LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ARMANO Uliana – Presidente –
Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 507-2018 proposto da:
QBE INSURANCE (EUROPE) LIMITED, in persona della Rappresentante Generale per l’Italia Dott.ssa R.M.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. PAISIELLO 40, presso lo studio dell’avvocato DAVID MORGANTI, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
M.G. elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI BATTISTADE ROSSI 32, presso lo studio dell’avvocato ANNA SISTOPAOLI che lo rappresenta e difende;
UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, in persona del procuratore pro tempore Dott. F.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA S.
COSTANZA 27, presso lo studio dell’avvocato LUCIA MARINI che la rappresenta e difende;
UNIVERSITA’ CATTOLICA DEL SACRO CUORE, in persona del Rettore e legale rappresentante pro tempore Prof. A.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. PAISIELLO 40, presso lo studio dell’avvocato DAVID MORGANTI, che la rappresenta e difende;
– controricorrenti-
contro
B.A., D.R., UNIPOLSAI ASS. SPA, ALLIANZ SPA;
– intimati –
Nonchè da:
B.A., D.R., entrambi in proprio e quali genitori esercenti la genitorialità su D.G., domiciliati ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dagli avvocati ROBERTO D’AMICO, FABRIZIO FILIPPUCCI;
– ricorrenti incidentali –
contro
UNIVERSITA’ CATTOLICA DEL SACRO CUORE in persona del Rettore e legale rappresentante pro tempore Prof. A.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. PAISIELLO 40, presso lo studio dell’avvocato DAVID MORGANTI, che la rappresenta e difende;
QBE INSURANCE (EUROPE) LIMITED in persona della Rappresentante Generale per l’Italia Dott.ssa R.M.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. PAISIELLO 40, presso lo studio dell’avvocato DAVID MORGANTI, che la rappresenta e difende;
M.G. elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI BATTISTADE ROSSI 32, presso lo studio dell’avvocato ANNA SISTOPAOLI che lo rappresenta e difende;
– controricorrenti all’incidentale –
e contro
M.G., UNIPOL ASSICURAZIONI SPA, ALLIANZ SPA;
– intimati –
avverso la sentenza n. 3279/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 18/05/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/01/2020 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI.
RILEVATO
che:
con sentenza resa in data 18/5/2017, la Corte d’appello di Roma, in accoglimento dell’appello proposto da D.R. e B.A., in proprio e nella qualità di genitori esercenti la responsabilità sulla figlia minore D.G., in parziale riforma della decisione di primo grado, tra le restanti statuizioni, ha condannato M.G. e l’Università Cattolica del Sacro Cuore, Policlinico Universitario “*****”, in solido tra loro, al risarcimento dei danni subiti dagli attori a seguito di un intervento chirurgico eseguito dal M. sulla persona di B.A. presso la struttura sanitaria dell’Università convenuta;
con la medesima sentenza, la corte territoriale ha condannato la QBE Insurance (Europe) Limited a tenere indenne l’Università Cattolica del Sacro Cuore dagli effetti della condanna pronunciata nei relativi confronti anche in relazione all’operato del dipendente M.G.;
a fondamento della decisione assunta, la corte d’appello ha evidenziato come, nonostante l’intervento chirurgico eseguito dal M. fosse stato condotto nel pieno rispetto delle leges artis, senza possibilità di riscontro di alcuna responsabilità delle parti convenute, detto intervento era stato, tuttavia, eseguito senza che fosse stato in precedenza correttamente acquisito il consenso informato della paziente, non avendo quest’ultima ricevuto tutte le necessarie informazioni in ordine alla natura dell’intervento praticato, alle complicanze prevedibili e non prevenibili e alle alternative terapeutiche concretamente praticabili;
conseguentemente, per effetto di tale inadempimento, i convenuti dovevano ritenersi responsabili dei corrispondenti danni subiti, tanto dalla B., quanto dal coniuge di questa e dalla loro figlia;
avverso la sentenza d’appello, la QBE Insurance (Europe) Limited propone ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi d’impugnazione, illustrati da successiva memoria;
B.A. e D.R., entrambi in proprio e nella qualità di genitori esercenti la responsabilità sulla figlia minore D.G., resistono con controricorso, proponendo, a loro volta, ricorso incidentale sulla base di due motivi d’impugnazione;
l’Università Cattolica del Sacro Cuore e M.G. hanno depositato due controricorsi ciascuno in relazione a entrambi i ricorsi proposti;
la UnipolSai Assicurazioni s.p.a. (già chiamata in giudizio a fini di manleva) ha depositato controricorso in relazione al ricorso proposto in via principale;
la QBE Insurance (Europe) Limited ha depositato controricorso in relazione al ricorso incidentale;
nessun altro intimato ha svolto difese in questa sede;
con atto in data 20/12/2019 la Reliance National Insurance Company (Europe) Limited ha dichiarato di spiegare intervento nel giudizio per l’avvenuta successione a titolo particolare della QBE Insurance (Europe) Limited, invocando l’estromissione di quest’ultima;
l’Università Cattolica del Sacro Cuore ha depositato comparsa di costituzione di nuovo difensore.
