LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 11631-2018 proposto da:
B.A., in proprio e nella qualità di legale rappresentante pro tempore del GRUPPO PAM S.P.A. elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BERENGARIO n. 10, presso lo studio dell’avvocato PAOLA CECCHETTI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MICHELE RUBINO;
– ricorrenti –
e contro
MINISTERO POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– resistente –
avverso la sentenza n. 6226/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 11/10/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/01/2020 dai Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.
FATTI DI CAUSA
Con ordinanza ingiunzione n. 141/2013 il Ministero per le Politiche Agricole e Forestali ingiungeva al Gruppo PAM SPA e a B.A. il pagamento della sanzione di Euro 44.404,00 per aver detenuto per la vendita alcuni fusti di olio vergine di oliva, etichettati come olio extra vergine di oliva.
Con ricorso ai sensi della L. n. 689 del 1891, art. 22, gli odierni ricorrenti impugnavano il predetto provvedimento lamentando il difetto dell’elemento soggettivo e la violazione della L. n. 689 del 1981, art. 1.
Con sentenza n. 2364/2016 il Tribunale di Velletri accoglieva l’opposizione nella contumacia del Ministero.
Quest’ultimo interponeva appello e la Corte di Appello di Roma, con la sentenza n. 6226/2017 oggi impugnata, accoglieva l’impugnazione.
Propongono ricorso per la cassazione di detta decisione B.A. e Gruppo PAM SPA affidandosi a due motivi.
Il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali ha depositato atto di costituzione ai fini della partecipazione all’udienza.
La parte ricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 153, 416 e 437 c.p.c., del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 1, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente consentito al deposito del verbale di prelevamento dell’olio e al rapporto di prova del laboratorio, eseguito dal Ministero solo in grado di appello. Ad avviso dei ricorrenti, infatti, il giudizio di opposizione a ordinanza ingiunzione sarebbe regolato dal rito del lavoro, con conseguente applicazione della norma di cui all’art. 416 c.p.c., secondo cui i documenti devono essere obbligatoriamente prodotti, a pena di decadenza, nel termine di dieci giorni prima dell’udienza di prima comparizione in primo grado. Stante la vigenza di detta norma, non vi sarebbe spazio per il deposito in appello di documenti non tempestivamente prodotti in prime cure.
La censura è infondata, poichè anche nel giudizio di impugnazione modellato sulle norme previste per il rito del lavoro è ammesso, a norma dell’art. 437 c.p.c., comma 2, il deposito di documenti non prodotti in precedenza, qualora il collegio li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa. Poichè nel caso di specie la sentenza impugnata afferma espressamente la natura indispensabile dei documenti prodotti dal Ministero, richiamando peraltro proprio la norma di cui all’art. 437 c.p.c., non si configura alcuna violazione di legge.
Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, perchè la Corte capitolina avrebbe ritenuto la sussistenza della loro responsabilità senza valutare la circostanza che dal verbale risultava che i contenitori di olio erano stati reperiti ancora chiusi. Ad avviso dei ricorrenti, la Corte territoriale avrebbe dovuto apprezzare che il fornitore aveva garantito per iscritto che detti fusti contenessero olio extra vergine di oliva e ravvisare, sulla base di tale elemento, la loro buona fede, con conseguente esenzione della responsabilità.
La censura è fondata. Dalla lettura della sentenza impugnata, infatti, non risulta in alcun modo valutata la circostanza evidenziata dai ricorrenti, che pure era idonea ad incidere significativamente sul giudizio di sussistenza della responsabilità per la violazione amministrativa configurata. In proposito, va data continuità al principio secondo cui l’errore sulla liceità del fatto è decisivo e giustifica l’esclusione della responsabilità quando abbia carattere di inevitabilità e dipenda da un elemento o un fatto estraneo all’autore dell’infrazione (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 19759 del 02/10/2015, Rv. 636814; in senso conforme, Cass. Sez. L, Sentenza n. 16320 del 12/07/2010, Rv.614381; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10477 del 08/05/2006, Rv. 590951).
In definitiva, va respinto il primo motivo mentre va accolto il secondo. La sentenza impugnata va quindi cassata, in relazione alla censura accolta, con rinvio della causa alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo e accoglie il secondo. Cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia la causa alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sesta sezione civile, il 9 gennaio 2020.
Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2020