Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.10228 del 29/05/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Luigi Ernestino – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. MUCCI Roberto – Consigliere –

Dott. MELE Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8496-2012 proposto da:

PROGETTO BUFALE SRL, elettivamente domiciliato in ROMA VIA ANTONI GRAMSCI 7, presso lo STUDIO LEGALE CATTEL RUBINO & CONCETTI, rappresentato e difeso dagli avvocati D’ERRICO VINCENZO, CARADONNA ANTONIO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE. ENTRATE UFFICIO CASERTA in persona del Direttore pro tempore,. elettivamente domiciliato in RCMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 416/2011 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI, depositata il 27/09/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 02/10/2019 dal Co-s oliere Dott. MELE FRANCESCO.

Per la cassazione della sentenza della commissione tributaria regionale della Campania n. 416/50/11 depositata il 27.9.2011, non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 2 ottobre 2019 dal relatore cons. Mele Francesco.

RILEVATO

Che

– F.E., quale amministratore della società “Progetto Bufale srl” proponeva ricorso avverso avviso di accertamento in tema di detrazione IVA per l’anno 2004; nel contraddittorio tra le parti, la commissione tributaria provinciale di Caserta rigettava il ricorso con sentenza che gravata di appello da parte della società- era confermata dalla CTR con la sentenza sopra menzionata.

Per la cassazione della predetta sentenza la società contribuente propone ricorso affidato a tre motivi.

– Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

CONSIDERATO

Che:

– I motivi del ricorso recano: 1) “Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, parte 2, dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.”; 2) “Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”; 3) “Omessa insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5”.

– Si rileva innanzi tutto che sebbene i motivi siano partitamente indicati nei termini sopra trascritti, essi sono illustrati in modo unitario dalla ricorrente, la quale riprende integralmente in questa sede le argomentazioni sviluppate nella fase di merito per contrastare l’atto impositivo con il quale era stata disconosciuta la detrazione IVA esposta nelle fatture emesse dalla ditta AL.CO e dalla ditta Vettone perchè relative ad operazioni inesistenti, in quanto la prima risultava avere cessato l’attività nel 2002 mentre la seconda non era mai stata operativa.

– Il ricorso è infondato e va rigettato.

– Invero sin dal primo grado la decisione della controversia è stata fondata sull’avviso di accertamento, preciso, dettagliato, analitico; sui controlli operati dagli accertatori che hanno condotto a evidenziare la presenza di fatture relative ad operazioni inesistenti, non essendo stati neppure rinvenuti i locali dove le ditte avrebbero dovuto operare. Del tutto correttamente ed in linea con la giurisprudenza di legittimità (cass. n. 428 del 14.1.2015) la sentenza impugnata si è attenuta al principio in forza del quale l’onere della prova grava sul contribuente allorchè si è in presenza come nella specie- di un verbale di accertamento che possegga validi elementi per affermare l’esistenza di fatture fittizie. La contestazione della inesistenza delle operazioni da parte della Agenzia resistente è stata ancorata alle interrogazioni presso il sistema informativo dell’Anagrafe Tributaria e alla documentazione relativa; a fronte di tutto ciò, la ricorrente ha proposto un ricorso i cui motivi – nei quali è assente il requisito della specificità (art. 366 c.p.c) – sono trattati in modo “cumulativo”, senza distinzione precisa di censure, in maniera discorsiva; nella sostanza, i motivi si risolvono in una critica dell’apprezzamento di merito che non può trovare ingresso nel giudizio per cassazione.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro cinquemila oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.

Così deciso in Roma, il 2 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2020

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