CONSIDERATO
di dover preliminarmente dichiarare l’inammissibilità dell’intervento spiegato dalla Reliance National Insurance Company (Europe) Limited;
al riguardo, rileva il Collegio come, al caso di specie, trovi applicazione il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte (qui integralmente condiviso e ribadito al fine di assicurarne continuità), ai sensi del quale nel giudizio di cassazione, mancando un’espressa previsione normativa che consenta al terzo di prendervi parte con facoltà di esplicare difese, è inammissibile l’intervento di soggetti che non abbiano partecipato alle pregresse fasi di merito, fatta eccezione per il successore a titolo particolare nel diritto controverso, al quale tale facoltà deve essere riconosciuta ove non vi sia stata precedente costituzione del dante causa (Sez. 3, Ordinanza n. 25423 del 10/10/2019, Rv. 655272 – 01);
nella specie, essendosi costituita nel presente giudizio la QBE Insurance (Europe) Limited (che ha financo depositato memoria ex art. 380-bis c.p.c.), l’intervento della Reliance National Insurance Company (Europe) Limited deve ritenersi irrimediabilmente inammissibile;
considerato, inoltre, che:
con il primo motivo, la società ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso esame di un fatto decisivo controverso (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto inadeguate le informazioni fornite alla paziente in previsione dell’intervento chirurgico programmato, trascurando di procedere all’esame dell’effettivo contenuto del consenso informato prestato dalla B., così come risultante dalla dichiarazione formale di consenso acquisita agli atti del giudizio, nonchè da tutte le circostanze pacifiche o comunque giudizialmente accertate in via definitiva;
con il secondo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso esame di un fatto decisivo controverso (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto insufficiente l’insieme delle informazioni fornite alla paziente in previsione dell’intervento chirurgico, trascurando di considerare che la stessa B. ebbe ad ammettere l’avvenuta prospettazione, nei relativi riguardi, di due trattamenti possibili della propria patologia, con l’espressa indicazione dell’intervento più opportuno (quello effettivamente eseguito), senza considerare l’avvenuto accertamento della circostanza per cui la paziente aveva comunque valutato concretamente la scelta terapeutica alternativa non praticata;
entrambi i motivi – congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione – sono inammissibili;
al riguardo, osserva il Collegio come la corte territoriale abbia espressamente riportato, in motivazione (pp. 15-16), l’integrale contenuto del modulo contenente l’espressione del consenso informato della paziente (da quest’ultima debitamente sottoscritto), giungendo, ad esito di una puntuale ed accurata interpretazione di detta documentazione (unitamente alla considerazione delle restanti evidenze istruttorie acquisite nel corso del giudizio), alla conclusione della sostanziale incompletezza delle informazioni complessivamente trasmesse alla B., e della relativa specifica inidoneità a porre la paziente nell’effettiva condizione di apprendere con compiutezza la peculiare natura dell’intervento che sarebbe stato eseguito, i rischi e le complicanze che si sarebbero potuti correre, anche in rapporto ai benefici comunque conseguibili, sottolineando altresì come la struttura sanitaria trascurò irragionevolmente di lasciare alla paziente un lasso temporale adeguato a maturare e raggiungere una consapevole scelta (cfr. pp. 18-21);
a fronte di tali premesse, varrà rilevare come, attraverso i motivi di doglianza in esame, l’odierna società ricorrente abbia integralmente trascurato di articolare, in termini adeguati, le ragioni della sicura decisività delle ulteriori circostanze di fatto genericamente dedotte in ricorso, omettendo di sottolineare in quale modo, alla luce delle argomentazioni fatte proprie dalla corte d’appello, l’eventuale considerazione delle circostanze pretesamente omesse (peraltro, in larga misura estranee al tema dell’informazione immediata della paziente in diretta connessione all’intervento) avrebbe certamente condotto a una diversa valutazione circa l’effettiva adeguatezza delle informazioni trasmesse alla paziente ai fini del consenso all’intervento, con la conseguente risoluzione degli odierni motivi di censura nella sostanziale rivendicazione di un riesame nel merito dei fatti di causa, come tale inammissibile in sede di legittimità;
