Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.10867 del 08/06/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27918/2013 proposto da:

Fallimento ***** S.p.a. (già in Amministrazione Straordinaria) in persona dei curatori avv. G.G., avv. M.S.

e Dott. Gi.En., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avv. Caltabiano Alberto, giusta procura in calce all’atto di integrazione del contraddittorio dell’8 aprile 2019;

– ricorrente –

contro

Molise Acque Azienda Speciale Regionale, in persona del direttore generale, elettivamente domiciliata in Roma, Via dei Gracchi n. 39, presso lo studio dell’avvocato Giuffrè Adriano, rappresentata e difesa dall’avvocato Rizzi Renato, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

Gu.Ca., elettivamente domiciliata in Roma, Via Belsiana n. 71, presso lo studio dell’avvocato Vella Gabriella, rappresentata e difesa dall’avvocato Cavuoto Vincenzo, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

F.E., elettivamente domiciliato in Roma, Via Belsiana n. 71, presso lo studio dell’avvocato Vella Gabriella, rappresentato e difeso dall’avvocato Cavuoto Vincenzo, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 518/2013 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 06/03/2013;

lette viste le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO ALBERTO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 29/10/2019 dal Consigliere Dott. VELLA PAOLA.

FATTI DI CAUSA

1. La società ***** S.p.a., in amministrazione straordinaria ex L. n. 95 del 1979 dal 26/03/1996 (su dichiarazione dello stato di insolvenza del 02/03/1996), deduceva che il creditore F.G. aveva pignorato il proprio credito verso l’Ente Risorse Idriche Molise (di seguito ERIM) e, ottenuta in data 02/04/1996 ordinanza di assegnazione, aveva ricevuto da quest’ultimo, in data 05/04/1996, il pagamento di Lire 508.404.926, alla cui restituzione chiedeva condannarsi in solido il F. ed ERIM, in quanto il pagamento eseguito dal debitor debitoris al F. era inefficace ai sensi della L. Fall., art. 44, comma 1, “e anche il pagamento eseguito dalla ERIM, da qualificarsi come pagamento eseguito alla ***** S.p.a., era inefficace ai sensi della L. Fall., art. 44, comma 2”.

Il Tribunale di Catania dichiarava inopponibile L. Fall., ex art. 51, il pagamento effettuato da ERIM al F. ed inefficace L. Fall., ex art. 44, comma 1, il pagamento ricevuto da quest’ultimo, condannando i convenuti – in solido – “alla restituzione della somma di Euro 262.569,23 oltre interessi al tasso legale del 5/4/96 sino al soddisfo” e dichiarando contestualmente “il diritto di ERIM di ripetere da F.G. tutte le somme che avrebbe versato all’amministrazione straordinaria attrice”.

Su appello della Molise Acque Azienda Speciale Regionale – quale successore di ERIM – e nella contumacia del F., la Corte di Appello di Catania riformava la sentenza di primo grado per vizio di ultrapetizione, nella parte in cui aveva accolto la domanda nei confronti della Molise Acque ai sensi della L. Fall., art. 51.

Avverso detta decisione la ***** S.p.a. in A.S. proponeva ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui la Molise Acque resisteva con controricorso, corredato da memorie.

Con ordinanza interlocutoria n. 3359 del 05/02/2019 questa Corte ha disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti del F..

All’incombente ha proceduto la curatela del Fallimento della ***** S.p.a. – in cui la procedura di amministrazione straordinaria è stata convertita ai sensi del D.L. n. 70 del 2011, art. 8, giusta sentenza del Tribunale di Catania del 12/04/2018 – notificando il ricorso a F.E. e Gu.Ca., quali eredi di F.G..

Gli eredi intimati hanno resistito con controricorso, chiedendo: il primo, il rigetto del ricorso e la declaratoria di validità ed efficacia della sua accettazione con beneficio di inventario; la seconda, l’estromissione dal giudizio per carenza di legittimazione passiva.

