LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –
Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –
Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –
Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –
Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 8154-2016 proposto da:
HEINEKEN ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato UGO UPPI;
– ricorrente –
contro
D.P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRISTOFORO COLOMBO, 436, presso lo studio dell’avvocato BIANCA MARIA CARUSO, rappresentato e difeso dall’avvocato MARIA LUIGIA TRITTO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 228/2015 della CORTE D’APPELLO DI LECCE SEZIONE DISTACCATA DI TARANTO, depositata il 07/10/2015, R.G.N. 853/2010.
RILEVATO
che la Corte di Appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, con sentenza pubblicata in data 7.10.2015, ha rigettato il gravame interposto dalla Heineken Italia S.p.A., nei confronti di D.P.G., avverso la pronunzia del Tribunale di Taranto n. 6039/2010, con la quale era stata accolta la domanda del lavoratore volta ad ottenere il risarcimento del danno biologico da ipoacusia contratta a causa dello svolgimento delle mansioni di riparatore addetto al reparto imbottigliamento; e, accertate, mediante prova orale, le condizioni di lavoro del ricorrente, nonchè, mediante consulenza medico-legale, la patita lesione dell’integrità psicofisica pari al 7%; considerata l’avvenuta attribuzione al D.P. di una rendita INAIL compensativa dellà sola riduzione della capacità lavorativa generica, aveva condannato la società datrice al pagamento della somma di Euro 6.000,00, oltre accessori, come per legge, ed alle spese di lite; che per la cassazione della sentenza ricorre la Heineken Italia S.p.A., articolando tre motivi contenenti più censure, cui D.P.G. resiste con controricorso;
che sono state depositate memorie nell’interesse della società; che il P.G. non ha formulato richieste.
CONSIDERATO
che, con il ricorso, si deduce: 1) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,113,156,157,158, 159 e 414 c.p.c.; art. 2087 c.c.; D.Lgs. n. 277 del 1991, art. 45 nonchè, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per la controversia e si deduce che, in primo grado, la società aveva eccepito la nullità del ricorso introduttivo, perchè il ricorrente aveva chiesto la condanna della datrice di lavoro al risarcimento dei danni patiti “derivanti dall’aver contratto un’ipoacusia nel corso del rapporto di lavoro”, senza dimostrare la responsabilità della società, il danno ed il nesso di causalità tra questo ed il comportamento illecito della stessa, secondo i principi che regolano la ripartizione dell’onere della prova, non configurando l’art. 2087 c.c. una ipotesi di responsabilità oggettiva; 2) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 e 117 c.p.c.; artt. 2727,2728,2729,2934, 2935 e 2936 c.c., nonchè, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per la controversia: al riguardo, si lamenta che, nonostante la società avesse sollevato eccezione di prescrizione decennale del diritto azionato dal D.P. – e che, a supporto della stessa, avesse prodotto un certificato dell’ospedale di Taranto del 5.2.1982 (indicati come doc. 6 nel ricorso per cassazione e come doc. 4 nella memoria ex art. 380-bis c.p.c.: v. pag. 10 del ricorso e pag. 3 della memoria), che avrebbe provato il fatto che al lavoratore era stata diagnosticata, in tale data, una “ipoacusia trasmissiva bilaterale più grave a destra”, nonchè “una denuncia di malattia professionale ed il primo certificato medico, con i quali ultimi il ricorrente aveva denunciato al datore di lavoro la tecnopatia in data 10 giugno 1987” -, la stessa fosse stata respinta nei due gradi di merito senza adeguate argomentazioni; 3) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.; artt. 2697,2721,2724,2727, 2728 e 2729 c.c., nonchè, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per la controversia e si deduce che la Corte di merito avrebbe respinto le doglianze sollevate dalla Heineken Italia S.p.A., affermando erroneamente che il primo giudice avesse correttamente valutato le deposizioni testimoniali e correttamente asserito che il reparto di imbottigliamento dello stabilimento di *****, presso il quale prestava la propria opera il D.P., fosse “a rischio rumore”;
che i tre mezzi di impugnazione – da trattare congiuntamente perchè connessi e tesi tutti ad ottenere un nuovo esame del merito, non consentito in questa sede – non sono meritevoli di accoglimento: ed invero, per ciò che, innanzitutto, attiene ai vizi, dedotti in riferimento all’art. 360, comma 1, n. 5, codice di rito, si osserva che, come sottolineato dalle Sezioni Unite di questa Corte (con la sentenza n. 8053 del 2014), per effetto della riforma del 2012, per un verso, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione); per l’altro verso, è stato introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Orbene, poichè la sentenza oggetto del giudizio di legittimità è stata pubblicata, come riferito in narrativa, il 7.10.2015, nella fattispecie si applica, ratione temporis, il nuovo testo dell’art. 360, comma 1, n. 5), come sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, a norma del quale la sentenza può essere impugnata con ricorso, per cassazione per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Ma nel caso in esame, i motivi di ricorso che denunciano il vizio motivazionale non indicano il fatto storico (Cass. n. 21152/2014), con carattere di decisività, che sarebbe stato oggetto di discussione tra le parti e che la Corte di Appello avrebbe omesso di esaminare; nè, tanto meno, fanno riferimento, alla stregua della pronunzia delle Sezioni Unite, ad un vizio della sentenza “così radicale o comportare”, in linea con “quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4; la nullità della pronunzia per mancanza di motivazione”. E, dunque, non potendosi più censurare, dopo la riforma del 2012, la motivazione relativamente al parametro della sufficienza, rimane il controllo di legittimità sulla esistenza e sulla coerenza del percorso motivazionale del giudice di merito (cfr., tra le molte,, Cass. n. 25229/2015) che, nella specie, è stato condotto dalla Corte territoriale con argomentazioni logico-giuridiche del tutto congrue poste a fondamento della decisione impugnata;
