LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CURZIO Pietro – Presidente –
Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –
Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –
Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –
Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 24908-2018 proposto da:
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE 80078750587, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati LELIO MARITATO, ANTONINO SGROI, EMANUELE DE ROSE, CARLA D’ALOISIO, GIUSEPPE MATANO, ESTER ADA VITA SCIPLINO;
– ricorrente –
contro
REAL PROTECTION AGENCY SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 22, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO LISERRE, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GABRIELE DI GENESIO PAGLIUCA;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2515/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 18/06/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 28/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELLA MARCHESE.
RILEVATO
CHE:
la Corte di appello di Roma, con sentenza n. 2515 del 2018, nella contumacia dell’INPS, ritualmente citato e non costituitosi in giudizio, accoglieva l’appello proposto dalla società Real Protection Agency S.r.l. avverso la decisione di primo grado e dichiarava insussistente l’obbligo contributivo posto a carico della predetta a seguito di accertamento ispettivo;
per la cassazione della sentenza propone ricorso l’INPS articolato in un unico motivo;
resiste, con controricorso, la società Real Protection Agency S r.l., la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.
CONSIDERATO
CHE:
con l’unico motivo è dedotta – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 – la violazione e falsa applicazione degli artt. 101 e 139 c.p.c.; le censure investono la dichiarazione di contumacia dell’Istituto nonostante il ricorso in appello fosse stato notificato in data 2-7 febbraio 2018 presso il vecchio domicilio professionale del difensore dell’INPS, avv.to Attanasio, in via Amba Aradam nr 5, domicilio professionale che era variato in data 11.3.2015, a seguito del trasferimento dello stesso (id est: della sede legale dell’INPS), in Roma, via Cesare Beccaria n. 29;
il motivo è infondato;
devono ritenersi incontroverse le seguenti circostanze di fatto:
– l’INPS si costituiva in primo grado, con memoria difensiva del 13.10.2014, e dichiarava di essere: “rappresentato e difeso in giudizio dall’avv.to Maria Carla Attanasio (…) elettivamente domiciliato presso la Sede Provinciale dell’INPS in via Amba Aradam n. 5" (cfr. pag. 3 del ricorso in cassazione);
– l’indirizzo dell’avv.to M.C. Attanasio (facente parte, pacificamente, dell’organo di avvocatura interna), dall’11.3.2015 (dunque nelle more del giudizio di primo grado, conclusosi con sentenza del 3.6.2015) veniva trasferito da Roma, via Amba Aradam n. 5 (sede provinciale dell’Istituto), a Roma, via Cesare Beccaria n. 29 (nuova sede legale dell’INPS);
– la variazione dell’indirizzo non era comunicata in giudizio;
– la notifica dell’atto di appello, effettuata in via Amba Aradam n. 5, con indicazione del procuratore domiciliatario, veniva accettata dall’INPS;
in relazione ad altre fattispecie, questa Corte (Cass. n.14054 del 2016) ha ritenuto che ” In caso di ente (nella specie l’INPS) rappresentato in giudizio da un avvocato facente parte dell’organo di avvocatura interna, presso la cui sede sia anche stato eletto il domicilio, la notifica ivi compiuta senza indicazione del procuratore domiciliatario è inidonea a far decorrere il termine breve in quanto, trattandosi di organizzazioni complesse con assetti organizzativi diversi in ragione delle dimensioni dell’ente e delle prassi locali, la sola identità di domiciliazione non assicura che la sentenza giunga a conoscenza della parte tramite il suo rappresentante processuale”; il principio è ribadito anche da Cass. n. 3145 del 2019 (che richiama, anche, Cass. n. 18267 del 2015 e Cass. n. 20412 del 2013) affermandosi: “La notifica della sentenza alla parte costituita mediante procuratore deve essere effettuata a tale procuratore e nel domicilio del medesimo per cui, qualora l’INPS si sia costituita in giudizio eleggendo domicilio presso l’ufficio legale della propria sede provinciale, la notifica della sentenza eseguita presso tale ufficio nei riguardi dell’Istituto, anzichè del procuratore nominato”;
il caso che occupa non è, tuttavia, sovrapponibile alle ipotesi esaminate nei precedenti qui riportati;
nella fattispecie concreta, la notifica è stata effettuata presso il luogo del domicilio eletto; vi è l’indicazione del procuratore domiciliatario; l’atto è stato accettato dall’INPS;
dall’avviso di ricevimento (il cui esame è consentito alla Corte dalla natura del vizio denunciato) risulta che l’atto di appello, con il decreto ex art. 435 c.p.c., spedito con raccomandata del 2.2.2018, è stato indirizzato alli “Istituto nazionale della Previdenza Sociale, in persona del legale rapp.te pro tempore, in via Amba Aradam n. 5, Roma, c/o l’avv.to Attanasio M.C.”; la notifica è stata accettata dall’Istituto, risultando ricevuta da persona “Al servizio del destinatario, addetta alla ricezione delle notificazioni”; essa reca il timbro dell’Inps – Filiale Metropolitana di Roma -, la data (7.2.2018) e la firma dell’addetto al recapito;
il Collegio giudica valido il descritto procedimento notificatorio, dovendosi infatti ritenere che la notifica dell’atto (giova ribadirlo), se effettuata presso il domicilio eletto nel giudizio di primo grado, in persona del procuratore costituito, ed accettata dal consegnatario (nella specie, in qualità di addetto alla ricezione), sia efficace e, come tale, idonea a stabilire il contraddittorio; l’intervenuta variazione della sede dell’ufficio del difensore, nelle more del giudizio, resta dunque irrilevante, perchè non comunicata;
a tali principi si è attenuta la Corte di appello; il ricorso va, pertanto, rigettato con le spese liquidate secondo soccombenza.
PQM
La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida, in favore della controricorrente, in Euro 4.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 28 gennaio 2020.
Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2020