RAGIONI DELLA DECISIONE

2. Preliminarmente occorre rilevare che la Corte d’appello ha disposto la “revoca” della sentenza di primo grado limitatamente ai capi di condanna di ERIM in favore di ***** S.p.a. in A.S. (in forza della inopponibilità del pagamento effettuato dalla prima, ai sensi della L. Fall., art. 51) e che il ricorso per cassazione della ***** verte esclusivamente sulla posizione di Molise Acque Azienda Speciale Regionale (quale successore di ERIM), sicchè i capi di condanna di F.G. contenuti nella sentenza di primo grado devono ritenersi passati in giudicato, con la conseguenza che le deduzioni svolte dagli eredi F.E. e Gu.Ca. in punto, rispettivamente, di accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario e di rinuncia all’eredità del de cuius, non possono trovare ingresso in questa sede.

3. Passando all’esame del ricorso, con il primo motivo si lamenta la “Violazione o falsa applicazione degli artt. 112 e 113 c.p.c.”, per avere la corte d’appello erroneamente ravvisato un vizio di extrapetizione nella diversa qualificazione data dal Tribunale al pagamento del terzo pignorato Molise Acque – ritenuto non già inefficace L. Fall., ex art. 44, come richiesto dalla società in A.S., bensì inopponibile L. Fall., ex art. 51 – trattandosi in realtà di qualificazione giuridica della domanda, spettante al giudice indipendentemente dalla prospettazione di parte; tanto più che la causa petendi azionata era comunque riconducibile al divieto di azioni esecutive nei confronti del debitore assoggettato a procedura concorsuale, L. Fall., ex art. 51.

3.1. Con il secondo mezzo si lamenta la violazione della L. Fall., art. 51, per il caso in cui la corte territoriale avesse inteso negare che alla relativa declaratoria di inopponibilità consegua la sanzione della ripetizione del pagamento, a favore della massa dei creditori, da parte del terzo che abbia dato esecuzione a un’ordinanza di assegnazione contraria al disposto della norma citata.

3.2. Con il terzo motivo si deduce la violazione della L. Fall., art. 44, comma 2, in quanto l’inefficacia del pagamento eseguito dal terzo pignorato dopo l’apertura della procedura concorsuale pregiudica non solo il creditore pignorante (accipiens), tenuto a restituire il pagamento ricevuto, ma anche il terzo (solvens) che, avendo eseguito un pagamento privo di effetto liberatorio verso l’esecutato, può essere costretto a un nuovo pagamento in favore della massa dei creditori. Ciò perchè il debitor debitoris (ERIM), dando esecuzione all’ordinanza di assegnazione, ha estinto non solo il debito del debitore pignorato (*****) verso il pignorante ( F.) ma anche il proprio debito nei confronti dello stesso pignorato, con conseguente configurabilità di un pagamento inefficacemente ricevuto dal fallito L. Fall., ex art. 44, comma 2 (sicchè il debitore non sarebbe liberato ma dovrebbe rinnovare l’adempimento nei confronti della curatela).

4. I motivi, esaminati congiuntamente, sono fondati.

5. Va innanzitutto esclusa la sussistenza di un vizio di “ultra” o “extra” petizione, il quale ricorre solo quando – come non risulta avvenuto nel caso di specie – “il giudice pronuncia oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni fatte valere dalle parti, ovvero su questioni estranee all’oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio, attribuendo un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato, fermo restando che egli è libero non solo di individuare l’esatta natura dell’azione e di porre a base della pronuncia adottata considerazioni di diritto diverse da quelle prospettate, ma pure di rilevare, indipendentemente dall’iniziativa della parte convenuta, la mancanza degli elementi che caratterizzano l’efficacia costitutiva o estintiva di una data pretesa, in quanto ciò attiene all’obbligo inerente all’esatta applicazione della legge” (Cass. 20932/2019).

