LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –
Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –
Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 5454-2016 proposto da:
L.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE SANTO, 25, presso lo studio dell’avvocato ANDREA BOTTI, rappresentato e difeso dagli avvocati CARLO RASIA, CESARE MONTALI;
– ricorrente –
contro
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
e contro
G.M., + ALTRI OMESSI;
– intimati –
nonchè da M.M.F., + ALTRI OMESSI, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA VIRGILIO, 18, presso lo studio dell’avvocato CARMINE GRISOLIA, rappresentati e difesi dall’avvocato PATRIZIO TRIFONI;
– ricorrenti –
contro
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTIGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1392/2015 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 30/07/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 31/10/2019 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO.
FATTI DI CAUSA
1. Il Dott. G.M. ed altri quarantanove medici convennero in giudizio la Presidenza del Consiglio dei ministri davanti al Tribunale di Bologna, chiedendo che fosse dichiarato il loro diritto a percepire un’adeguata remunerazione in relazione all’avvenuta frequentazione di corsi di specializzazione in anni accademici a partire dal 1 gennaio 1983.
Nel medesimo giudizio prestarono intervento volontario la dottoressa M.M.F. ed altri quarantasei colleghi, svolgendo domande corrispondenti a quelle degli attori.
Si costituì in giudizio la convenuta, eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva e la prescrizione del diritto, e chiedendo nel merito il rigetto della domanda.
Il Tribunale accolse la domanda sia degli attori che delle parti intervenute e condannò lo Stato italiano, in persona del Presidente del Consiglio dei ministri, al pagamento in favore di ciascuno dei medici della somma di Euro 6.713,94 per ogni anno di corso, con rivalutazione ed interessi.
2. La sentenza è stata impugnata in via principale dalla Presidenza del Consiglio dei ministri e in via incidentale dal Dott. G. ed altri medici in ordine alla determinazione del quantum della somma posta a carico dello Stato; e la Corte d’appello di Bologna, con sentenza del 30 luglio 2015, in parziale riforma di quella di primo grado, ha dichiarato inammissibile l’intervento in giudizio della dottoressa M. e degli altri colleghi intervenuti con lei, ha rigettato nel resto l’appello principale, ha rigettato l’appello incidentale ed ha compensato integralmente le spese di lite tra tutte le parti.
Ha osservato la Corte di merito, per quanto di interesse in questa sede, che l’intervento della dottoressa M. e degli altri medici, avvenuto con comparsa depositata in data 7 agosto 2003, era da ritenere inammissibile. Come stabilito dalla sentenza 5 maggio 2009, n. 10274, delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, infatti, l’intervento del terzo deve, per poter essere ammissibile, essere relativo all’oggetto sostanziale della originaria controversia, da individuare in relazione al petitum e alla causa petendi, ovvero dipendente dal medesimo titolo dedotto nel processo, rimanendo irrilevante la mera identità di alcune questioni di diritto.
Nel caso di specie, però, le domande proposte dalle parti intervenute nel giudizio di primo grado avevano in comune con quelle degli attori soltanto l’identità delle questioni giuridiche, ma non anche dell’oggetto e del titolo. Secondo la Corte di merito, i fatti costitutivi della pretesa erano differenti per ciascun medico; per cui i medici intervenuti avrebbero potuto agire cumulativamente ai sensi dell’art. 103 c.p.c., ma non anche intervenire in un processo instaurato tra altre parti.
3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Bologna propone ricorso il Dott. L.E. con atto affidato a tre motivi.
Propongono altresì un separato ricorso i dottori M.M.F., + ALTRI OMESSI, con unico atto affidato a quattro motivi.
Resiste la Presidenza del Consiglio dei ministri con due separati controricorsi di identico contenuto.
Il Dott. L. e gli altri medici ricorrenti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Ricorso L..
