Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.11025 del 10/06/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23726-2018 proposto da:

L.A. elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato CLAUDIO DE FILIPPI;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale procuratore speciale della SOCIETA’ DI CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI INPS (SCCI) SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati CARLA D’ALOISIO, GIUSEPPE MATANO, ANTONINO SGROI, EMANUELE DE ROSE, ESTER ADA VITA SCIPLINO, LELIO MARITATO;

– controricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE 13756881002;

– intimata –

avverso la sentenza n. 130/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 13/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 03/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARGHERITA MARIA LEONE.

RILEVATO

CHE:

La Corte di appello di Milano, con la sentenza n. 130/2018, aveva respinto l’appello proposto da L.b.A. avverso la decisione con la quale il tribunale locale aveva dichiarato estinto il giudizio relativo al ricorso con cui lo stesso l.B. aveva chiesto l’annullamento del sollecito di pagamento delle sottese cartelle a lui notificate da Agenzia Entrate Riscossione e dall’Inps.

La corte territoriale premetteva che il giudice di prime cure, su richiesta della parte ricorrente, aveva disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti dell’Agenzia delle Entrate ponendola a carico del ricorrente e fissando udienza per la trattazione. Il ricorrente non aveva provveduto alla chiamata del terzo e il tribunale aveva dichiarato estinto il giudizio in applicazione del disposto dell’art. 307 c.p.c., commi 3 e 4.

Il giudice del gravame riteneva corretta la statuizione sul punto, attesa l’inattività della parte rispetto al termine perentorio attribuito dal giudice, anche valutando generica l’eccezione di incostituzionalità dell’art. 269 c.p.c., e giustificata la chiamata in causa dell’Agenzia in ragione del litisconsorzio necessario sussistente.

Avverso tale decisione il Lobello aveva proposto ricorso affidato a 4 motivi (anche insistendo per la preliminare eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 269 c.p.c), cui resisteva l’Inps con controricorso. L’Agenzia delle entrate rimaneva intimata Veniva depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio. Nelle more dell’adunanza perveniva la revoca del mandato al difensore di L.B.A..

CONSIDERATO

CHE:

1) Con il primo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 102 e 269 c.p.c in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver, la corte territoriale, errato nel ritenere sussistente una ipotesi di litisconsorzio necessario ed aver poi applicato l’art. 269 c.p.c., al posto di applicare l’art. 102 c.p.c.

3) Con il secondo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 269 e 152 c.p.c., poichè la Corte di appello aveva erratamente ritenuto che il tribunale avesse concesso un termine perentorio. Rileva il ricorrente che il Giudice di primo grado aveva indicato il termine come “dilatorio” e non “perentorio”.

Entrambi i motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto attinenti al termine concesso dal Tribunale.

Le censure sono da ritenersi inammissibili in quanto articolate in violazione del principio di specificità. Parte ricorrente non ha specificato e riportato nel corpo dei motivi gli atti richiamati: manca infatti il testo delle ordinanze dispositive del termine in questione e l’atto con il quale il termine era stato richiesta. Questa Corte ha chiarito che ” Il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci l’omessa od inesatta valutazione di atti o documenti prodotti in giudizio, anche ove intenda far valere un vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, è onerato, a pena di inammissibilità del ricorso, non solo della specifica indicazione del documento e della chiara indicazione del nesso eziologico tra l’errore denunciato e la pronuncia emessa in concreto, ma anche della completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti e dei documenti così da rendere immediatamente apprezzabile dalla Suprema Corte il vizio dedotto” (Cass.n. 14107/2017;Cass. 5478/2018).

4) Con il terzo motivo è dedotto vizio di motivazione (art. 111 cost, artt. 132 e 161 c.p.c. e art. 118 disp att. c.p.c.) e contestuale violazione di legge (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.) con riguardo al motivo di appello relativo ai profili di legittimità costituzionale dell’art. 269 c.p.c.

Il motivo è inammissibile.

Questa Corte ha stabilito che “La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. SU Cass. n. 8053/2014 I principi enunciati evidenziano le ipotesi in cui è rinvenibile un vizio di motivazione rilevante in termini di violazione di legge. Nessuno di questi è riferibile alla sentenza impugnata ed al motivo proposto in quanto la corte di appello ha valutato l’eccezione di incostituzionalità dell’art. 269 c.p.c., ritenendola genericamente proposta e, rispetto a tale affermazione e valutazione l’odierno motivo non indica e non allega le ragioni che contrasterebbero tale giudizio di genericità e non inserisce, nel motivo, l’esatto contenuto della originaria eccezione proposta.

4) Con l’ultimo motivo è denunciata la violazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, per aver, il giudice d’appello, fatto conseguire la condanna alle spese del giudizio alla illegittima decisione assunta.

Il motivo risulta assorbito dal rigetto dei precedenti motivi.

Deve infine soggiungersi che il ricorrente ha riproposto in questa sede la eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 269 c.p.c., per la parte in cui ha previsto che nel caso in cui l’attore chieda l’integrazione del contraddittorio ed il giudice l’autorizzi, debba farlo in un termine perentorio, mentre alcuna perentorietà esiste nel caso in cui la richiesta provenga dalla parte convenuta.

L’eccezione risulta genericamente proposta ed è inoltre manifestamente infondata, inammissibile, perché non individuano le ragioni della asserita violazione delle norme parametro (artt. 111 e 24 cost) e non chiariscono come le posizioni di attore e convenuto, in questa singolare fattispecie, debbano essere identiche così da richiedere parità di trattamento con riguardo al termine perentorio.

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese seguono il principio di soccombenza nei confronti dell’Inps e sono liquidate come da dispositivo; nulla per le spese nei confronti della Agenzia delle Entrate.

Sussistono i presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nei confronti dell’Inps liquidate in Euro 3.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge. Nulla per le spese nei confronti dell’Agenzia delle Entrate.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2020

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