5.1. Nel caso di specie, il tribunale ha fatto piuttosto applicazione del principio “iura novit curia”, di cui all’art. 113 c.p.c., comma 1, il quale consente al giudice “di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti ed ai rapporti dedotti in lite, nonchè all’azione esercitata in causa, ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame, potendo porre a fondamento della sua decisione principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti” – sempre che ” i fatti necessari al perfezionamento della fattispecie ritenuta applicabile coincidano con quelli della fattispecie concreta sottoposta al suo esame” – senza incorrere nel divieto di ultra o extra-petizione di cui all’art. 112 c.p.c., non risultando, tra l’altro, che sia stato attribuito “un bene non richiesto o diverso da quello domandato”, nè mutati i fatti costitutivi della pretesa, nè deciso “su questioni che non hanno formato oggetto del giudizio” (Cass. 8645/2018, Cass. 30607/2018, Cass. 11629/2017, Cass. 12943/2012).

6. Venendo all’esame del merito della vicenda, occorre innanzitutto rimarcare, in fatto, che il F. agì in executivis contro la ***** in A.S. procedendo al pignoramento presso terzi del credito da questa vantato nei confronti di ERIM e ottenendone l’assegnazione in epoca pacificamente successiva all’apertura della procedura di amministrazione straordinaria, così come successivo fu il pagamento del debitor debitoris in favore del creditore pignorante.

6.1. Occorre altresì evidenziare, in diritto, che la procedura di amministrazione straordinaria ex D.L. n. 26 del 1979, convertito con modificazioni dalla L. n. 95 del 1979 (cd. legge Prodi) è disciplinata, in quanto non diversamente stabilito, dalla L. Fall., artt. 197 e segg., con equiparazione del decreto di apertura “al decreto che ordina la liquidazione coatta amministrativa” (art. 1 D.L. cit.); di qui l’applicabilità sia dell’art. 44 (in uno agli artt. 42, 45, 46 e 47), sia della L. Fall., art. 51, in forza del richiamo contenuto, rispettivamente, nella L. Fall., artt. 200 e 201; pertanto, in prosieguo si farà riferimento a principi valevoli per la dichiarazione di fallimento, senza ulteriormente ricordarne l’applicabilità alla procedura di amministrazione straordinaria (che nel caso di specie è stata, come detto, successivamente convertita in fallimento).

6.2. Occorre infine tener presente che è passato in giudicato il capo della sentenza di primo grado recante condanna del F. (creditore pignorante) alla restituzione del pagamento ricevuto da ERIM (debitor debitoris) – in conformità al pacifico orientamento di questa Corte, di cui si darà conto – mentre è ancora in discussione la condanna di ERIM a favore della ***** (debitore esecutato) per il medesimo importo, che la sentenza del tribunale (in parte qua riformata dalla corte d’appello) aveva disposto in solido con il F., salvo il suo diritto di rivalsa nei confronti di quest’ultimo.

7. Fatte queste precisazioni, dagli atti di causa emerge che la ***** S.p.a. in A.S. ha agito in giudizio (solo) ai sensi della L. Fall., art. 44, essendo stato il tribunale ad accogliere invece la domanda nei confronti di ERIM ai sensi della L. Fall., art. 51.

7.1. Invero, la L. Fall., art. 51, si limita a porre il divieto generale (salvo diversa disposizione di legge) di iniziare o proseguire, dal giorno della dichiarazione di fallimento, qualsivoglia azione individuale esecutiva o cautelare. La norma non prevede espressamente, al di là degli effetti processuali, la sanzione per gli atti compiuti in violazione del divieto (astrattamente configurabile in termini di inesistenza, nullità, annullabilità, inefficacia, inopponibilità), che la dottrina e giurisprudenza ormai prevalenti declinano in termini di inopponibilità alla massa dei creditori concorsuali, ovvero inefficacia relativa ex lege, del tutto assimilabile a quella espressamente sancita dalla L. Fall., art. 44.