1. Con il primo ed il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), violazione dell’art. 105 c.p.c., nonchè del diritto di difesa e dei principi regolatori del giusto processo e dell’economia processuale.
Osserva il ricorrente che la sentenza impugnata ha seguito l’orientamento dettato dalle Sezioni Unite secondo cui l’intervento in causa non è ammesso in ipotesi di c.d. connessione impropria. Un’ulteriore successiva giurisprudenza, però, ha ammesso l’intervento a condizione che esso presenti una connessione o un collegamento che comporti l’opportunità di un simultaneus processus. Ciò significa che in ipotesi di litisconsorzio facoltativo, poichè le parti possono agire nello stesso processo ai sensi dell’art. 103 c.p.c., sarebbe evidentemente incongruo, oltre che in contrasto col principio di ragionevole durata del processo, impedire l’intervento volontario; non si comprende perchè sia ammessa la trattazione congiunta delle domande e non anche l’intervento in causa nel termine previsto per la domanda riconvenzionale da parte del convenuto.
Rileva altresì il ricorrente (secondo motivo) che avrebbe errato la Corte bolognese nel ritenere sussistente, nella specie, solo un’ipotesi di connessione impropria. Tale decisione sarebbe in contrasto con l’orientamento di cui alla sentenza 15 giugno 2015, n. 12310, delle medesime Sezioni Unite, secondo cui è ammissibile la modifica di uno degli elementi della domanda (causa petendi e petitum) quando la domanda proposta abbia, rispetto a quella originaria, lo stesso episodio economico sociale di fondo. Nella specie, l’elemento comune sarebbe quello di aver agito contro lo Stato per il risarcimento dei danni conseguenti alla violazione del diritto comunitario.
3. Il terzo motivo di ricorso riguarda il merito della domanda e pone in luce come vi sia un contrasto nella giurisprudenza in ordine alla posizione dei c.d. medici specializzandi a cavallo.
Ricorso M. ed altri.
4. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) e n. 5), error in procedendo ed error in iudicando per non avere la Corte di merito rilevato che, in riferimento al testo degli artt. 180 e 183 c.p.c., nel testo ratione temporis applicabile, l’eccezione di inammissibilità dell’intervento era da ritenere tardiva.
Osservano i ricorrenti che, fissata l’udienza di prima comparizione per il 27 novembre 2003, gli intervenienti avevano depositato la loro comparsa di costituzione in data 7 agosto 2003; l’Amministrazione, costituitasi il 12 novembre 2003, nulla aveva eccepito con riguardo all’intervento, ponendo la relativa questione soltanto in sede di udienza di precisazione delle conclusioni, cioè tardivamente. Da tanto deriverebbe la nullità del capo di sentenza che ha riconosciuto fondata l’eccezione di inammissibilità dell’intervento.
5. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), difetto assoluto di motivazione per avere la Corte d’appello omesso di indicare le ragioni giuridiche per le quali ha ritenuto tardivo l’intervento suindicato.
6. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione dell’art. 105 c.p.c., per non avere la Corte d’appello rilevato la sussistenza, nella specie, dei presupposti legittimanti l’intervento.
I ricorrenti lamentano che la sentenza impugnata, limitandosi a richiamare la sentenza n. 10274 del 2009 delle Sezioni Unite, non avrebbe affiancato alcuna sua considerazione propria tale da dimostrare la bontà di quel richiamo. Nella specie, la domanda degli intervenienti si caratterizzava per avere come fondamento giuridico il medesimo fatto storico fatto valere dagli attori originari, nonchè anche il medesimo petitum, perchè tutte le parti avevano agito per ottenere l’accertamento dell’inadempimento dello Stato italiano rispetto all’obbligo di recepimento delle note direttive comunitarie; vi sarebbe, perciò, identità di petitum e di causa petendi. Richiamando la giurisprudenza di legittimità che ha ritenuto sufficiente, ai fini dell’ammissibilità dell’intervento, “che la domanda dell’interveniente presenti una connessione o un collegamento con quella proposta dalle parti originarie del processo”, i ricorrenti osservano che il diritto che il terzo può far valere nel processo, ai sensi dell’art. 105 cit., deve essere o relativo all’oggetto ovvero dipendente dal titolo, da intendere come fatto giuridico costitutivo del rapporto. Ammettere l’intervento, quindi, oltre ad essere giuridicamente corretto, avrebbe anche consentito, attraverso lo strumento del simultaneus processus, di evitare l’instaurarsi di procedure separate, con il rischio di decisioni contraddittorie.