con il terzo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso esame di un fatto decisivo controverso (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la corte territoriale erroneamente assunto, a base di calcolo del danno risarcibile per la presunta lesione del diritto all’autodeterminazione della paziente, non già l’eventuale aggravamento delle condizioni a seguito dell’intervento oggetto di giudizio, ma l’invalidità complessiva della B., nonchè l’intero danno patrimoniale derivante dalla perdita della relativa capacità lavorativa, senza tenere in alcuna considerazione le pregresse condizioni patologiche della paziente;
con il quarto motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 1223 e 1226 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente riconosciuto, in favore della paziente, un importo a titolo di personalizzazione del presunto danno derivante dalla lesione del diritto all’autodeterminazione, in misura addirittura superiore all’importo base di tale danno;
il terzo e il quarto motivo sono fondati nei termini che seguono;
sul punto, rileva il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, in materia di responsabilità sanitaria, l’inadempimento all’obbligo di acquisire il consenso informato del paziente assume diversa rilevanza causale, a seconda che sia dedotta la violazione del diritto all’autodeterminazione o la lesione del diritto alla salute, posto che, se nel primo caso l’omessa o insufficiente informazione preventiva evidenzia ex se una relazione causale diretta con la compromissione dell’interesse all’autonoma valutazione dei rischi e dei benefici del trattamento sanitario, nel secondo l’incidenza eziologica del deficit informativo sul risultato pregiudizievole dell’atto terapeutico correttamente eseguito dipende dall’opzione che il paziente avrebbe esercitato se fosse stato adeguatamente informato, ed è configurabile soltanto in caso di presunto dissenso; con la conseguenza che l’allegazione dei fatti dimostrativi di tale eventuale scelta costituisce parte integrante dell’onere della prova (che, in applicazione del criterio generale di cui all’art. 2697 c.c., grava sul danneggiato) del nesso eziologico tra inadempimento ed evento dannoso (Sez. 3, Ordinanza n. 19199 del 19/07/2018 (Rv. 649949 – 01);
con particolare riguardo alla determinazione dell’importo liquidabile a titolo risarcitorio per l’inadempimento all’obbligo di acquisire il consenso informato del paziente, fermo il riconoscimento del danno dovuto alla lesione del diritto all’autodeterminazione terapeutica (necessariamente liquidabile in via equitativa), ove l’atto terapeutico, necessario e correttamente eseguito secundum legem artis, non sia stato preceduto dalla preventiva informazione esplicita del paziente circa i suoi possibili effetti pregiudizievoli non imprevedibili, può essere riconosciuto (anche) il risarcimento del danno alla salute per la verificazione di tali conseguenze, ma solo ove sia allegato e provato, da parte del paziente, anche in via presuntiva, che, se correttamente informato, avrebbe rifiutato di sottoporsi a detto intervento, ovvero avrebbe vissuto il periodo successivo ad esso con migliore e più serena predisposizione ad accettarne le eventuali conseguenze (e sofferenze) (Sez. 3, Ordinanza n. 2369 del 31/01/2018, Rv. 647593 – 01);
ciò posto, converrà preliminarmente considerare che, nel caso di specie, il giudice a quo ha espressamente affermato come la B. avesse unicamente maturato i presupposti per il riconoscimento, in proprio favore, del diritto al risarcimento del (solo) danno non patrimoniale per la lesione della libertà di autodeterminazione terapeutica (vedi p. 25); e tanto, al netto dell’erronea affermazione (rimasta, peraltro, sostanzialmente irrilevante nell’economia complessiva del discorso motivazionale, stante l’assenza, in ogni caso, di alcuna adeguata dimostrazione, da parte della B., dell’eventuale sicuro dissenso all’intervento, in caso di corretta informazione preventiva) dell’incombenza, in capo ai convenuti (danneggianti), dell’onere (nella specie non assolto) di provare che la paziente si sarebbe comunque sottoposta all’intervento presso il Policlinico *****, senza valutare la possibilità di rivolgersi ad altre strutture pur se utilmente informata delle ipotizzabili conseguenze (cfr. pag. 22);
ferme tali premesse, una volta limitata la fondatezza della pretesa risarcitoria della paziente alle sole conseguenze dannose derivate dalla lesione della libertà di autodeterminazione terapeutica (e non anche le conseguenze derivate dal danno alla salute), la corte territoriale ha ritenuto di ancorare la liquidazione equitativa del danno riconosciuto utilizzando, quale parametro oggettivo di riferimento, gli importi che la paziente avrebbe avuto diritto a conseguire ove fosse stato liquidabile, in suo favore, un risarcimento per le conseguenze dannose subite a carico della salute (cfr. pag. 25), ritenendo tuttavia di correggere l’entità di detti importi-parametro con una riduzione al 20%, giustificata proprio in ragione della differenza che intercorre tra il danno alla salute e il danno derivante dalla (sola) violazione del diritto all’autodeterminazione sanitaria (pag. 28);