7.2. Quest’ultima disposizione rappresenta la proiezione del cd. spossessamento sostanziale e processuale tracciato dai precedenti L. Fall., artt. 42 e 43 – i quali si limitano, proprio come la L. Fall., art. 51, ad imporre vincoli e divieti – in attuazione del principio della “cristallizzazione”, alla data del fallimento, dei rapporti facenti capo al fallito, sia dal lato attivo che dal lato passivo. Ed infatti, mentre il comma 1 stabilisce l’inefficacia, rispetto ai creditori, di tutti gli “atti compiuti dal fallito” e dei “pagamenti da lui eseguiti dopo la dichiarazione di fallimento”, il comma 2 colpisce con identica sanzione “i pagamenti ricevuti dal fallito dopo la sentenza dichiarativa di fallimento”, fatta salva la possibilità (di cui al comma 3, introdotto dalla riforma del 2006) di acquisire alla massa fallimentare “tutte le utilità che il fallito consegue nel corso della procedura per effetto degli atti di cui al primo e comma 2”.

7.3. Il meccanismo così congegnato, pur sacrificando in termini dogmatici – per il tramite del sistema pubblicitario descritto nella L. Fall., art. 16, comma 2 – alcuni principi generali dell’ordinamento (si pensi al pagamento eseguito in buona fede al creditore apparente, ex art. 1189 c.c., ovvero all’acquisto di beni mobili in forza del possesso ricevuto in buona fede a non domino, ex art. 1153 c.c.), si rivela sul piano operativo congeniale all’obbiettivo ultimo della migliore soddisfazione dei creditori concorsuali, dal momento che nessun atto compiuto dal fallito e nessun pagamento da questi eseguito o ricevuto pendente procedura possono pregiudicare il patrimonio fallimentare destinato alla soddisfazione dei creditori medesimi. Tanto che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la salvaguardia del principio della par conditio creditorum costituisce salva l’eccezione prevista dalla L. Fall., art. 56 – l’effettiva ratio della sottrazione al fallito della disponibilità dei suoi beni (Cass. 7508/2011, 1227/2016).

7.4. In particolare, è pacifico che nessun pagamento effettuato dai debitori a mani del fallito – o comunque non a mani del curatore può avere effetto liberatorio per l’obbligato. La nozione di “pagamento” viene qui intesa in senso lato, con riguardo a qualsiasi atto estintivo di un debito riferibile – anche indirettamente – al fallito, in quanto effettuato con suo denaro, o su suo incarico, o in sua vece, ivi compreso, appunto, il pagamento eseguito dal debitor debitoris in favore del creditore del fallito che abbia ottenuto l’assegnazione coattiva di un credito di quest’ultimo, ai sensi dell’art. 553 c.p.c.; ciò in quanto il terzo (assegnato) che esegua il pagamento dopo il fallimento del proprio creditore, estingue contestualmente sia il debito del fallito verso il creditore pignorante (assegnatario), sia il proprio debito verso il fallito, e lo fa con mezzi provenienti dal patrimonio di quest’ultimo. Il pagamento così realizzato risulta pertanto inefficace ai sensi della L. Fall., art. 44, senza che rilevi l’anteriorità dell’assegnazione, poichè essa viene disposta “salvo esazione”, sicchè all’assegnazione sopravvive il debito dell’insolvente, a norma dell’art. 2928 c.c. (per cui “il diritto dell’assegnatario verso il debitore che ha subito l’espropriazione non si estingue che con la riscossione del credito assegnato”) e l’effetto satisfattivo per il creditore procedente è rimesso alla successiva riscossione del credito assegnato (ex multis, Cass. 1611/2000, 463/2006, 7508/2011, 25421/2015, 1227/2016, 14779/2016).

8. Occorre però considerare che i precedenti di questa Corte di cui si è dato conto riguardavano fattispecie in cui un debitore del fallito aveva eseguito – dopo il fallimento – il pagamento del proprio debito in favore del creditore del fallito che a sua volta aveva già ottenuto prima del fallimento – l’assegnazione del credito pignorato ex art. 553 c.p.c.; in quei casi, il pagamento è stato costantemente ritenuto inefficace ai sensi della L. Fall., art. 44, ma la relativa azione è stata per lo più ritenuta esercitabile solo nei confronti dell’accipiens, non anche del solvens (v. in particolare Cass. 14779/2016, 25421/2015).