7. Con il quarto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione degli artt. 103 e 105 c.p.c., sul rilievo che nel caso in esame non si tratterebbe di un’ipotesi di connessione impropria.
Secondo i ricorrenti, la domanda da loro proposta si porrebbe, rispetto alla domanda principale, in termini di connessione c.d. propria; per cui, data l’identità di petitum e di causa petendi, il richiamo compiuto dalla Corte di merito alla sentenza n. 10274 del 2009 delle Sezioni Unite “si configura errato ed evidentemente inconferente”. La connessione impropria, evocata erroneamente dalla sentenza in esame, è il rapporto esistente tra due o più cause la cui decisione dipende, totalmente o parzialmente, dalla risoluzione di identiche questioni, con parti, oggetti e titoli diversi. Nel caso in esame, invece, trattandosi di responsabilità di natura contrattuale, la liquidazione delle singole somme dovute agli attori ed agli intervenuti dipende soltanto dalla durata dei singoli corsi di specializzazione e non dalla so(uzione di problemi giuridici differenti; la durata dei singoli corsi costituisce, secondo i ricorrenti, un “elemento secondario e non è in grado di incidere sulla domanda differenziando le azioni proposte dagli attori rispetto alle azioni proposte dagli intervenuti”.
Il problema giuridico.
8. Osserva la Corte che i due ricorsi pongono, con diversità di accenti e di impostazione ma con sostanziale convergenza di argomenti, il medesimo problema; chiedono cioè di stabilire se sia corretta o meno la decisione di merito che, riconducendo nel caso in esame l’intervento dei medici oggi ricorrenti alla figura della c.d. connessione impropria, ne ha dichiarato l’inammissibilità, chiudendo in tal modo il giudizio con una pronuncia di mero rito. L’esame dei motivi di ricorso avverrà perciò congiuntamente, con le specificazioni che seguono.
8.1. Ragioni di economia processuale consigliano di esaminare i ricorsi cominciando dai motivi primo e secondo del ricorso del Dott. L. e dai motivi terzo e quarto del ricorso della dottoressa M. e degli altri medici.
Essi sono tutti fondati per le ragioni che si vanno ad esporre.
8.2. E’ opportuno prendere le mosse dalla sentenza n. 10274 del 2009 delle Sezioni Unite di questa Corte alla quale la Corte di merito si è richiamata per pervenire alla conclusione dell’inammissibilità dell’intervento.
Detta sentenza, come si è detto, ha stabilito il principio secondo cui il diritto che, ai sensi dell’art. 105, comma 1, cit., il terzo può far valere in un giudizio pendente tra altre parti deve essere relativo all’oggetto sostanziale dell’originaria controversia, da individuare in relazione al petitum e alla causa petendi, ovvero dipendente dal medesimo titolo dedotto nel processo a fondamento della domanda giudiziale originaria, rimanendo irrilevante la mera identità di alcune questioni di diritto la quale, configurando una connessione impropria, non consente l’intervento del terzo nel processo.
Con riguardo a questa pronuncia vanno chiariti innanzitutto due aspetti, l’uno formale e l’altro sostanziale.
