Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.11466 del 15/06/2020

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11977/2015 proposto da:

D.B., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA S. TOMMASO D’AQUINO 116, presso lo studio dell’avvocato STEFANO FIORELLI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati RENATA RAMBOZZI, DAVIDE LORENZO RICCARDI;

– ricorrente –

C.C., C.G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DI RIPETTA 70, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO LOTTI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARA DEMICHELIS;

– c/ricorrentie ricorrenti incidentali –

e contro

B.T.C., STUDIO CERESOLE DI F.S.

C.S. & C SAS;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2302/2014 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 24/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/04/2019 dal Consigliere MARIA ROSARIA SAN GIORGIO.

FATTI DI CAUSA

1.- Con atto notificato il 9 maggio 2009 i coniugi B.T.C. e C.G. convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Alba D.B. e lo Studio Ceresole s.a.s.. Esposero di aver preso contatto, nel mese di maggio 2008, rispondendo ad un annuncio pubblicitario, con l’Agenzia immobiliare Studio Ceresole per l’acquisto di un immobile in ***** con terreno di pertinenza di circa 8000 mq., e di aver fatto presente, nel corso delle trattative con la venditrice, D.B., che il loro interesse all’acquisto era legato, più che al fabbricato, in pessime condizioni, all’area circostante. Avendo gli stessi constatato, a seguito dei rilievi effettuati, che l’area in questione aveva una estensione inferiore a quella pubblicizzata, la venditrice aveva prospettato loro la possibilità di inserire nella compravendita anche un lotto confinante (f. ***** mappale *****) formalmente intestato a terzi ma che la stessa venditrice aveva sostenuto di avere sostanzialmente già usucapito. Gli attori pertanto avevano sottoscritto la proposta di acquisto per il prezzo di Euro 74000,00 versando la somma di Euro 2520,00 a favore dell’agenzia per la sa opera di mediazione. Essi avevano poi appurato che, pur includendo il lotto da usucapire, l’estensione di terreno era pari a 7000 mq, per cui il prezzo della compravendita era stato fissato nella minor somma di Euro 72000,00. Le parti avevano quindi stipulato in data 20 giugno 2008 un contratto preliminare allegando ad esso una separata scrittura privata, datata 9 giugno 2008, nella quale si prevedeva che i costi relativi alla procedura di usucapione sarebbero stati posti a carico della venditrice, alla quale era stata versata la somma di Euro 10000,00 a titolo di caparra confirmatoria. Successivamente si era accertato che il lotto ***** non poteva essere usucapito, e, di fronte alle rimostranze degli attori, la D. aveva manifestato l’intenzione di recedere dal contratto e di trattenere la caparra. Tanto premesso, gli attori chiesero la restituzione del doppio della caparra alla D. e della provvigione allo Studio Cerasole, oltre al risarcimento del danno.

Il Tribunale adito respinse le domande degli attori confermando il diritto della d. a trattenere la caparra.

2.- Proposto gravame dai soccombenti, la Corte d’appello di Torino, con sentenza depositata il 24 dicembre 2014, in riforma della decisione di primo grado, dichiarò che non vi era stato inadempimento da parte degli attori al contratto preliminare e che la convenuta non aveva diritto a trattenere l’importo di Euro 10000,00 versato dagli stessi a titolo di caparra confirmatoria, condannandola pertanto a restituire ai coniugi la predetta somma.

La Corte di merito, rilevato che la convenuta sosteneva, sulla base del tenore letterale del contratto preliminare intercorso tra le parti, la non inclusione nello stesso del mappale che doveva essere usucapito, osservò che l’interpretazione del contratto non può limitarsi al senso letterale delle parole, dovendosi valutare la comune intenzione delle parti attraverso il loro comportamento complessivo, anche successivo alla conclusione del contratto. Doveva, pertanto, da un lato, attribuirsi rilievo alla scrittura privata allegata al contratto, che conteneva espliciti riferimenti al mappale *****, e, dall’altro, alle vicende successive relative al compendio immobiliare in questione. Dopo il recesso della D., lo Studio Ceresole aveva rimesso in vendita lo stesso, indicando la estensione del terreno non più in 8000 mq, ma in 5000, corrispondenti alla estensione di 7000 mq che era stata riconosciuta esatta dalla venditrice all’atto della riduzione del prezzo di vendita da 74000,00 a 72000,00 Euro, detratti i 2000 mq circa corrispondenti alla particella *****, con ulteriore riduzione della somma richiesta ad Euro 50000,00.

