LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 29202-2018 proposto da:
C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato VINCENZO FIORILLO;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso il decreto N. RG. 211/2018 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositato il 06/08/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 18/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. FALASCHI MILENA.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
La Corte di appello di Salerno, con decreto n. 6428/2018, respingeva il ricorso proposto da C.A. ex L. n. 89 del 2001 nei confronti del Ministero della giustizia per il pagamento di una somma a titolo di indennizzo per la violazione del termine di durata ragionevole di procedimento in cui il ricorrente era stato parte, applicato la presunzione prevista dalla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 sexies, lett. c), come novellata dalla L. n. 208 del 2015, conseguentemente ritenendo che non sussistesse alcun pregiudizio indennizzabile per essere stato il giudizio presupposto estinto ai sensi dell’art. 309 c.p.c..
Avverso il decreto della Corte di appello di Salerno il C. propone ricorso per cassazione, fondato su due motivi.
Il Ministero della giustizia resiste con controricorso.
Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere dichiarato fondato, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.
Atteso che:
– con i due mezzi di impugnazione, rispettivamente riferiti al vizio di violazione di legge – della L. n. 89 del 2001, art. 2 – nonchè al vizio di motivazione apparente – art. 111 Cost. e art. 135 c.p.c. – svolgono, in sostanza, un’unica doglianza, con la quale si censura l’impugnato decreto per aver negato il danno da durata non ragionevole del giudizio presupposto, nonostante che le parti, lungi dall’essere rimaste inattive, avessero cercato un accordo transattivo, sottoscrivendo una conciliazione giudiziale, che aveva determinato la estinzione del giudizio ai sensi dell’art. 309 c.p.c.. Nè la conciliazione rientra nella presunzione di cui all’elenco previsto dalla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 sexies.
La censura sviluppata nei due mezzi di ricorso va globalmente giudicata fondata.
Infatti, la corte territoriale ha ritenuto che la circostanza che la lite era stata conciliata perchè reputata soluzione conveniente, facendone derivare l’estinzione ex art. 309 c.p.c..
Tale assunto non si misura con la considerazione che la circostanza che le parti siano pervenute ad una conciliazione giudiziale (costituente la causa della estinzione del giudizio) dimostra in re ipsa che, fino al momento della conclusione di detta transazione, il contrasto tra le parti sussisteva e, dunque, sussisteva l’interesse delle stesse parti ad una pronuncia giudiziale su tale contrasto.
Questa Corte ha, infatti, ripetutamente affermato che in materia di equa riparazione per durata irragionevole del processo, la dichiarazione di perenzione del giudizio, anche da parte del giudice amministrativo, non consente di ritenere insussistente il danno per disinteresse della parte a coltivare il processo, in quanto in tal modo verrebbe a darsi rilievo ad una circostanza sopravvenuta – la dichiarazione di estinzione del giudizio successiva rispetto al superamento del limite di durata ragionevole del processo (Cass. n. 6619/2010; Cass. n. 15/2014; Cass. n. 21047/2014; da ultimo, cfr. Cass. n. 14386/2015).
In definitiva, l’assunto della corte territoriale, che appare fare riferimento alla presunzione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 sexies, lett. c), che ritiene l’estinzione del giudizio, seppure determinata da conciliazione giudiziale, causa del disinteresse delle parti, risulta apodittico, là dove omette di motivare in punto di permanenza dell’interesse delle parti ad una pronuncia giudiziale sul loro contrasto fino al momento in cui esse si risolsero a comporre tale lite in via transattiva.
Nè appare idonea ad incidere nella vicenda in esame la novella di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 sexies, che nell’individuare varie ipotesi in cui si presume insussistente il pregiudizio da durata irragionevole del processo, fatta salva la prova contraria, alla lett. c) richiama l’ipotesi anche di estinzione del processo per rinuncia o per inattività delle parti ai sensi degli artt. 306 e 307 c.p.c., circostanza che non ricorre nella specie.
Pertanto il ricorso va accolto e l’ordinanza gravata va cassata con rinvio alla Corte di appello di Salerno, in diversa composizione, che provvederà a rideterminare le spese processuali e regolamenterà anche le spese relative al presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso;
cassa la decisione impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Salerno, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2 Sezione Civile, il 18 settembre 2019.
Depositato in cancelleria il 1 giugno 2020