Il primo è che la decisione di quel ricorso da parte delle Sezioni Unite non fu determinata dalla necessità di risolvere, ai sensi dell’art. 374 c.p.c., comma 2, un contrasto di giurisprudenza o una questione di massima di particolare importanza; il ricorso fu rimesso all’esame delle Sezioni Unite perchè uno dei motivi poneva una questione di giurisdizione, ai sensi dell’art. 374, comma 1, cit., che richiama l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1). Ne consegue che il pronunciamento delle Sezioni Unite sulla questione dell’intervento non è dotato della forza particolare e specifica che segue alla decisione di un contrasto o di una questione di particolare importanza, anche se, provenendo da detto consesso, non ne può essere svalutata l’efficacia persuasiva quanto ai principi affermati.
Il secondo elemento, di natura sostanziale, riguarda invece il contenuto della domanda proposta in quel giudizio nel quale, com’è noto, si discuteva di danni alla persona derivanti dal consumo di sigarette con l’utilizzo della dicitura light; nella causa, inizialmente proposta da un solo soggetto, vi fu poi l’intervento di un secondo soggetto che lamentava il medesimo tipo di danno, intervento che il giudice di merito aveva ammesso e che questa Corte, invece, considerò inammissibile in accoglimento del secondo motivo di ricorso. La sentenza n. 10274 ritenne che l’autonomia della domanda proposta dalla parte interveniente fosse dimostrata “dalla diversità delle circostanze storiche e materiali” sulle quali essa si fondava rispetto alla domanda dell’originario attore. Si trattava, quindi, di una causa di risarcimento danni da fatto illecito, il che consente di marcare una prima significativa differenza rispetto al caso odierno, avente ad oggetto una fattispecie di responsabilità contrattuale. Per giurisprudenza ormai consolidata, infatti, la responsabilità dello Stato italiano nei confronti dei medici specializzandi conseguente al mancato o ritardato adempimento delle note direttive Europee va inquadrata nella figura della responsabilità contrattuale, in quanto nascente non dal fatto illecito di cui all’art. 2043 c.c., bensì dall’inadempimento di un rapporto obbligatorio preesistente (così già le Sezioni Unite nella sentenza 17 aprile 2009, n. 9147, poi ulteriormente chiarita e completata dalla sentenza 17 maggio 2011, n. 10813, entrambe costantemente ribadite in seguito).
8.3. Tanto premesso, giova richiamare il contenuto delle norme del codice di rito che devono essere tenute presenti ai fini della risoluzione della questione in esame. Prima disposizione è quella dell’art. 33 c.p.c. (cumulo soggettivo), a norma del quale le cause “contro più persone che a norma degli artt. 18 e 19 dovrebbero essere proposte davanti a giudici diversi, se sono connesse per l’oggetto o per il titolo possono essere proposte davanti al giudice del luogo di residenza o domicilio di una di esse, per essere decise nello stesso processo”. Strettamente collegato con l’art. 33, è l’art. 103 c.p.c., che, regolando il litisconsorzio facoltativo, stabilisce che più parti possono agire o essere convenute nello stesso processo “quando tra le cause che si propongono esiste connessione per l’oggetto o per il titolo dal quale dipendono, oppure quando la decisione dipende, totalmente o parzialmente, dalla risoluzione di identiche questioni”. Segue l’art. 105 c.p.c., comma 1, il quale, disciplinando l’intervento volontario, prevede che ciascuno “può intervenire in un processo tra altre persone per far valere, in confronto di tutte le parti o di alcune di esse, un diritto relativo all’oggetto o dipendente dal titolo dedotto nel processo medesimo”. Leggendo queste norme in collegamento tra loro, emerge che gli artt. 33 e 103, utilizzano la medesima espressione di connessione “per l’oggetto o per il titolo”, mentre l’art. 105, comma 1, parla di “diritto relativo all’oggetto o dipendente dal titolo”. L’espressione usata da quest’ultima norma, peraltro, si riferisce ad entrambe le ipotesi che essa disciplina, cioè sia a quella in cui il diritto fatto valere dall’interveniente lo è contro tutte le parti del processo originario (c.d. intervento principale), sia a quella in cui lo è solo nei confronti di alcune di esse (c.d. intervento litisconsortile o, detto altrimenti, adesivo autonomo, per distinguerlo da quello identificato dell’art. 105, comma 2, cioè dal c.d. intervento adesivo dipendente). In entrambe le ipotesi il nesso con il processo originario, cioè la relazione giuridica con il diritto oggetto del processo originario in cui l’intervento avviene, è sempre quello della relatività al suo oggetto o della dipendenza dal titolo che in esso risulta dedotto.