che le censure sollevate in riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, codice di rito, non indicano analiticamente sotto quale profilo ed in quali parti della sentenza oggetto del giudizio di legittimità le norme indicate sarebbero state violate, in spregio alla prescrizione di specificità dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che esige che il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, comma 1, n. 3, codice di rito, debba essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle disposizioni asseritamente violate, ma anche con specifiche argomentazioni intese motivatamente a dimostrare in quale modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbano ritenersi in contrasto con le disposizioni regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le molte, Cass., Sez. VI, ord. nn. 187/2014; 635/2015; Cass. nn. 19959/2014; 18421/2009). Inoltre, va rilevato che non sono stati prodotti (e neppure indicati come documenti offerti in comunicazione nel ricorso per cassazione), nè trascritti, il ricorso introduttivo del giudizio che si assume affetto da nullità (nel primi() motivo): ed al riguardo, la Corte di Appello ha sottolineato che, nello stesso, il petitum e la causa petendi erano ben individuati; nè i certificati medici cui si fa riferimento nel secondo motivo per affermare che sarebbe decorsa la prescrizione decennale del diritto azionato dal lavoratore; e ciò, in violazione del principio sancito dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, più volte ribadito da questa Corte, che definisce quale onere della parte ricorrente quello di indicare lo specifico atto precedente cui si riferisce, in modo tale da consentire alla Corte di legittimità di controllare ex actis la veridicità delle proprie asserzioni prima di esaminare il merito della questione (Cass. n. 14541/2014). Il ricorso per cassazione deve, infatti, contenere tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed a consentire la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza che sia necessario fare rinvio a fonti esterne al ricorso e, quindi, ad elementi o atti concernenti il pregresso grado di giudizio di merito (cfr., tra le molte, Cass. nn. 10551/2016; 23675/2013; 1435/2013). Per la qual cosa, questa Corte non è stata messa in grado di apprezzare la veridicità delle doglianze mosse al procedimento di sussunzione operato dai giudici di seconda istanza, che si risolvono, quindi, in considerazioni di fatto del tutto inammissibili e sfornite di qualsiasi delibazione probatoria (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 24374/2015; 80/2011);
che, per quanto, infine, attiene più specificamente alla censura del terzo motivo sollevata in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, va rilevato che la contestazione, peraltro del tutto generica, sulle dichiarazioni rese dai testimoni escussi, senza che le stesse siano state trascritte compiutamente, ma solo accennate, si risolve in una inammissibile richiesta di riesame del contenuto di deposizioni testimoniali e di verifica dell’esistenza di fatti decisivi sui quali la motivazione sarebbe mancata o sarebbe stata illogica (cfr., ex plurimis, Cass. n. 4056/2009), finalizzata ad ottenere una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea, come innanzi sottolineato, alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione (cfr., ex multis, Cass., S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 14541/2014);
che i giudici di merito, attraverso un iter argomentativo sintetico, ma ineccepibile sotto il profilo logico-giuridico, sono pervenuti alla decisione oggetto del giudizio di legittimità, dopo avere vagliato le risultanze dell’istruttoria espletata in primo grado; pertanto, iè doglianze articolate dalla parte ricorrente – che, in sostanza, si risolvono in una ricostruzione soggettiva del fatto, tesa a condurre ad una valutazione difforme rispetto a quella cui è pervenuta la Corte distrettuale, sulla base di una diversa lettura del materiale probatorio – appaiono inidonee, per i motivi anzidetti, a scalfire la coerenza della sentenza oggetto del giudizio di legittimità;
che, per le considerazioni innanzi svolte, il ricorso va rigettato; che le spese, liquidate come in dispositivo – e da distrarsi, ai sensi dell’art. 93 c.p.c., in favore del difensore del D.P., avv. Maria Luigia Tritto, dichiaratasi antistataria -, seguono la soccombenza; che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
PQM
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge, da distrarsi.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 11 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 1 giugno 2020
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