8.1. Nella fattispecie in esame, invece, anche l’assegnazione del credito pignorato è avvenuta pacificamente dopo l’assoggettamento del debitore alla procedura di amministrazione straordinaria – in forza di provvedimento perciò “privo di effetti giuridici” per giurisprudenza consolidata di questa Corte (a partire da Cass. 464/1965) – con una duplice conseguenza: i) che la titolarità del credito vantato dalla ***** nei confronti di ERIM non è mai legittimamente passata (sia pure “salvo esazione”) in capo al F.; ii) che il pagamento è stato effettuato da ERIM ad un soggetto nemmeno astrattamente legittimato a riceverlo, per giunta senza alcuna efficacia liberatoria per il solvens, in assenza delle condizioni contemplate dall’art. 1188 c.c., comma 2 (i.e. che la procedura di amministrazione straordinaria abbia ratificato il pagamento o ne abbia approfittato).

8.2. Nella giurisprudenza di legittimità non si è mai dubitato del duplice effetto estintivo che produce, in simili ipotesi, il pagamento eseguito dopo il fallimento dal terzo “assegnato”, che infatti estingue: per un verso, il debito del fallito verso il creditore pignorante (i.e. di ***** verso F.); per altro verso, il debito del debitor debitoris verso il fallito (i.e. ERIM verso *****).

8.3. Nel primo caso, la conseguente inefficacia è riconducibile alla L. Fall., art. 44, comma 1, trattandosi della soddisfazione di un credito che sarebbe dovuta avvenire in sede concorsuale (e perciò in moneta fallimentare), donde la ripetibilità del pagamento dall’accipiens (come in effetti disposto con la condanna del F.) e la facoltà di insinuazione al passivo per il corrispondente importo.

8.4. Nel secondo caso, l’analoga inefficacia è riconducibile invece alla L. Fall., art. 44, comma 2, poichè è come se ERIM avesse pagato il proprio debito nelle mani del fallito, piuttosto che – come dovuto – al curatore (cfr. Cass. 5994/2011, per cui “se sopraggiunga la dichiarazione di fallimento del debitore esecutato il terzo deve pagare quanto dovuto al curatore del fallimento, poichè il debitore, dopo tale dichiarazione, perde, ai sensi della L. Fall., art. 44, il diritto di disporre del proprio patrimonio e non può effettuare alcun pagamento”, nè volontario nè coattivo, a prescindere dalla conoscenza dello stato di insolvenza dell’esecutato da parte del creditore; v. anche Cass. 24476/2008, che, proprio “in virtù della L. Fall., art. 44”, fa riferimento alla ripetibilità del pagamento del debito assegnato ex art. 553 c.p.c., “nei confronti dello stesso debitor debitoris”; conf. Cass. 19947/2017).

8.5. Paiono quindi condivisibili le considerazioni svolte da questa Corte in un precedente del tutto analogo, in cui è stata ritenuta legittimamente esercitata dalla curatela l’azione di inefficacia L. Fall., ex art. 44, nei confronti del debitor debitoris, stante l’inopponibilità alla massa del pagamento da questi effettuato, dopo il fallimento, ad un “destinatario dell’atto solutorio” erroneamente individuato, potendosi il pagamento effettuare “solo a mani dell’organo concorsuale”; di qui la ripetizione della somma a carico del solvens, ferma restando la possibilità per il creditore pignorante di far valere il credito “mediante insinuazione al passivo” (così, in motivazione, Cass. 19947/2017).

9. Alla luce di quanto precede deve ritenersi legittimamente disposta in primo grado – a prescindere dal disposto della L. Fall., art. 51 – la condanna in solido del solvens e dell’accipiens, in quanto diretta ad assicurare che la procedura concorsuale consegua la somma di cui era creditrice nei confronti di ERIM (ora Molise Acque Azienda Speciale Regionale) e che il credito vantato dal F. sia invece soddisfatto con moneta fallimentare, mediante insinuazione al passivo, al tempo stesso scongiurando ogni possibile locupletazione della procedura medesima e consentendo l’eventuale rivalsa del solvens nei confronti dell’accipiens.

10. La sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio, anche per la statuizione sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Catania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 29 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2020

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