nella successiva specifica determinazione delle poste risarcitorie, la corte territoriale ha inoltre dichiarato di voler (dover) considerare la preesistente patologia sofferta dalla B., ai fini della determinazione del (l’ipotetico) danno alla salute dalla stessa concretamente subito, attraverso l’ulteriore riduzione al 20% del danno biologico e del danno patrimoniale permanente accertato a carico della paziente (v. pag. 30), senza peraltro toccare quella che la corte d’appello ha definito la “personalizzazione” del danno non patrimoniale che, secondo quanto espressamente indicato nella stessa motivazione (v. pag. 30), vale a corrispondere al danno morale soggettivo, ossia al pregiudizio patito dalla B. sul piano della sofferenza interiore soggettivamente determinata dalla lesione del proprio diritto ad autodeterminarsi liberamente nelle scelte relative al proprio corpo;
al riguardo, è incidentalmente appena il caso di rilevare come, secondo l’insegnamento della giurisprudenza di questa Corte (diversamente da quanto operato dal giudice a quo nel caso si specie) la liquidazione del c.d. danno differenziale (ossia l’effettivo e concreto danno alla salute subito da chi fosse già stato affetto, al momento dell’illecito, da una preesistenza invalidante) va operata stimando, prima, in punti percentuali, l’invalidità complessiva (risultante cioè dalla menomazione preesistente sommata a quella causata dall’illecito) e, poi, quella preesistente all’illecito, convertendo entrambe le percentuali in una somma di denaro, con la precisazione che in tutti quei casi in cui le patologie pregresse non impedivano al danneggiato di condurre una vita normale, lo stato di validità anteriore al sinistro dovrà essere considerato pari al cento per cento; procedendo infine a sottrarre dal valore monetario dell’invalidità complessivamente accertata quello corrispondente al grado di invalidità preesistente, fermo restando l’esercizio del potere discrezionale del giudice di liquidare il danno in via equitativa secondo la c.d. equità giudiziale correttiva od integrativa, ove lo impongano le circostanze del caso concreto (v., da ultimo, Sez. 3, Sentenza n. 28986 del 11/11/2019, Rv. 656174 – 02);
rispetto a tale rilievo, tuttavia, la società ricorrente ha del tutto trascurato di sviluppare con precisione il calcolo regolato sul criterio corretto, in tal modo impedendo alla corte di legittimità la verifica dell’effettiva eventuale maggiore entità dell’importo stabilito dalla corte territoriale e il concreto interesse della stessa società ricorrente a dolersi dei calcoli operati dal giudice a quo sul punto in esame;
in ogni caso, dopo aver applicato la riduzione al 20% del danno biologico, giustificata dalla necessità di tener conto delle patologie preesistenti della B. (calcolando il 20% dell’importo totale di Euro 976.996,00 quale danno biologico al 100%), nonchè la riduzione al 20% del danno patrimoniale (sempre allo scopo di tener conto delle preesistenti patologie del paziente), la corte territoriale ha poi omesso di praticare l’ulteriore programmata riduzione al 20% quale abbattimento già ritenuto necessario al fine di valorizzare la differenza tra il danno alla salute (considerato non risarcibile) e il danno al diritto all’autodeterminazione terapeutica (viceversa ritenuto risarcibile), finendo così per assorbire il secondo abbattimento del 20% (motivato dalla necessità di tener conto della ridetta differenza tra danno alla salute e danno all’autodeterminazione) nel primo abbattimento (viceversa imposto dalla necessità di tener conto delle preesistenti patologie della paziente), con la conseguenza che l’importo definitivo liquidato a titolo di risarcimento del danno da lesione del diritto all’autodeterminazione terapeutica ha finito col coincidere (almeno parzialmente) con l’importo totale astrattamente dovuto a titolo di danno biologico e a titolo di danno patrimoniale, ossia con l’importo che sarebbe spettato alla danneggiata a titolo di lesione del diritto alla salute;
ciò premesso, rilevata la fondatezza, nei termini indicati, delle censure in esame, dev’essere disposta la corrispondente cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Roma affinchè la stessa provveda a una corretta rideterminazione del danno effettivamente derivato, a carico della B., a seguito della lesione del proprio diritto ad autodeterminarsi liberamente nelle scelte relative al proprio corpo;
con il quinto motivo, la società ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 1223 e 1226 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente liquidato, in favore dei congiunti della B., un importo a titolo di danno non patrimoniale per lo sconvolgimento dell’assetto familiare derivante dalle condizioni della paziente, nonostante tali condizioni non fossero imputabili ai sanitari, essendo stato liquidato, in favore della paziente, il solo danno derivante dalla lesione del proprio diritto all’autodeterminazione;
