesi narrativa del contenuto degli stessi), sicchè la censura non può essere scrutinata nel merito;
3. con il secondo motivo la ricorrente denuncia omesso o insufficiente esame su un punto decisivo della controversia;
lamenta che la Corte territoriale non si sarebbe pronunciata sul mancato rispetto dei criteri stabiliti dal contratto integrativo di Istituto e dal Regolamento di circolo che aveva costituito il cuore dell’appello della T. avverso la sentenza di primo grado;
4. il motivo per come formulato non può essere accolto;
4.1. a sostegno dei rilievi la ricorrente pone il criterio di continuità didattica di cui al contratto integrativo di Istituto ed al Regolamento del Consiglio di Circolo e di Istituto (riprodotti nelle parti utili a reggere le censure) che tuttavia richiede di essere circostanziato e comporta un riferimento ad elementi di fatto ed istruttori che non possono formare oggetto del giudizio di legittimità;
4.2. peraltro, nella specie, non c’è stato alcun omesso esame perchè la Corte territoriale ha esaminato la questione della continuità didattica anche se sotto un profilo diverso da quello ritenuto nel motivo;
ed infatti nella sentenza impugnata, pur dandosi atto che erano stati richiamati dalla ricorrente i criteri indicati dal Regolamento di Consiglio approvato dal Consiglio di Circolo il 7/1/2010 (asseritamente in vigore anche per l’a.s. 2011/2012) e dal Contratto integrativo di Istituto a.s. 2010/2011, in relazione al D.Lgs. n. 297 del 1994, artt. 7, 10 e 396 e art. 4 del 4 c.c.n.i. in materia di assegnazioni e utilizzazioni provvisorie per l’anno scolastico 2011/2012, criteri che, secondo l’opposta tesi del Ministero, non sarebbero state invocabili per non essere stato il relativo accordo sottoscritto per l’anno in questione e per essersi provveduto con ordinanza ministeriale che i medesimi non richiamava, ha ritenuto che il criterio della continuità didattica fosse comunque ragionevolmente imposto (non da disposizioni contrattuali ma) da ovvie e doverose considerazioni di efficacia dell’insegnamento scolastico;
così la Corte territoriale, dopo aver condiviso la tesi difensiva del Ministero secondo cui tale continuità fosse da intendersi prevista nell’interesse non dei docenti ma dei discenti, con la conseguenza che fosse preferibile, specie nelle classi elementari ove è particolarmente importante l’interdisciplinarietà e il rapporto personale degli scolari con l’insegnante, che il ciclo di studi elementari proseguisse con il docente che aveva svolto l’insegnamento per le prime tre classi (come avvenuto nella specie prima del provvedimento di assegnazione contestato, interpretandosi la continuità come riferita alla classe e non alla materia), tuttavia ha ritenuto che lo stesso non fosse ostativo al cambiamento dell’organizzazione degli ambiti disciplinari dell’insegnamento e che, proprio in ragione della precipua funzione, fosse destinato ad essere recessivo nell’ipotesi (riscontrata sussistente nella specie) che si fosse rivelato in concreto non funzionale alla buona crescita ed al buon apprendimento dei bambini;
4.3. la suddetta argomentazione non è adeguatamente censurata dalla ricorrente che innanzitutto non spiega perchè, diversamente da quanto ritenuto in sentenza, non si sarebbe potuto prescindere dalla verifica della diretta applicabilità delle indicate disposizioni contrattuali;
nè è chiarito, ai fini della decisività del rilievo, sulla base di quale opzione logico-interpretativa le disposizioni contrattuali di cui si lamenta l’omesso esame avrebbero comportato una scelta obbligata nel senso di favorire solo e specificamente la continuità didattica riferita alle classi, quale criterio non derogabile neppure al fine di dare piena attuazione al diritto all’apprendimento dei discenti;
peraltro è la stessa ricorrente ad ammettere (v. ricorso per cassazione, pag. 24) che il Contratto integrativo del Circolo Didattico di ***** attribuisce alla continuità didattica importanza prevalente per l’assegnazione dei docenti alle classi, ma evidentemente non esclusiva;
5. con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 91 c.p.c.;
lamenta che la Corte territoriale avrebbe violato l’indicata norma condannando l’appellate al pagamento delle spese in favore delle controinteressate, chiamate in causa per ordine del giudice;
6. il motivo è infondato;
come da questa Corte già precisato (v., ex multis, Cass. 19 aprile 2006, n. 9049; Cass. 26 febbraio 2007, n. 4386; Cass. 14 maggio 2012, n. 7431; Cass. 11 aprile 2013, n. 8886; Cass. 25 settembre 2019, n. 23948) attesa la lata accezione con cui il termine soccombenza è assunto nell’art. 91 c.p.c., colui che attivamente o passivamente si espone all’esito del processo, oltre a conseguire i vantaggi, deve anche sopportare le eventuali conseguenze sfavorevoli che, in ordine alle spese, sono stabilite a suo carico in base al principio della soccombenza e ciò anche se si tratti di spese non rigorosamente conseguenziali e strettamente dipendenti dall’attività della parte rimasta soccombente ma derivante dagli eventuali errori in cui può incorrere il giudice nei vari gradi o nelle diverse fasi del processo, come nel caso di quelle che vengono sopportate da coloro che sono chiamati a partecipare al giudizio quali terzi evocati per ordine del giudice, ancorchè rivelatosi successivamente ingiustificato: solo in tal modo, infatti, rimane efficacemente salvaguardato il fondamentale diritto di difesa delle parti che vengono, anche se ingiustamente, chiamate in giudizio;
7. da tanto consegue che il ricorso deve essere rigettato;
8. la regolamentazione delle spese segue la soccombenza;
9. ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, ricorrono le condizioni previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato.
PQM
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore delle controricorrenti, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida, quanto alla C. e alla M., in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15% e, quanto al MIUR, in Euro 3.000,00 per compensi professionali oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo prescritto a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 27 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2020