Ciò posto, la Corte di merito rilevò che la domanda di nullità o annullabilità del contratto proposta dagli attori non era fondata. La vendita di cosa altrui è, infatti, ammessa nel nostro ordinamento. Nè la nullità poteva derivare dalla non usucapibilità del bene in questione, in astratto invero usucapibile. Nemmeno si poteva configurare l’annullabilità del contratto per vizi del consenso degli acquirenti, consapevoli che la particella de qua non apparteneva alla venditrice. La Corte ritenne quindi che il contratto si fosse risolto per una sorta di impossibilità sopravvenuta quando le parti si erano rese conto delle difficoltà della cessione del mappale *****, di carattere oggettivo, poichè il terreno non era coltivato e di esso non si poteva perciò provare il possesso, e soggettivo, non potendo la D. dimostrare il possesso ultraventennale, ed avevano compreso che non sarebbe stato sufficiente il breve periodo preventivato per la stipula del contratto definitivo per la conclusione della procedura di usucapione. In definitiva non vi era stato inadempimento di nessuna delle parti. La dazione della caparra era dunque rimasta priva di causa, sicchè questa doveva essere restituita agli appellanti, mentre doveva essere respinta la domanda risarcitoria nei confronti dell’agenzia immobiliare, nei cui confronti non erano emersi profili di responsabilità.

3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre D.B. sulla base di due motivi. Resistono con controricorso C.G. in proprio e quale erede di B.T.C., e C.C. quale erede della stessa, che propongono altresì ricorso incidentale condizionato.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Vanno preliminarmente esaminate le varie eccezioni di improcedibilità/inammissibilità del ricorso sollevate dai controricorrenti C.G. e C..

1.1. – Con la prima di esse si rileva il vizio della notifica del ricorso derivante dall’essere stata la stessa indirizzata a persona defunta, la signora B.T.C., che risulta deceduta in data 2 dicembre 2014, anteriormente alla notifica del ricorso, avvenuta nei confronti della stessa B. e del coniuge C.G. il 4 maggio 2015.

La eccezione è priva di fondamento.

Premesso, in via generale, che lo scopo della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio è raggiunto quando la parte, nonostante la nullità della notifica, si sia tempestivamente costituita, così mostrando di aver avuto conoscenza legale del processo e di essere in grado di apprestare la propria difesa senza incorrere in decadenze o preclusioni (v. Cass., sent. n. 28695 del 2013), va ribadito, con specifico riferimento al giudizio di legittimità, che è nullo, nel suo valore sostanziale, l’atto introduttivo del giudizio per cassazione allorchè esso, per errata identificazione del soggetto passivo della vocatio in ius, invece che nei confronti dell’erede, sia proposto e notificato (mediante il rilascio di copia nel domicilio eletto dal procuratore) alla parte deceduta e del cui decesso il ricorrente abbia già avuto conoscenza legale, restando una tale nullità, tuttavia, sanata dalla costituzione in giudizio dell’erede, avvenuta prima del passaggio in giudicato dell’impugnata sentenza (v., sul punto, Cass., sent. n. 7981 del 2007). Nella specie, C.G., coniuge della B., già parte originaria, insieme alla moglie, del giudizio di cui si tratta, ed il figlio C., hanno resistito con controricorso, rispettivamente in proprio e quale erede della B. il primo, e nella sola qualità di erede della B. il secondo, al ricorso della signora D., con ciò sanando la nullità della notifica.

