Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.10217 del 28/05/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20623-2014 proposto da:

LA LUCENTE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RAFFAELE CAVERNI 6, presso lo studio dell’avvocato MICHELE DI CARLO, rappresentata e difesa dall’avvocato FABIO CANDALICE;

– ricorrenti –

contro

– I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. società di cartolarizzazione dei crediti I.N.P.S., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, CARLA D’ALOISIO e EMANUELE DE ROSE;

– controricorrenti –

e contro

EQUITALIA E.T.R. S.P.A., Agente della Riscossione della Provincia di Bari;

– intimata –

avverso la sentenza n. 3064/2013 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 27/08/2013, R.G.N. 2627/2010.

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza depositata il 27.8.2013, la Corte d’appello di Bari, in riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato La Lucente s.p.a. a pagare somme per contributi omessi in danno di lavoratori assunti con contratto di formazione e lavoro per i quali aveva fruito di sgravi contributivi costituenti aiuti di Stato;

che avverso tale pronuncia La Lucente s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura, illustrati con memoria;

che l’INPS ha resistito con controricorso, eccependo preliminarmente l’inammissibilità dell’impugnazione per decorso dei termini.

CONSIDERATO IN DIRITTO

che l’eccezione d’inammissibilità del ricorso per decorso del termine lungo ex art. 327 c.p.c. è infondata, atteso che, risultando che la pronuncia impugnata è stata “pubblicata il 27.8.2013” ed essendo stata annotata la precedente data del 9.8.2013 come momento in cui la sentenza è stata “consegnata in cancelleria per la pubblicazione”, può in specie presumersi, giusta l’insegnamento di Cass. S.U. n. 18569 del 2016, che solo in data 27.8.2013 la sentenza sia divenuta conoscibile attraverso il deposito ufficiale in cancelleria ed il suo inserimento nell’elenco cronologico con attribuzione del relativo numero identificativo, con conseguente tempestività della notifica del presente ricorso per cassazione, siccome richiesta il 26.8.2014;

che, con il primo motivo di censura, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 277 e 278 c.p.c. e “contraddittoria motivazione circa il non controverso e documentato fatto dell’avvenuto pagamento di Euro 86.785,96” da parte sua e “dell’indebita condanna al pagamento di interessi già corrisposti”, nonchè il “rigetto di un appello incidentale mai proposto” (così il ricorso per cassazione, pag. 4), per avere la Corte di merito pronunciato una sentenza di condanna nonostante che l’INPS non l’avesse mai richiesta nell’atto di appello “nella chiara e documentata consapevolezza che (essa) avesse già pagato anche più” dell’oggetto della condanna stessa (ibid.);

che, con il secondo motivo, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 421 e 437 c.p.c. e art. 2697 c.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione “circa il mancato esame della copiosa documentazione esibita” e “circa le ragioni del richiamo in sentenza di appello di documenti depositati dall’INPS solo in secondo grado” (ibid., pag. 5);

che i motivi possono essere esaminati congiuntamente, in considerazione delle modalità di formulazione delle censure, e sono inammissibili, operando riferimenti ad atti e documenti (ricorso in appello dell’INPS e dell’odierna ricorrente, documentazione acquisita in primo grado, documentazione prodotta dall’INPS in grado di appello) che non risultano trascritti nel corpo del ricorso per cassazione, nemmeno nella parte necessaria a dare alle censure un non opinabile fondamento fattuale, e di cui non si dice in quale luogo del fascicolo processuale e/o di parte essi in atto si troverebbero;

che il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile, siccome formulato in spregio ai precetti di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., nn. 4 e 6, siccome interpretati dalla costante giurisprudenza di questa Corte (cfr. da ult. Cass. nn. 13625 e 23834 del 2019);

che le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo; che, in considerazione della declaratoria d’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 7.200,00, di cui Euro 7.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 17 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2020

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