Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.11024 del 10/06/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7032-2018 proposto da:

B.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato CLAUDIA ZENI;

– ricorrente –

contro

CENTRO ASSISTENZA TECNICA – C.A.T. IMPRESE UNIONE SRL IN LIQUIDAZIONE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE M.LLO PILSUDSKI 118, presso lo studio dell’avvocato EMANUELA PAOLETTI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati FABRIZIO MARCHIONNI, FABRIZIO PAOLETTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 93/2017 della CORTE D’APPELLO di TRENTO, depositata il 21/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 03/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARGHERITA MARIA LEONE.

RILEVATO

CHE:

La Corte di appello di Trento con la sentenza n. 93/2017 aveva rigettato l’appello proposto da B.M. avverso la decisione con la quale il locale tribunale aveva rigettato la sua domanda diretta all’accertamento del credito della somma di E.327.800,00 vantato nei confronti Centro Assistenza Tecnica -C.A.T. Imprese Unione srl in liquidazione, in ragione del contratto di collaborazione tra le parti, ovvero, in subordine, al riconoscimento del rapporto di dipendenza con la condanna della società al diverso importo indicato, comprensivo di tfr.

La corte territoriale aveva ritenuto che la domanda del Bragagna, fondata sulla produzione in copia di un contratto scritto disconosciuto dalla società quanto alla sua conformità all’originale e del quale non era stato prodotto l’originale, non risultava suffragata da sufficienti elementi di prova attestativi del credito e dell’accordo tra le parti, formalmente legate da contratti a progetto regolarmente retribuiti. Il giudice d’appello aveva escluso il riconoscimento del debito da parte della società identificato dal ricorrente nella sottoscrizione dei prospetti paga, aveva poi valutato generici i capitoli di prova la cui ammissione era stata invocata dal Bragagna e altresì generici i documenti di cui era chiesta la possibilità di produzione. La Corte aveva infine rigettato la domanda di riconoscimento del rapporto di lavoro dipendente-subordinato in quanto incompatibili le circostanze di fatto dedotte con l’ipotesi invocata.

Avverso detta decisione proponeva ricorso il Bragagna affidato a sei motivi cui resisteva con controricorso la società.

Veniva depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

CONSIDERATO

CHE:

1)- Con il primo motivo è dedotta la violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., in relazione all’art. 24 Cost., commi 1 e 2, art. 111 Cost., comma 2, agli artt. 115,420 c.p.c., art. 421 c.p.c., commi 1 e 2, artt. 1988 e 2909 c.c., per aver, entrambi i giudici di merito, effettuato una lacunosa ricostruzione dei fatti, soprattutto basata su dichiarazioni irrilevanti del teste P..

Questa Corte ha chiarito che “E’ inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito” (Cass.n. 8758/017- Cass. n. 18721/2018).

Il motivo contiene sostanzialmente una critica alla ricostruzione dei fatti e quindi alla valutazione degli stessi effettuata dalla corte di merito con chiaro intento rivisitatorio del giudizio espresso, non consentito in sede di legittimità. Il motivo è inammissibile.

2) Con il secondo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 216 c.p.c (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) per la errata valutazione circa la mancata richiesta della verificazione del contratto disconosciuto e non prodotto l’originale. Il ricorrente deduce che l’originale del contratto era stato trattenuto dal P. e che era impossibilitato a produrlo.

Il motivo è inammissibile. La Corte territoriale ha spiegato chiaramente che il ricorrente avrebbe dovuto, a fronte del disconoscimento del contratto, fornire la prova della esistenza di un originale con il medesimo contenuto della copia. L’esistenza di un preciso onere rimasto inadempiuto e la rilevata circostanza della incertezza circa l’effettivo contenuto del contratto originale e sulla identità dei soggetti contraenti (CAT o P.), ha condotto il giudice d’appello ad esprimere una corretta valutazione negativa sulla istanza di verificazione, inconferente in assenza di un atto in “originale” cui riferirla. Si tratta, all’evidenza, dell’esercizio dell’attività valutativa del giudice del merito, non riproponibile in questa sede di legittimità.

3) Con il terzo motivo è dedotta la violazione dell’art. 254 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) per aver errato la corte di merito nel disporre il confronto tra testimoni.

Come già in molte occasioni affermato “l’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex multis Cass. n. 19011/2017; Cass.n. 16056/2016). Anche in questo caso la attività svolta dal giudice dell’appello attiene al merito del giudizio ed alla sua valutazione circa l’attività istruttoria necessaria.