1.2. – La seconda eccezione riguarda la notifica del ricorso allo Studio Ceresole s.a.s., già cancellata dal registro delle imprese.

Tal eccezione non può trovare ingresso nel presente giudizio.

In disparte il difetto di interesse dei controricorrenti, deve, al riguardo, rilevarsi che lo Studio Ceresole s.a.s. non entra in alcun modo nel presente giudizio, avuto riguardo alla mancanza nel ricorso di alcuna doglianza che si diriga verso la posizione dello stesso, pur a seguito della conferma da parte della Corte d’appello di Torino, nella sentenza impugnata, del rigetto delle domande di restituzione della caparra e di risarcimento del danno, proposte in primo grado e reiterate nel giudizio di appello nei confronti dello stesso Studio.

1.3. – I controricorrenti deducono poi la invalidità della notifica del ricorso sia perchè operata all’avv. Mara Demichelis presso lo studio in *****, nonostante la stessa professionista sia del Foro di Asti ed abbia lo studio in *****, e nonostante gli stessi B. e C. avessero eletto domicilio presso lo studio dell’avv. Benito Capellupo in *****, al predetto indirizzo di *****.

Anche tale eccezione è destituita di fondamento, alla luce della circostanza della costituzione in giudizio dei controricorrenti.

1.4. – Ulteriore eccezione sollevata da questi ultimi riguarda la mancata autorizzazione all’avv. Lorenzo Riccardi, a cura del quale la notifica è stata effettuata, da parte del Consiglio dell’Ordine.

La eccezione è priva di pregio.

Secondo la giurisprudenza di legittimità, l’attività di notificazione svolta dagli avvocati, ai sensi della L. n. 53 del 1994, in mancanza dei requisiti prescritti dalla legge stessa, va considerata nulla e non inesistente. Ne consegue che tale nullità, quand’anche riscontrata, è sanata dalla rituale e tempestiva costituzione dell’intimato e, quindi, dall’accertato raggiungimento dello scopo della notificazione stessa (v. Cass., sent. n. 15081 del 2004, resa in una fattispecie in cui il requisito prescritto dalla legge e mancante era proprio quello relativo alla previa autorizzazione del Consiglio dell’Ordine; conf., in generale, Cass., sent. n. 5743 del 2011).

1.5. – Infine, i controricorrenti lamentano la violazione dell’art. 366 c.p.c., nn. 1 e 5, per la omessa indicazione della parte ricorrente e di una valida procura, in quanto nè nel ricorso, nè nella delega a margine vi sono altri dati oltre al nome e cognome della signora D., ed il codice fiscale di riferimento risulta errato.

Anche quest’ultima eccezione è immeritevole di accoglimento.

Anzitutto, ai fini della sussistenza del requisito della indicazione delle parti, prescritto, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 1, non è richiesta alcuna forma speciale, essendo sufficiente che le parti medesime, pur non indicate, o erroneamente indicate, nell’epigrafe del ricorso, siano con certezza identificabili dal contesto dello stesso e dal riferimento agli atti dei precedenti giudizi (v. Cass., sent. n. 7551 del 2005).

Con riguardo alla pretesa invalidità della procura, va rilevato poi che l’incorporazione dei due atti – procura e ricorso – in un medesimo contesto documentale implica necessariamente il puntuale riferimento dell’uno all’altro (v. Cass., ord. n. 14437 del 2019).

