Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.11263 del 11/06/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4360/2015 proposto da:

F. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore, domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato Falzone Salvatore giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Comune di Librizzi, in persona del sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in *****, presso lo studio dell’avvocato Francesco Pettini, rappresentato e difeso dall’avvocato Walter Mangano, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 465/2014 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 17/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/01/2020 dal Cons. Dott. Laura Scalia

FATTI DI CAUSA

1. La società F. a r.l. ricorre in cassazione avverso la sentenza con cui la Corte di appello di Messina, pronunciando sull’impugnazione proposta dal Comune di Librizzi contro la medesima società ed avverso la sentenza del Tribunale di Patti dell’11.10.2010, in accoglimento dell’appello ed in riforma della sentenza impugnata, ha rigettato la domanda con cui la prima chiedeva accertarsi l’inopponibilità ad essa società della dichiarazione di terzo effettuata dal Comune di Librizzi ai creditori della ditta individuale F.N. e, in esito, del pagamento effettuato in sede esecutiva ai creditori della ditta individuale.

2. Il Tribunale di Patti aveva accolto la domanda della società a r.l. ritenendo alla stessa non opponibili i pagamenti effettuati dal Comune verso i terzi creditori della cedente ditta individuale di F.N. e tanto nella premessa che la cessione alla F. S.r.l. – conferitaria del ramo di azienda della ditta individuale che aveva maturato il credito nei confronti dell’Amministrazione territoriale in quanto appaltatrice delle opere di realizzazione di un mercato ittico – era intervenuta per atto anteriore alla dichiarazione del terzo, resa dal Comune ai creditori della F.N. e, ancora, delle ordinanze di assegnazione adottate in sede esecutiva.

Il Comune aveva peraltro iniziato a pagare gli stati di avanzamento in favore della Falzea S.r.l. dopo la comunicazione della cessione.

3. In totale riforma della sentenza di primo grado, la Corte di appello di Messina riteneva l’inefficacia della cessione di crediti intervenuta tra la ditta individuale e l’appellata F. S.r.l. in ragione della normativa speciale da valere nelle ipotesi di cessione di crediti in cui una delle parti sia una pubblica Amministrazione.

Nella specie erano stati violati il R.D. n. 2440 del 1923, artt. 69 e 70 e la L. n. 2248 del 1865, art. 9, all. E) che sanciscono il divieto di cessione là dove non intervenga l’adesione della p.A., rispetto a crediti relativi a contratti ancora in corso al momento della cessione, qual doveva intendersi quello di specie rispetto al quale non era intervenuta l’approvazione del collaudo.

4. La ricorrente articola un unico motivo, illustrato da memoria tardivamente depositata, cui resiste il Comune di Librizzi con controricorso, accompagnato da tempestiva memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con unico articolato motivo la ricorrente fa valere la violazione e l’errata applicazione del R.D. n. 2440 del 1923, artt. 69 e 70 e della L. n. 2248 del 1865, art. 9, All. E) nonchè la carenza di motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Il credito in questione sarebbe stato opponibile al Comune perchè la cessione era intervenuta per atto pubblico e perchè il Comune vi aveva aderito come comprovato dalle condotte concludenti, integrate dai pagamenti parziali e dalla sottoscrizione dello stato finale dei lavori, tenute dall’Amministrazione debitrice nei confronti della F. S.r.l. non appena avuto notizia della cessione.

La cessione del credito sarebbe stata documentata da un atto pubblico come previsto dal R.D. n. 2240 del 1923, art. 69 comunicata con nota prot. del 18.01.2002 al Comune ed accettata come previsto dall’art. 70, comma 3 R.D. cit. da parte dell’ente che aveva quindi liquidato parte del credito ceduto, redigendo altresì lo stato finale dei lavori.

Nel sistema delineato dall’art. 1264 c.c., la notifica è finalizzata a far conoscere al debitore-ceduto la mutata titolarità del credito ed a determinare in capo al primo l’obbligo, correlato dalla legge all’accettazione, di pagare il cessionario. La notifica avrebbe posto l’Amministrazione comunale a conoscenza della cessione per potersi opporre, evenienza che non si era verificata.

Il contratto, prescindendosi dalle valutazioni sul punto rese dalla disposta perizia di stima allegata all’atto di cessione, avrebbe esaurito i suoi effetti.

Poichè i lavori erano stati ultimati nell’ottobre 2001 e la cessione era intervenuta il 6 dicembre 2001, l’accettazione del Comune non sarebbe stata necessaria e si sarebbe applicata la disciplina generale ex art. 69 R.D. cit. ed art. 1264 c.c.

2. Il motivo si presta ad una valutazione di inammissibilità per plurimi profili.

2.1. In tema di ricorso per cassazione per violazione o falsa applicazione di norme di diritto (sostanziali o processuali), il principio di specificità dei motivi, di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere letto in correlazione al disposto dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1, essendo dunque inammissibile, per difetto di specificità, il motivo di ricorso che, nel denunciare la violazione di norme di diritto, ometta di raffrontare la “ratio decidendi” della sentenza impugnata con la giurisprudenza della S.C. e, ove la prima risulti conforme alla seconda, ometta di fornire argomenti per mutare orientamento (tra le altre: Cass. 02/03/2018 n. 5001).