il motivo è fondato;
osserva il Collegio come la considerazione del danno alla compromissione dei rapporti parentali (nelle forme dello sconvolgimento dell’assetto familiare) conseguente alla lesione dell’integrità psicofisica (così come al decesso) di uno dei componenti la comunità affettiva, in tanto assume una sua giuridica consistenza, sul piano risarcitorio, in quanto il comportamento dei responsabili dell’omessa (o carente) informazione sanitaria sia causalmente connesso alla lesione della salute del familiare; ossia nel solo caso in cui il danneggiato (o i danneggiati) abbiano ritualmente provveduto alla dimostrazione che la paziente, ove correttamente informata, si sarebbe sottratta all’intervento;
nella specie, non avendo i danneggiati provveduto a fornire la provata di tale ultima circostanza (essendo rimasta comprovata la sola lesione del diritto all’autodeterminazione sanitaria della B.), dev’essere segnalato l’errore della sentenza impugnata nella parte in cui ha riconosciuto il diritto dei familiari della paziente al risarcimento dei danni pretesamente subiti per effetto della lesione all’integrità dei propri rapporti parentali;
con il primo motivo del ricorso incidentale, B.A. e D.R., entrambi in proprio e nella qualità spiegata, censurano la sentenza impugnata per violazione degli artt. 1218 e 2697 c.c., nonchè dell’art. 116 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente utilizzato, quale fonte oggettiva di prova dell’accertamento negativo della responsabilità medico-sanitaria in ordine alla correttezza della diagnosi, della terapia e del gesto operatorio eseguito sulla persona della B., una consulenza tecnica d’ufficio illogica, incongruente e non dirimente ai fini della lite, attesa l’irriducibile incompletezza degli elementi documentali indispensabili ai fini della corretta identificazione (e dunque dell’esclusione) dell’inadempimento contrattuale della struttura sanitaria in relazione all’esecuzione dei propri obblighi;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come la corte territoriale abbia avuto cura di sottolineare in modo espresso e specifico la totale irrilevanza delle lacune documentali in questa sede denunciate dai ricorrenti incidentali (lacune, peraltro, apertamente considerate e riconosciute dagli stessi consulenti tecnici d’appello), evidenziando come dette lacune non avessero spiegato alcuna concreta o rilevabile incidenza determinante sulla possibilità di esprimere una compiuta valutazione circa la correttezza della diagnosi, della terapia e del gesto operatorio eseguito sulla persona della B. (v. pag. 11);
ciò posto, la censura qui considerata si risolve nella conseguente rivendicazione di una rilettura nel merito dei fatti di causa (complessivamente esaminati e valutati nella sentenza impugnata) come tale irriducibilmente inammissibile in questa sede di legittimità;
con il secondo motivo, i ricorrenti incidentali censurano la sentenza impugnata per violazione degli artt. 1218,1226, 2056 e 2697 c.c., nonchè dell’art. 115 c.p.c., per avere la corte territoriale illegittimamente, immotivatamente e arbitrariamente ridotto alla misura del 20% sul totale calcolato, il danno patrimoniale e non patrimoniale complessivamente subito (anche di riflesso) dagli originari attori, sull’erroneo presupposto delle pregresse gravi condizioni di invalidità della B.;
il motivo, nella misura in cui invita a considerare criticamente la motivazione dettata dal giudice a quo a fondamento della liquidazione dei danni effettivamente subiti dagli attori, deve ritenersi integralmente assorbito dal disposto, pregresso accoglimento del terzo, del quarto e del quinto motivo del ricorso principale;
sulla base delle considerazioni che precedono, rilevata la fondatezza del terzo, del quarto e del quinto motivo del ricorso principale (e l’inammissibilità del primo e del secondo motivo), nonchè l’inammissibilità del primo motivo del ricorso incidentale (assorbito il secondo), in accoglimento del terzo, del quarto e del quinto motivo del ricorso principale, dev’essere disposta la cassazione della sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, con il conseguente rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
PQM
Accoglie il terzo, il quarto e il quinto motivo del ricorso principale; dichiara inammissibile il primo e il secondo motivo del medesimo ricorso; dichiara inammissibile il primo motivo del ricorso incidentale; dichiara assorbito il secondo motivo del ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 gennaio 2020.
Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2020