2. – Passando alle censure di merito, con il primo motivo del ricorso si deduce la la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, La sentenza impugnata sarebbe nulla per aver recato vulnus al principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Sostiene la ricorrente che, mentre nell’atto di citazione in appello B.T.C. e C.G. avevano chiesto la declaratoria di nullità o annullabilità del contratto preliminare del 20 giugno 2008 con conseguente restituzione della somma di Euro 10000,00 dagli stessi versata alla D., oltre al risarcimento dei danni, ovvero, in via subordinata, l’accertamento dell’inadempimento contrattuale da parte della attuale ricorrente, con conseguente restituzione da parte della stessa del doppio dell’importo ottenuto a titolo di caparra, o, in via ulteriormente gradata, la declaratoria di inammissibilità della domanda della attuale ricorrente volta a trattenere la caparra, con condanna della stessa alla restituzione del relativo importo, la Corte di merito aveva, in spregio alla regola processuale di cui all’invocato art. 112 c.p.c., ritenuto che il contratto di cui si tratta si fosse risolto per una sorta di impossibilità sopravvenuta, non addebitabile ad alcuna delle parti, con conseguente obbligo di restituzione della somma versata a titolo di caparra confirmatoria. Il giudice di secondo grado, esorbitando dai limiti dei suoi poteri di interpretazione della domanda, si sarebbe spinto alla ricerca del provvedimento effettivamente utile al richiedente. La ricorrente invoca al riguardo l’esercizio da parte di questa Corte del proprio potere-dovere di esaminare ed interpretare gli atti processuali, essendo denunciato un error in procedendo della Corte di merito.

2.1. – La censura è destituita di fondamento.

2.2. – E’ principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello secondo il quale in tema di giudizio di appello, il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, come il principio del tantum devolutum quantum appellatum, non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, nonchè in base alla qualificazione giuridica dei fatti medesimi ed all’applicazione di una norma giuridica, diverse da quelle invocate dall’istante. Inoltre, non incorre nella violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato il giudice d’appello che, rimanendo nell’ambito del petitum e della causa petendi, confermi la decisione impugnata sulla base di ragioni diverse da quelle adottate dal giudice di primo grado o formulate dalle parti, mettendo in rilievo nella motivazione elementi di fatto risultanti dagli atti ma non considerati o non espressamente menzionati dal primo giudice (cfr. Cass., ord. n. 513 del 2019; sent. n. 13383 del 2010).

Più specificamente con riguardo ai principi di diritto da applicare alla vicenda che ne occupa, la Corte ha affermato che non sussiste violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato allorchè il giudice, qualificando giuridicamente in modo diverso rispetto alla prospettazione della parte i fatti da questa posti a fondamento della domanda, le attribuisca un bene della vita omogeneo, ma ridimensionato, rispetto a quello richiesto. Ne consegue che, proposta in primo grado una domanda di risoluzione per inadempimento di contratto preliminare, e di conseguente condanna del promittente venditore alla restituzione del doppio della caparra ricevuta, non pronunzia ultra petita il giudice il quale ritenga che il contratto si sia risolto non già per inadempimento del convenuto, ma per impossibilità sopravvenuta di esecuzione derivante dalle scelte risolutorie di entrambe le parti (ex art. 1453 c.c., comma 2) e condanni il promittente venditore alla restituzione della sola caparra (la cui ritenzione è divenuta sine titulo) e non del doppio di essa (v. Cass., sent. n. 23490 del 2009).

2.3. – Nella specie, la Corte sabauda, a fronte della richiesta di declaratoria di risoluzione per inadempimento del contratto per cui è causa, alla stregua di una legittima, e motivata in modo articolato, ricostruzione dei fatti, operata alla stregua della piattaforma probatoria, ha ritenuto risolto il contratto per impossibilità sopravvenuta della esecuzione dello stesso, per difficoltà oggettive (terreno non coltivato e conseguente impossibilità della prova del possesso ai fini dell’usucapione) e soggettive (impossibilità per la D. di provare il possesso ultraventennale), e soprattutto, per la impossibilità di portare a termine le complesse pratiche di usucapione nel breve termine previsto per la stipula del contratto definitivo.

Da questa plausibile ricostruzione è conseguita la decisione della Corte di merito di condannare la D. alla restituzione della caparra versata, ormai sine titulo, dagli appellanti: ciò che rappresentava – sia pure in via subordinata rispetto alla richiesta altresì di risarcimento del danno ovvero di restituzione del doppio della caparra stessa – il petitum oggetto del giudizio.

3. – Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. e segg., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nonchè omessa e contraddittoria motivazione sul punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione agli artt. 1350 e 2725 c.c.. Avrebbe errato la Corte di merito nel non considerare, come invece aveva fatto il giudice di primo grado, alla stregua della valutazione della scrittura privata del 20 giugno 2008 – unica fonte di regolamentazione dei rapporti tra le parti -, che tra i beni oggetto dell’accordo di cessione di cui al contratto preliminare del 29 giugno 2008 non fosse compreso il mappale *****. Ciò in quanto i beni compromessi in vendita nella richiamata scrittura privata, quali risultanti dalla individuazione catastale e dal rinvio alla planimetria allegata, non era allegato il predetto lotto di terreno.

3.1. – Anche tale censura risulta immeritevole di accoglimento.

3.2. – Deve premettersi che la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., S.U., sent. n. 8053 del 2014).

Nella specie, la censura relativa all’art. 360, comma 1, n. 5, non presenta le caratteristiche richiamate, e non può, pertanto, trovare ingresso nel presente giudizio di legittimità.

3.3. – Quanto alla lamentata violazione e/o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 1362 c.c. e segg., deve sottolinearsi che l’interpretazione del contratto è tipico accertamento devoluto al giudice del merito. E’ pur vero che qualora non sia dato rinvenire il criterio ermeneutico che ha indirizzato l’opera del predetto giudice, ovvero in presenza di emergenze semantiche obiettivamente non corroboranti l’interpretazione proposta, è rinvenibile la violazione delle disposizioni di cui all’art. 1362 c.c. e ss., giacchè il giudice viene meno al dovere d’interpretazione secondo i canoni legali, ove fornisca un’esegesi svincolata da regole conoscibili, nel senso di verificabili attraverso il vaglio probatorio, e non giustificata dal contenuto letterale dello strumento negoziale.

Ma nella specie la Corte di merito ha fatto corretta e motivata applicazione dei richiamati canoni legali, chiarendo che, seppure il tenore letterale del contratto e l’allegata planimetria non contenevano alcun riferimento al mappale *****, l’interpretazione del contratto in questione non poteva limitarsi al senso letterale delle parole, dovendosi indagare sulla comune intenzione delle parti, valutandone il comportamento complessivo anche successivo alla stessa conclusione del contratto. Nel compiere tale indagine, la Corte di merito ha preso in considerazione la circostanza che al contratto preliminare fosse allegata la precedente scrittura privata del 9 giugno, che faceva esplicito riferimento a detto mappale: allegazione che, nella plausibile interpretazione della Corte sabauda, aveva lo scopo di richiamare i precedenti accordi intervenuti tra le parti. Il giudice di secondo grado ha, poi, preso in esame la circostanza, successiva alla conclusione del contratto, ma destinata anch’essa a far luce sulla volontà dei contraenti, che, successivamente al recesso della parte venditrice, lo Studio Ceresole mise nuovamente in vendita il fabbricato, indicando la estensione del terreno non più in 8000 mq, ma in 5000, corrispondenti alla estensione di 7000 mq che era stata riconosciuta esatta dalla venditrice all’atto della riduzione del prezzo di vendita da 74000,00 a 72000,00 Euro, detratti i 2000 mq circa corrispondenti alla particella *****, con ulteriore riduzione della somma richiesta ad Euro 50000,00: ciò che, secondo la impostazione della Corte di merito, comprova che il prezzo di 72000 Euro era stato concordato in relazione ad una superficie di 7000 mq., superficie che non poteva non comprendere anche il lotto *****.

4. – Resta assorbito dal rigetto del ricorso principale l’esame delle censure oggetto del ricorso incidentale, proposto solo condizionatamente all’accoglimento di quello principale.

5. – Conclusivamente, il ricorso principale deve essere rigettato, ed assorbito l’incidentale. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura espressa in dispositivo.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013”, che ha aggiunto l’art. 13, comma 1 quater, del testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale, assorbito quello incidentale. Condanna la ricorrente principale al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1500,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15/0 ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, del contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 16 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2020

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472