Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.11268 del 12/06/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 14937/2016 R.G. proposto da:

S.M. e S.G.P.M., rappresentati e difesi dagli Avv.ti Gianfranco Di Mattia e Cesare Giuseppe Baldi, con domicilio eletto in Roma, via L. Mantegazza, n. 24, presso lo studio dell’Avv. Marco Gardin;

– ricorrenti –

contro

Sc.Mi., Sc.Fr. e M.A., rappresentati e difesi dagli Avv.ti Cesare Capotorto, Massimo Carella e Pasquale Caso, con domicilio eletto in Roma, via di Pietralata, n. 320, presso lo studio dell’Avv. Gigliola Mazza Ricci;

– controricorrente –

Società per la Gestione di Attività – S.G.A. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Paolo Pepe, domiciliato, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 2, presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– controricorrente –

Italfondiario s.p.a., quale procuratrice della Castello Finance s.r.l. e della Intesa Sanpaolo s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Ettore di Biase e Benedetto Gargani, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, viale di Villa Grazioli, n. 15;

– controricorrente –

Nettuno Gestione Crediti s.p.a., in liquidazione, in persona del liquidatore pro tempore;

– intimata –

A.F.;

– intimato –

Allianz s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimata –

DoBank s.p.a., già Unicredit Credit Management Bank s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimata –

Equitalia Sud s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimata –

Ma.Al.;

– intimata –

S.S. e S.S.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 779 del Tribunale di Foggia depositata l’11 marzo 2016.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 1 ottobre 2019 dal Consigliere Dott. Cosimo D’Arrigo;

udito l’Avv. Roberto Catalano in sostituzione dell’Avv. Benedetto Gargani;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SOLDI Anna Maria, che ha concluso chiedendo che sia dichiarata l’inammissibilità del ricorso per violazione dell’art.

366 c.p.c., comma 1, n. 3; in subordine, l’inammissibilità del ricorso in relazione alle ragioni dell’opposizione qualificate nella sentenza impugnata come proposte ai sensi dell’art. 615 c.p.c. e il rigetto per il resto.

FATTI DI CAUSA

La Nettuno Gestione Crediti s.p.a., in qualità di mandataria della Mutina s.r.l., cessionaria del credito vantato dalla Banca del Monte di Foggia nei confronti di S.M. e G.P.M., agiva esecutivamente nei confronti dei debitori ceduti, sottoponendo a pignoramento diversi terreni di loro proprietà.

Nella procedura esecutiva spiegavano intervento altri creditori.

Dopo alcuni esperimenti di vendita andati deserti, i beni erano aggiudicati a Sc.Fr. e Sc.Mi., a cui favore veniva emesso il decreto di trasferimento in data 4 luglio 2013.

In data 22 luglio 2013 gli S. proponevano opposizione ai sensi dell’art. 617 c.p.c., domandando la sospensione dell’esecuzione e deducendo, per quanto qui ancora rileva, che la vendita doveva considerarsi nulla perchè:

– nell’avviso di vendita non si faceva menzione della presenza di vigneti (accertati dal perito stimatore) su talune delle particelle vendute come terreno seminativo;

– aveva ad oggetto anche un bene demaniale, giacchè una delle particelle era stata oggetto di espropriazione per pubblica utilità;

– uno dei due lotti era stato aggiudicato due volte, mentre l’altro, non menzionato nel decreto di trasferimento, era rimasto ancora sottoposto a pignoramento.

Aggiungevano, inoltre, gli opponenti che i decreti di trasferimento dovevano considerarsi nulli perchè non completi delle indicazioni necessarie per legge.

Il giudice dell’esecuzione rigettava l’istanza di sospensione dell’esecuzione e assegnava un termine per l’introduzione del giudizio di merito. Introdotto il giudizio, il Tribunale di Foggia rigettava l’opposizione con sentenza avverso la quale gli esecutati hanno proposto ricorso straordinario per cassazione – ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7 – articolando otto motivi di ricorso.

Hanno resistito, con distinti controricorsi, la Società per la Gestione di Attività – S.G.A. s.p.a. e la Italfondiario s.p.a., quale procuratrice della Castello Finance s.r.l. e della Intesa Sanpaolo s.p.a..

Hanno resistito con controricorso congiuntamente anche Sc.Fr., Sc.Mi. e M.A.. Quest’ultima ha illustrato di essere stata convenuta in primo grado sul presupposto che fosse comproprietaria del bene, in quanto moglie in regime di comunione legale di Sc.Fr., nonostante l’acquisto del fondo dovesse ritenersi invece escluso dalla comunione legale; ha quindi dedotto che il Tribunale di Foggia nulla ha statuito circa la sua posizione e che, per tale ragione, avrebbe potuto proporre ricorso incidentale condizionato, essendosi però astenuta per ragioni di economia processuale.

Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Impregiudicata la questione della procedibilità del ricorso per omessa autenticazione della notificazione della sentenza a mezzo PEC, va rilevata preliminarmente – avendo carattere assorbente e maggiore “liquidità” (Sez. U., Sentenza n. 9936 del 08/05/2014, Rv. 630490) – l’inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il ricorso, infatti, non soddisfa il requisito di un’esposizione dei fatti, che – ancorchè sommaria – garantisca comunque alla Corte di cassazione di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Sez. U., Sentenza n. 11653 del 18/05/2006, Rv. 588770-01; Sez. 6-3, Sentenza n. 16103 del 02/08/2016, Rv. 641493-01).

La prescrizione del requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, non risponde ad un’esigenza di mero formalismo, ma è funzionale alla chiara e completa conoscenza dei fatti di causa, sostanziali e/o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Sez. U, Sentenza n. 2602 del 20/02/2003, Rv. 560622-01). Stante tale funzione, per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, è necessario che il ricorso per cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed in fine del tenore della sentenza impugnata.

Nel caso di specie il ricorso, pur contenendo l’illustrazione di molti dettagli (alcuni dei quali non necessari), non indica con chiarezza quali fossero le parti processo esecutivo. I ricorrenti si limitano ad affermare che la procedura è proseguita “per impulso dei creditori intervenuti”, senza precisare chi questi siano. In particolare, nel riportare il contenuto del ricorso in opposizione si indicano i nominativi dei soli creditori il cui intervento si assume essere illegittimo, nulla specificando però in ordine alla presenza di altri eventuali intervenuti (pag. 10).

Com’è noto, nelle opposizioni agli atti esecutivi, al pari delle controversie distributive, il litisconsorzio processuale è necessario con tutti i creditori che rivestano la qualità di procedente o di interventore al momento in cui la singola opposizione sia instaurata (Sez. 3, Sentenza n. 18110 del 05/09/2011, Rv. 619403-01; Sez. 3, Sentenza n. 17441 del 28/06/2019, Rv. 654355-01).

Di conseguenza, qualora venga proposto ricorso per cassazione, nell’esposizione dei fatti è necessario indicare specificatamente tutti i creditori procedenti o intervenuti, al fine di consentire alla Corte il controllo sulla regolarità del contraddittorio. Ove questo non sia integro, ma sia possibile individuare univocamente coloro nei confronti dei quali deve essere regolarizzato, si provvede ai sensi dell’art. 331 c.p.c.. Viceversa, nel caso in cui l’esposizione contenuta nel ricorso non consenta l’esatta individuazione dei litisconsorti necessari – e quindi non permetta neppure di verificare se il litisconsorzio sia integro oppure no – la sanzione processuale dovrà essere quella dell’inammissibilità per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3.

Del resto, si consideri non solo che le risultanze del fascicolo d’ufficio non possono valere a colmare eventuali carenze espositive del ricorso per cassazione, ma che il dato dei creditori procedenti o intervenuti neppure risulta da tale fascicolo, trattandosi di attività processuale svoltasi nell’ambito non dell’opposizione, bensì del processo esecutivo, il cui relativo fascicolo il giudice dell’opposizione non è tenuto ad acquisire. Per tali ragioni, l’onere di allegazione in capo al ricorrente è ancora più specifico e pregnante.

Va quindi affermato il seguente principio di diritto:

“In materia di opposizioni esecutive e controversie distributive, il ricorso per cassazione deve essere proposto nei confronti di tutti i creditori procedenti o intervenuti al momento della proposizione dell’opposizione, fra i quali sussiste litisconsorzio processuale necessario. Pertanto, il ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, l’esatta indicazione dei litisconsorti necessari, al fine di consentire alla Corte di verificare l’integrità del contraddittorio ed eventualmente provvedere ad ordinarne l’integrazione ai sensi dell’art. 331 c.p.c.”.

Per le ragioni sopra esposte, il ricorso in esame, del tutto carente sul piano espositivo, deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico dei ricorrenti in solido, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, nella misura indicata nel dispositivo, differenziata in ragione della diversa attività difensiva posta in essere dalle parti controricorrenti.

Sussistono, inoltre, i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicchè va disposto il versamento, da parte dagli impugnanti soccombenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta, senza spazio per valutazioni discrezionali (Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550).

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per la Italfondiario s.p.a. e in Euro 3.200,00 sia per Sc.Mi., Sc.Fr. e M.A., tra questi in solido, sia per la Società per la Gestione di Attività – S.G.A. s.p.a., oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 per ciascun controricorrente, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo consigliere anziano del collegio, per impedimento del suo presidente e dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a), (decreto del Primo Presidente della Corte suprema di Cassazione n. 40 del 18-19/03/2020).

Così deciso in Roma, il 1 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2020

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