La Corte d’appello, come si è detto, ha rilevato che nel caso in esame le domande avanzate dalle parti intervenienti avevano in comune con quelle degli attori soltanto “l’identità delle questioni giuridiche, ma non anche dell’oggetto e del titolo”, ed ha per questo dichiarato inammissibile l’intervento, trattandosi a suo dire di connessione impropria. Ha dunque escluso che il diritto fatto valere dai medici intervenienti fosse relativo all’oggetto o dipendente dal titolo introdotto nel processo originario ed invece, evocando il concetto della identità di questioni giuridiche, ha mostrato di intendere la relazione fra le domande dei medici originari attori e quelle dei medici intervenuti come riconducibile alla fattispecie di cumulo di domande che il Codice individua nell’ultima parte dell’art. 103, comma 1, come ipotesi di litisconsorzio facoltativo iniziale.
Ipotesi che la dottrina concorda essere estranea all’art. 105 c.p.c. e tale da non consentire l’intervento volontario.
8.4. Ritiene questo Collegio, al contrario, che il corretto inquadramento giuridico della fattispecie conduca ad una conclusione opposta.
Il caso odierno riguarda un’ipotesi di intervento da inquadrare nella figura dell’intervento litisconsortile o adesivo autonomo, perchè i terzi intervenuti hanno proposto una domanda nei confronti di una delle parti, assumendo una posizione del tutto compatibile con quella degli attori originari. Ciò che occorre chiarire è se si tratti di un intervento giustificato dalla ricorrenza di una relatività all’oggetto del processo originario oppure dalla ricorrenza di una dipendenza dal titolo in esso dedotto.
E’ pacifico che le domande proposte dai singoli medici oggi ricorrenti non abbiano identità di oggetto: una volta considerato che quello che l’art. 105, comma 1, cit. indica come “oggetto” (così come dell’art. 103, comma 1) si identifica col “bene della vita” di cui si chiede tutela con la domanda, si rileva che nella specie la domanda di condanna al risarcimento dei danni proposta dai medici intervenuti nel giudizio, rispetto a quelle proposte dai medici originari attori, riguarda per ciascuno di essi, come del resto per ciascuno degli originari attori, un “bene della vita” diverso: per ognuno dei medici originari attori e per ognuno dei medici intervenuti, detto bene è il proprio credito risarcitorio, la pretesa alla somma di danaro che, come tale, è diversa per ciascuno di loro, in quanto ad ognuno spettante in via esclusiva.
La diversità dell’oggetto, però, non toglie che il giudizio promosso da ciascuna dalle parti intervenienti si caratterizzi, rispetto a quello promosso dai medici attori originari, secondo una relazione di dipendenza dallo stesso titolo e ciò per la connessione derivante dalla parziale coincidenza della causa petendi, appunto del “titolo”, di ciascuna delle domande dei medici, attori originari e interventori.
In particolare, ognuna delle domande dei medici interventori dipende dal titolo già dedotto a fondamento di ciascuna delle domande dei medici originari attori con la causa principale. Infatti, la fattispecie costitutiva del diritto fatto valere sia dai medici originari attori sia dai medici interventori presenta un fatto costitutivo identico e comune, rappresentato dall’inadempimento dello Stato italiano alle note direttive Europee (n. 75/362, n. 75/363, n. 82/76 e n. 93/16 CEE), che ha determinato effetti lesivi generalizzati nei confronti dell’intera platea dei medici con riguardo ai quali quelle direttive avrebbero dovuto essere adempiute (illecito plurioffensivo, come risultante dalla citata sentenza delle Sezioni Unite e dalla successiva sentenza n. 10813 del 2011).
