LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DIDONE Antonio – Presidente –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 35623/2018 proposto da:
T.I., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato BARONE ANTONIO, giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO;
– intimato –
avverso la sentenza n. 5416/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 26/11/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 21/01/2020 dal Consigliere Dott. Paola Vella.
FATTI DI CAUSA
1. La Corte d’appello di Bologna ha rigettato il ricorso proposto dal cittadino ivoriano T.I. avverso l’ordinanza del Tribunale di Napoli di diniego della protezione internazionale e – per quanto si legge a pag. 1 della sentenza – di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari.
2. Il ricorrente ha impugnato la decisione con ricorso affidato a quattro motivi. Il Ministero intimato non ha svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
3. Con il primo motivo si deduce: “nullità del decreto per lesione del contraddittorio e del correlato diritto di difesa – violazione degli artt. 737 e 738 c.p.c., D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 commi 10 e 11, artt. 101 e 128 c.p.c., art. 3 Cost., art. 111 Cost., comma 2 e art. 24 Cost., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 – errore in procedendo”, per avere “il Tribunale di Napoli con il decreto impugnato rigettato le domande del ricorrente senza fissare l’udienza di comparizione, senza visionare la videoregistrazione del colloquio sostenuto dal richiedente innanzi all’autorità amministrativa e senza assumere alcuna prova”, nè disporre la sua audizione.
3.1. La censura è inammissibile, innanzitutto perchè rivolta contro il decreto del giudice di primo grado – piuttosto che contro la sentenza della corte d’appello – e comunque per difetto di specificità, non essendo chiaro nemmeno se si contesta che il tribunale non avesse fissato l’udienza tout court o solo l’udienza destinata alla comparizione della parte per la sua audizione; invero, dalla sentenza impugnata emerge che dinanzi al tribunale era stato instaurato il contraddittorio con il Ministero dell’Interno ed era intervenuto il PM, mentre in grado di appello è stata tenuta apposita udienza collegiale.
3.2. In ogni caso, al riguardo occorre considerare che alla fissazione dell’udienza non consegue automaticamente l’obbligo del giudice di fissare una ulteriore audizione del ricorrente, ove la domanda di protezione risulti manifestamente infondata (ex multis, Cass. 3862/2020, 5973/2019, 3029/2019, 17717/2018; cfr. Corte giust., 26/07/12017, Moussa Sacko).
4. Con il secondo mezzo si deduce la “violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5 e 8, nonchè degli artt. 112 e 116 c.p.c.” in uno alla “omessa quantomeno insufficiente motivazione circa un punto decisivo”, “stante la mancata attivazione dell’onere probatorio attenuato e la mancata assunzione delle informazioni sulla situazione del paese di origine e del villaggio del ricorrente ovvero della Libia (paese in cui è transitato il ricorrente).
4.1. Anche questa censura è inammissibile, non solo perchè impropriamente indirizzata contro il decreto del tribunale, ma anche perchè del tutto generica, a fronte di COI (Country of Origin Information) sulla Costa d’Avorio ritualmente acquisite dalla corte d’appello (rapporto Amnesty International 2017-2018).
4.2. La contestuale censura motivazionale è poi del tutto scollata dai parametri del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (applicabile ratione temporis), che rende l’apparato argomentativo sindacabile in sede di legittimità solo entro precisi limiti (ex plurimis Cass. 17247/2006, 18587/2014), qui non rispettati. Sarebbe stato infatti onere del ricorrente indicare – nel rispetto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. Sez. U, 8503/2014; conf. ex plurimis Cass. 27415/2018).
4.3. Inoltre, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il fatto che in un paese di transito (nella specie, la Libia) si sia consumata una violazione dei diritti umani, non comporta di per sè l’accoglimento della domanda di protezione umanitaria, essendo a tal fine necessario accertare che lo straniero venga ad essere perciò privato della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, per effetto del rimpatrio nel Paese di origine, di cui cioè si abbia la cittadinanza (Cass. 4455/2018), non già di un Paese terzo (cfr. Cass. 2861/2018, 13858/2018, 29875/2018); semmai, le violenze subite nel Paese di transito e di temporanea permanenza del richiedente asilo, ove potenzialmente idonee – quali eventi in grado di ingenerare un forte grado di traumaticità – ad incidere sulla condizione di vulnerabilità della persona, possono legittimare il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (nella disciplina previgente al D.L. n. 113 del 2018, conv., con modif., in L. n. 132 del 2018), sempre in presenza di specifiche e concrete condizioni, da allegare e valutare caso per caso (Cass. 13096/2019).
5. Il terzo motivo prospetta la “violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e art. 14, lett. c) e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8” nonchè “motivazione contraddittoria circa un fatto decisivo”, avuto riguardo al rigetto della domanda di protezione sussidiaria da parte del tribunale e alla mancata acquisizione delle COI.
5.1. La censura è inammissibile, avendo il giudice a quo tratto dalle fonti consultate il convincimento che nel paese di origine del richiedente non sussista una condizione di violenza indiscriminata, e ciò sulla base di una valutazione di merito di sua esclusiva pertinenza, in ossequio ai principi già espressi da questa Corte, secondo i quali lo straniero non può ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato o la protezione sussidiaria per il solo fatto che vi siano nel suo paese di origine aree o regioni insicure, qualora la regione o area da cui egli provenga sia immune da rischi di persecuzione o da situazioni di violenza indiscriminata (Cass. 18540/2019, 13088/2019, 28433/2018). La doglianza si traduce perciò in una inammissibile sollecitazione del riesame del merito (conf., da ultimo, Cass. 1777/2020).
5.2. Va comunque ribadito che il riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, implica, alternativamente: i) una contestualizzazione della minaccia ivi prevista, in rapporto alla specifica condizione personale del richiedente; ii) l’esistenza di un conflitto armato interno, caratterizzato dal ricorso ad una violenza indiscriminata, che raggiunga un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile, rientrato nel Paese o, se del caso, nella regione in questione, correrebbe, per la sua sola presenza su quel territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia. Ebbene, solo nel secondo caso il giudice è tenuto a verificare d’ufficio, tramite le COI, l’esistenza della situazione di violenza indiscriminata (Cass. 19716/2018), mentre nel primo non può essere chiamato a supplire ad eventuali carenze probatorie del richiedente (Cass. 14006/2018, 13858/2018); fermo restando, peraltro, l’onere del richiedente di allegare i fatti costitutivi del suo diritto, in difetto non potendo attivarsi i poteri istruttori officiosi del giudice (Cass. 8908/2019, 3016/2019, 17069/2018).
6. Con il quarto mezzo ci si duole della “violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 34, nonchè dell’art. 10 Cost. e artt. 112 e 116 c.p.c.”, per avere “il Collegio di prima istanza completamente omesso la verifica dei requisiti per la concessione della misura” della protezione umanitaria.
6.1. La censura è radicalmente inammissibile poichè non tiene conto dell’affermazione – contenuta nella sentenza impugnata e non censurata in questa sede – che il tribunale avrebbe accolto la domanda di riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari.
7. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile, senza necessità di alcuna statuizione sulle spese processuali, in assenza di difese dell’intimato.
8. Sussistono i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (Cass. Sez. U, 23535/2019).
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1- quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2020.
Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2020
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