4) Con il quarto motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2726 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.) per aver, la corte di Trento, erroneamente ritenuto che l’attività svolta dal ricorrente fosse stata remunerata secondo quanto disposto dai contratti a progetto.

Il motivo risulta inconferente in quanto il giudice d’appello ha rilevato che nessuna contestazione era posta circa le prestazioni regolate dai contratti a progetto, per le quali il ricorrente era stato regolarmente remunerato. Quanto alle ulteriori pretese, oggetto del giudizio, la prova delle stesse incombeva sul ricorrente.

Risulterebbe quindi una inversione dell’onere probatorio ritenere la società gravata della prova del pagamento delle prestazioni estranee ai contratti a progetto. Corretta dunque la statuizione che valuta remunerate le prestazioni svolte in ragione del contratto formalmente esistente tra le parti e non provate le ulteriori pretese.

5) Con tale motivo è dedotta la violazione dell’art. 111 cost e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, art. 118 disp.att. c.p.c., per la mancata riapertura della istruttoria. Il giudice di appello aveva disatteso la richiesta del ricorrente per la genericità dei capitoli di prova diretti ad accertare l’attività svolta.

Questa Corte ha chiarito che “Qualora con il ricorso per cassazione siano denunciati la mancata ammissione di mezzi istruttori e vizi della sentenza derivanti dal rifiuto del giudice di merito di dare ingresso a mezzi istruttori ritualmente richiesti, il ricorrente ha l’onere di indicare specificamente i mezzi istruttori, trascrivendo le circostanze che costituiscono oggetto di prova, nonchè di dimostrare sia l’esistenza di un nesso eziologico tra l’omesso accoglimento dell’istanza e l’errore addebitato al giudice, sia che la pronuncia, senza quell’errore, sarebbe stata diversa, così da consentire al giudice di legittimità un controllo sulla decisività delle prove” (Cass.n. 23194/2017).

Il motivo è inammissibile in quanto non riporta i capitoli di prova cui si riferisce, così impedendo ogni possibile valutazione sul vizio denunciato.

6) Con il sesto motivo parte ricorrente denuncia l’omesso esame di fatti decisivi, (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), quali la testimonianza del teste Condor, le deposizioni rese nel procedimento penale del cui fascicolo era stata richiesta l’acquisizione e la copiosa documentazione prodotta in primo grado.

Il motivo è inammissibile. E’stato in più occasioni chiarito che “In tema di ricorso per cassazione costituisce fatto (o punto) decisivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, quello la cui differente considerazione è idonea a comportare, con certezza, una decisione diversa (Cass. n. 18368/2013; Cass. n. 17761/2016) Ha anche specificato che “L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 (conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012), introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo, ossia idoneo a determinare un esito diverso della controversia” (Cass. n. 23238/2017) La decisività del “fatto” omesso assume nel vizio considerato dalla disposizione richiamata una rilevanza assoluta poichè determina lo stretto nesso di causalità tra il fatto in questione e la differente decisione (non solo eventuale ma certa).

Tale condizione deve dunque essere chiaramente allegata dalla parte che invochi il vizio, onerata di rappresentare non soltanto l’omissione compiuta ma la sua assoluta determinazione a modificare l’esito del giudizio. Nessuna allegazione in tale senso è stata offerta dal ricorrente che, peraltro, neppure inserisce nel motivo le deposizioni e la documentazione cui si riferisce e di cui chiede l’esame, in tal modo anche incorrendo nella violazione del principio di specificità della censura.

Ulteriore profilo di inammissibilità del motivo è dato dalla presenza di una “doppia conforme” prevista dall’art. 348 ter c.p.c., comma 5, nell’ipotesi in cui il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 26774/2016; Cass. n. 5528/2014).

Nella specie la decisione della Corte di merito, nel confermare integralmente la sentenza del Tribunale, ha condiviso la valutazione sui fatti compiuta dal giudice di prime cure. L’adesione del Giudice di appello rispetto al giudizio di fatto espletato dal Tribunale rende evidente come quest’ultimo costituisca il fondamento della decisione di rigetto dell’appello, rispetto alla quale alcuna differente e opposta allegazione, circa l’eventuale contrasto tra le decisioni, è stata invece formulata dal ricorrente.

Il ricorso deve essere rigettato.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in favore della controricorrente nella misura di cui al dispositivo.

Sussistono i presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 5.000,00 per compensi ed E. 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2020

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