Ne consegue che, essendo quell’inadempimento immediatamente lesivo della posizione di ogni medico rimasto escluso dal regime del D.Lgs. n. 257 del 1991, tutti i medici, fra i quali gli odierni ricorrenti, senza necessità del verificarsi di altri fatti, divennero soggetti lesi da detto comportamento; per cui le domande avanzate da ciascuno di loro presentano il presupposto della dipendenza del diritto dallo stesso titolo, come richiesto dall’art. 105 c.p.c.; si è determinata, cioè, una situazione di connessione per dipendenza dal titolo.
Questa particolare connotazione fa sì che le domande singolarmente proposte da tutti i medici sarebbero state da inquadrare nella connessione per il titolo, ai sensi dell’art. 103 cit., se proposte congiuntamente fin dall’inizio; la realizzazione del cumulo attraverso lo strumento dell’intervento consente di inquadrarle nell’ambito della dipendenza dal medesimo titolo, ai sensi dell’art. 105, comma 1, più volte citato.
D’altra parte, quest’ultima disposizione non impone la identità del titolo, cioè che la fattispecie costitutiva del diritto sia identica, ma parla per quanto qui interessa – di diritto… dipendente dal titolo: l’identità del titolo di ciascun diritto è negata dallo stesso fatto che l’interventore fa valere un proprio diritto, cioè un diritto che risulta individuato rispetto a lui da specifici altri fatti, non comuni agli altri medici; e, dunque, proprio per questo la fattispecie costitutiva del suo diritto non coincide completamente con quella del diritto originariamente introdotto nel processo.
Calando questo rilievo nella fattispecie delle domande risarcitorie dei medici originari attori e dei medici intervenuti, la parte della fattispecie costitutiva del diritto fatto valere da ognuno, da cui ognuno di essi dipende, è il comportamento statale, che, come si è detto, è riferibile in via immediata nella sua efficacia lesiva, da quando si è verificato, a ciascuno dei medici. La concreta frequenza del corso di specializzazione da parte di ognuno dei medici con le caratteristiche che imponevano di beneficiare dell’adempimento statuale rappresenta certamente un fatto costitutivo ulteriore, riferibile solo a ciascun medico. Ma ciò non elide che per tutti i medici sussista la dipendenza del diritto fatto valere dal comportamento statuale che, come si è detto, è immediatamente plurioffensivo verso ognuno dei medici.
Così correttamente inquadrati i termini giuridici del problema, si vede che la soluzione oggi accolta non è in contrasto col principio affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza suindicata. In quell’occasione, infatti, non vi era alcuna parziale identità della causa petendi, ma solo identità di questioni; porre in vendita sigarette con la dicitura light – che poi si sono rivelate ugualmente dannose per la salute – rappresentava un fatto che accomunava la domanda dell’attore originario a quella del successivo interventore, ma la fattispecie generatrice del danno era diversa per ciascuno e si perfezionava solo con l’acquisto delle sigarette, ovviamente verificatosi in circostanze diverse.
Nella fattispecie decisa dalle Sezioni Unite il comportamento dello Stato, consistito nel mettere in vendita le sigarette con quella dicitura, non essendo identificati gli acquirenti, per non essersi ancora verificato l’acquisito, non appare un comportamento plurioffensivo, cioè lesivo delle posizioni di ciascun acquirente; perciò il fatto costitutivo della messa in vendita non rappresenta il “titolo” da cui dipende la pretesa risarcitoria di ognuno, ma solo un fatto storico che assume rilevanza quando ognuno dei consumatori acquista e che, dunque, diventa riferibile a ciascuno solo al momento dell’acquisto, mentre, quando viene tenuto, non è riferibile a ciascuno.
