LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – rel. Consigliere –
Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –
Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22877/2015 proposto da:
SOC COOP GEMMA CASA A RL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FRANCESCO SAVERIO NITTI 11 (ST GAGLIARDI), presso lo studio dell’avvocato CORRADO VALVO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
C.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NAZIONALE 204, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO BOZZA, rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE SENA;
– controricorrente –
e contro
ELORO CALCESTRUZZI DI ACQUAVIVA B & C SNC;
– intimato –
avverso la sentenza n. 334/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 24/02/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/05/2019 dal Consigliere. MARIA ROSARIA SAN GIORGIO.
FATTI DI CAUSA
1. – In data 1 ottobre 1996 la società cooperativa Gemma Casa s.r.l. stipulò con la Eloro Calcestruzzi di B.A. & C. s.n.c. un contratto di appalto per il completamento della edificazione di 24 alloggi da eseguire in conformità al progetto redatto dall’ing. C.C., direttore dei lavori, ed approvato con la concessione edilizia.
Con atto di citazione notificato in data 24 maggio 2001, la Gemma Casa convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Siracusa – sez. dist. di Avola, sia la società appaltatrice sia l’ing. C., chiedendo che venissero dichiarati l’inadempimento contrattuale della Eloro Calcestruzzi nella esecuzione e nella consegna delle opere e la colpa grave del direttore dei lavori nell’espletamento dell’incarico, con condanna degli stessi, per le diverse causali, al pagamento della somma di Lire 160.369.071, pari al valore dei vizi dell’opera, nonchè a quella di Lire 670.925.819, o a quella diversa da precisare in corso di causa.
Si costituirono entrambi i convenuti, proponendo domanda riconvenzionale. La Eloro Calcestruzzi eccepì la incompetenza del giudice adito per effetto della clausola compromissoria contenuta nel contratto (non riguardante il C.), ritenuta, invece, nulla dalla attrice.
2.- Il Tribunale, con sentenza n. 65 del 2002, accolse la eccezione in merito alla controversia tra Gemma Casa ed Eloro Calcestruzzi, disponendo la prosecuzione del processo tra la stessa Gemma Casa e l’ing. C..
3.-Respinto il relativo gravame con sentenza n. 1093 del 2006, che disponeva la prosecuzione del giudizio relativamente alla domanda riconvenzionale dell’ing. C., all’esito di questo venne emessa la sentenza n. 691 del 2008, che escluse la colpa grave del professionista nell’espletamento dell’incaricomma 4.-Nel frattempo il giudizio tra la Gemma Casa e lo stesso ing. C. proseguito presso il Tribunale di Siracusa, sez. dist. di Avola, si concluse con sentenza n. 116 del 2009, di condanna dell’attrice, la quale propose gravame innanzi alla Corte d’appello di Catania, rigettato con la sentenza n. 334 del 2015, oggi impugnata.
Con riguardo ai denunciati inadempimenti del professionista, in relazione ai quali questi ha dedotto la esistenza di un giudicato, rappresentato dalla citata sentenza della Corte d’appello n. 691 del 2008, che li escludeva, il giudice di seconde cure ha condiviso la prospettazione del C., precisando che con la sentenza richiamata era stata respinta la domanda con la quale la Gemma Casa aveva chiesto riconoscersi la colpa grave del C. nell’espletamento dell’incarico di direttore dei lavori, in quanto sfornita di prova.
Sul quantum l’appello era generico perchè non contrastava adeguatamente l’affermazione del giudice di primo grado che aveva fatto applicazione del principio di non contestazione.
La Corte di merito accolse, invece, l’appello incidentale del C. in ordine alla pronuncia sulle spese.
3.- Per la cassazione di tale sentenza ricorre la soc. coop. Gemma Casa a r.l. sulla base di sei motivi. Resiste con controricorso l’ing. C..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo mezzo si deduce “mancanza di giudicato. Necessità di giudizi unitari per evitare ipotetici giudicati contrastanti”. Avrebbe errato la Corte di merito nel ritenere di non dover affrontare la questione dell’inadempimento contrattuale dell’ing. C., siccome coperta da giudicato. Rileva il ricorrente che, a seguito dell’appello proposto nei confronti della sentenza n. 65 del 2002, che aveva dichiarato la propria incompetenza in merito alla controversia tra Gemma Casa ed Eloro Calcestruzzi, disponendo la prosecuzione del processo tra la stessa Gemma Casa e l’ing. C., il giudizio nei confronti di quest’ultimo era proseguito, da un lato, presso la Corte d’appello di Catania, dall’altro presso la sez. distaccata di Avola del Tribunale di Siracusa. La sentenza emessa da quest’ultima era stata impugnata innanzi alla Corte d’appello di Catania, la cui pronuncia, dunque, non era impedita da alcun giudicato.
2.- La censura è priva di fondamento.
In disparte l’assenza di specificità della doglianza, denunziata senza alcun riferimento ad una o più delle ipotesi previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, è sufficiente rilevare che, in assenza di impugnazione – nemmeno dedotta dal ricorrente – della sentenza n. 691 del 2008, con la quale la Corte d’appello di Catania aveva respinto la domanda della Gemma Casa avente ad oggetto l’accertamento della colpa grave del C. nell’espletamento dell’incarico di direttore dei lavori, in quanto sfornita di prova, il giudicato da essa originato escludeva la possibilità di far valere ancora detto inadempimento professionale.