Muovendo dall’indicato principio e scrutinando per l’effetto la fattispecie in esame, le valutazioni sono le seguenti.

2.2. Il principio che governa la materia della cessione dei crediti là dove una delle parti sia una pubblica Amministrazione ha trovato corretta applicazione nell’impugnata sentenza.

Segnatamente, il principio della generale cedibilità dei crediti, anche senza il consenso del creditore, sancito dall’art. 1260 c.c., viene derogato dalla L. n. 2248 del 1865, all. E) che all’art. 9 prevede che nei rapporti di durata come l’appalto – in relazione a fattispecie sottratte ratione temporis alla disciplina introdotta dalla L. n. 109 del 1994 – non è consentita “sul prezzo dei contratti in corso” alcuna cessione se non vi aderisca l’Amministrazione.

Tale disciplina deve essere necessariamente coordinata con quella dettata dal R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, art. 70, comma 5, che richiede l’adesione dell’amministrazione debitrice al contratto di cessione del credito.

Siffatta deroga però, essendo intesa ad evitare che durante l’esecuzione del contratto possano venire a mancare i mezzi finanziari al soggetto obbligato alla prestazione a favore della Pubblica Amministrazione, cessa alla conclusione del rapporto contrattuale.

Sulla indicata premessa in diritto, si rileva ancora.

La Corte di appello ha sorretto l’adottata decisione attraverso due rationes decidendi:

a) con la prima ha valorizzato la non idoneità di condotte concludenti ad integrare l’adesione della P.A. alla cessione, richiamando sul punto la più generale giurisprudenza sul rispetto delle forme in materia di manifestazione della volontà della pubblica Amministrazione;

b) con la seconda ha sottolineato che il contratto di appalto era ancora in corso al momento della cessione dei crediti conclusa per atto pubblico del 6 dicembre 2001 per non essere ancora intervenuto, all’epoca, l’approvazione del collaudo delle opere, strumento legale con il quale le conclusioni dell’appaltatore vengono accettate dalla Amministrazione che assume l’obbligo di liquidare il corrispettivo sulla base dell’importo determinato in quella sede, sicchè, come ritenuto da consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità, solo in tale ipotesi può ritenersi esaurito il rapporto contrattuale e superata la ragione della deroga (Cass. 08/05/2008 n. 11475, p. 10; Cass. 05/10/2000 n. 13261).

2.3. Quanto alla prima ragione di decisione, il ricorrente contesta che la manifestazione di volontà dell’ente territoriale possa avvenire anche attraverso comportamenti concludenti senza offrire però ragioni per rivedere, con le corrette contrarie conclusioni raggiunte dalla Corte territoriale, anche gli orientamenti di questa Corte di legittimità in punto di manifestazione della volontà della p.A. ivi richiamati (ex multis, vd: Cass. 26/03/2009 n. 7297; Cass. 22/03/2010 n. 6827; Cass. 30/05/2013 n. 13656).

2.4. Quanto alla seconda ragione di decisione, vero è che per i crediti derivanti da contratto di appalto di lavori pubblici stipulato nel vigore della L. n. 109 del 1994, qual è quello di specie, restano valide le norme speciali che regolavano, in precedenza, la cessione dei crediti nei confronti della p.A. (L. n. 2248 del 1865, art. 9, all. E), artt. 351 e 355, all. F) e R.D. n. 2440 del 1923, artt. 69 e 70) (Cass. 24/09/2007 n. 19571; sulla generale portata del principio, anche: Cass. 28/01/2002 n. 981).

Ciò posto, il ricorrente facendo valere l’evidenza che al momento della cessione, intervenuta il 6 dicembre 2001, i lavori non erano in corso per essersi essi conclusi il 10 ottobre 2001 senza nulla argomentare in punto di adozione, a quella data, del collaudo delle opere e senza neppure contraddire alla sopra indicata affermazione di principio per sostenere una diversa ed alternativa definizione del giudizio sul punto, incorre in una aspecificità del motivo.

2.5. Il ricorrente, che in tal modo segnala una ulteriore ragione di inammissibilità del proposto mezzo, manca inoltre dell’osservanza dell’onere di allegazione (Cass. SU 22/09/2014 n. 19881) là dove deduce l’intervenuto esaurimento del rapporto di appalto all’epoca della cessione senza che farsi carico di indicare i documenti che, di contro alla perizia allegata all’atto di cessione dei crediti del 6 ottobre 2001 e già apprezzata nel giudizio di merito, attesterebbero il contrario.

Il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Ciò posto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Su siffatta premessa la parte ricorrente è chiamata ad indicare nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso (Cass. SU n. 19881 cit.).

Il ricorrente deduce la conclusione dei lavori alla data della cessione del credito per atto notarile del 6 dicembre 2001 senza però indicare quali documenti sosterrebbe un siffatto assunto in tal modo incorrendo nella inammissibilità del motivo per difetto di allegazione del fatto storico decisivo, 3. Il ricorso va in via conclusiva dichiarato inammissibile, segue la condanna, secondo soccombenza, della ricorrente a rifondere al Comune di Librizzi le spese di lite come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna la ricorrente a rifondere al Comune di Librizzi le spese di lite che liquida in Euro 7,200 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% forfettario sul compenso ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 29 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2020

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