Poichè, alla luce di quanto detto, il comportamento dello Stato diventa offensivo per ognuno degli acquirenti solo al momento dell’acquisto, perchè la fattispecie costitutiva del diritto di ognuno si completa solo con l’acquisto, il comportamento di messa in vendita diventa offensivo solo in questo momento e, dunque, rileva come tale per ciascun acquisto ed individua il soggetto leso solo in dipendenza dello stesso. Le domande di ciascun acquirente giustificate dall’acquisito del singolo non possono risultare dipendenti dallo stesso “titolo”, ma ineriscono a rapporti giuridici distinti la cui disciplina suppone solo la risoluzione della identica questione rappresentata dall’apprezzamento giuridico della messa in vendita delle sigarette.
La fattispecie decisa dalle Sezioni Unite era riconducibile, dunque, alla figura del litisconsorzio facoltativo improprio.
8.5. Si impongono, infine, alcune ulteriori precisazioni.
Se è vero che ammettere la possibilità dell’intervento in cause come quella odierna risponde, tra l’altro, anche ad un obiettivo di concentrazione delle risorse in modo da evitare il moltiplicarsi dei processi ed il conseguente rischio di decisioni contraddittorie, è altrettanto vero che bisogna tenere presenti anche i rischi derivanti dalla gestione di cause con un numero esagerato di parti. Viene in aiuto in questo senso, però, la disposizione dell’art. 103 c.p.c., comma 2, a norma del quale il giudice può disporre la separazione delle cause “quando la continuazione della loro riunione ritarderebbe o renderebbe più gravoso il processo”. Se, infatti, il giudice dispone di un simile potere quando le domande sono state proposte cumulativamente fin dall’inizio, il medesimo potere deve ritenersi esistente anche in un’ipotesi come quella odierna nella quale il processo diventa cumulativo a seguito dell’esplicarsi dell’intervento, pur ammissibile. Piuttosto che pervenire alla conclusione raggiunta dalla Corte di merito nel giudizio odierno – che ha chiuso ogni margine all’intervento dei medici, con una pronuncia di mero rito che imporrebbe di ricominciare da capo l’intero giudizio – appare preferibile la soluzione di ammettere l’intervento e di riconoscere al giudice di merito la facoltà, in caso di bisogno, di disporre la separazione allo scopo di evitare cause congestionate dal numero eccessivo delle parti.
8.6. L’accoglimento dei motivi primo e secondo del ricorso del Dott. L. e dei motivi terzo e quarto del ricorso della dottoressa M. e degli altri medici esime questa Corte dall’esame dei motivi primo e secondo di quest’ultimo ricorso, che rimangono pertanto assorbiti. Quanto al terzo motivo del ricorso del Dott. L., trattandosi di questione che attiene al merito della domanda, la relativa decisione è di competenza del giudice di rinvio.
9. In conclusione, sono accolti i motivi primo e secondo del ricorso del Dott. L. ed i motivi terzo e quarto del ricorso della dottoressa M. e degli altri medici, con assorbimento dei motivi restanti (tranne il terzo del ricorso L., come appena detto).
La sentenza impugnata è cassata in relazione e il giudizio è rinviato alla medesima Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione personale, la quale deciderà il merito della causa in relazione alle posizioni degli odierni ricorrenti, il cui intervento è da ritenere ammissibile.
Al giudice di rinvio è demandato anche il compito di liquidare le spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie i motivi primo e secondo del ricorso del Dott. L. e i motivi terzo e quarto del ricorso della dottoressa M. e degli altri medici, assorbiti gli altri motivi nei limiti di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata in relazione e rinvia alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione personale, anche per le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, a seguito di riconvocazione, il 18 dicembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2020
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