3.-Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 184 e segg. c.p.c., per la mancata ammissione da parte della Corte di merito delle prove richieste, decisive ai fini della valutazione dell’inadempimento del del professionista.
4.- La censura non può trovare ingresso nel presente giudizio.
Qualora venga denunziata, in sede di legittimità, la mancata ammissione di un mezzo di prova da parte del giudice di merito – il quale peraltro non è tenuto a respingere espressamente e motivatamente la richiesta di mezzi istruttori avanzata dalle parti qualora la superfluità degli stessi possa implicitamente dedursi dal complesso della motivazione adottata – è necessario che vengano fornite, da parte del ricorrente, specifiche indicazioni in ordine alle circostanze che formavano oggetto della prova al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo – che, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, deve poter essere effettuato sulla sola base delle deduzioni contenute in tale atto, senza che alla genericità e lacunosità delle stesse possa sopperirsi con indagini integrative e con elementi ricavati aliunde – sulla decisività della prova medesima, decisività che deve essere tale da far ritenere, in base ad un giudizio di certezza e non di mera probabilità, che dette circostanze, se dimostrate, avrebbero comportato una diversa decisione.
Più in particolare, ove trattisi di una prova per testi, è onere del ricorrente, in virtù del principio d’autosufficienza del ricorso per cassazione, indicare specificamente le circostanze che formavano oggetto della prova, quale ne fosse la rilevanza, ed a qual titolo i soggetti chiamati a rispondere su di esse potessero esserne a conoscenza (cfr., ex plurimis, Cass., sentt. n. 19985 del 2017, n. 17915 del 2010, n. 479 del 2006).
Nella specie, il ricorrente si è limitato ad affermare apoditticamente il carattere di decisività dei mezzi di prova richiesti senza dare minimamente conto delle circostanze che ne formavano oggetto al fine di consentire alla Corte detto controllo.
5.- Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., per avere la Corte di merito ritenuto che fosse stata raggiunta la prova della sussistenza del credito reclamato dall’ing. C., non valendo a tale scopo la parcella dell’Ordine professionale, della quale il giudice deve vagliare la fondatezza anche in relazione alla esecuzione dei lavori. La invocazione, da parte della Corte di merito, del principio di non contestazione sarebbe errata, sia perchè il credito di cui si tratta era stato contestato in tutte le sedi, sia perchè si porrebbe in contrasto con il richiamato art. 2697 c.c..
6.- Anche tale doglianza è inammissibile.
Il ricorrente omette, infatti, di confrontarsi con l’affermazione della Corte di merito che – dopo aver rilevato, sulla base della considerazione della esistenza del giudicato (su cui si rinvia a quanto argomentato sub 2), la impossibilità di far valere l’inadempimento dell’ing. C., ormai definitivamente escluso, ha giudicato generico l’appello in ordine al quantum della pretesa dell’appellante per non aver adeguatamente contrastato il rilievo del primo giudice, che aveva ritenuto di fare applicazione del principio di non contestazione, non avendo la Gemma Casa preso posizione specifica dopo la sentenza non definitiva.
7.- Con il quarto motivo si lamenta violazione dell’art. 1341 c.c., e artt. 37,103 e 806 c.p.c. e difetto di giurisdizione in quanto, per effetto della clausola compromissoria, qualsiasi controversia attinente ai lavori di costruzione doveva essere devoluta al giudizio arbitrale. Per le medesime ragioni sarebbe illegittima la separazione dei procedimenti operata dai vari giudici.
8.- Il motivo è infondato.
Come chiarito anche dalla sentenza impugnata, la clausola compromissoria di cui si tratta era stata apposta al contratto di appalto intercorso tra la Gamma Casa e la Eloro Calcestruzzi. Dunque essa non spiegava alcun effetto sul rapporto professionale tra la stessa Gemma Casa e l’ing. C.. Ed infatti, come ricordato in narrativa, la Corte d’appello di Catania, con la sentenza n. 1093 del 2006, nel rigettare il gravame della Gemma Casa nei confronti della Eloro Calcestruzzi, aveva disposto la prosecuzione del giudizio di appello relativo alla domanda proposta nei confronti dell’ing. C., poi concluso con la sentenza n. 691 del 2008, che aveva rigettato il gravame della Gemma Casa ritenendo non provato l’inadempimento del C. per colpa grave.
9.-Con il quinto motivo si denuncia la contraddittorietà ed insufficienza della motivazione in ordine all’inadempimento dell’ing. C. ed alla inesistenza del credito dallo stesso vantato.
La censura è inammissibile.
In seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111 Cost., comma 6, e, nel processo civile, dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perchè perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (v. Cass., SS.UU., sent. n. 8053 del 2014). In particolare, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella nuova formulazione, prevede l'”omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione”, come riferita ad “un fatto controverso e decisivo per il giudizio” ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate (v., da ultimo, Cass., ord. n. 22397 del 2019).
10.- Resta assorbito dal rigetto dei primi motivi l’esame del sesto, con il quale, presupponendo l’inadempimento dell’ing. C., il ricorrente chiede il risarcimento dei danni e la condanna dello stesso al pagamento delle spese del giudizio in tutti i gradi.
11.- Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato, e la ricorrente condannata al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come in dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del medesimo art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in Euro 6000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del medesimo art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 7 maggio 2019.
Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2020
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