Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.11596 del 15/06/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1229-2019 proposto da:

I.CO.PO.DE.SO. IMMOBILIARE COSTRUZIONI POGGIO DEL SOLE SRL in persona del legale rappresentante M.P., in proprio, elettivamente domiciliati in ROMA, V.LE CARSO 43, presso lo studio dell’avvocato CARLO GUGLIELMO IZZO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato ADRIANO IZZO;

– ricorrenti –

contro

UNICREDIT SPA GIA’ CASSA DI RISPARMIO DI ROMA;

– intimata –

Nonchè da:

UNICREDIT SPA GIA’ CASSA DI RISPARMIO DI ROMA, elettivamente domiciliato in ROMA, LUNG. TEVERE A. DA BRESCIA 9-10, presso lo studio dell’avvocato ANDREA FIORETTI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCESCO VASSALLI;

– ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 6430/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 12/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/01/2020 dal Consigliere Dott. MOSCARINI ANNA.

FATTI DI CAUSA

La società Icopodeso Immobiliare Costruzioni Poggio del Sole srl e M.P. in proprio convennero, con citazione del 9/2/2010, davanti al Tribunale di Roma la Cassa di Risparmio di Roma (poi Unicredit S.p.A.) per sentir dichiarare ed accertare la responsabilità della convenuta nella causazione del fallimento della società, dichiarato con sentenza del Tribunale di Roma dell’11/5/1988, e la condanna della banca al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti nella misura di Euro 120.902.219,88, oltre accessori per la società e di Euro 11.987.204,06 ed accessori per M.P. in proprio. Lamentavano che la banca avesse tenuto comportamenti truffaldini legati all’erogazione di mutui edilizi nell’ambito di rapporti intercorsi per ripianare la situazione debitoria. A sostegno della domanda citavano un’azione da essi stessi promossa e coperta da giudicato con la quale avevano in precedenza chiesto accertarsi l’inadempimento della stessa banca ad un accordo stragiudiziale intercorso tra le parti anche in relazione al comportamento tenuto nell’ambito di procedimenti penali aperti a carico dell’Amministratore M.P. per bancarotta preferenziale e bancarotta patrimoniale conclusisi con l’assoluzione dell’imputato “perchè il fatto non sussiste”. Nel contraddittorio con la banca il Tribunale di Roma accolse un’eccezione pregiudiziale della convenuta e dichiarò che le domande erano inammissibili perchè coperte dal precedente giudicato formatosi, all’esito del giudizio iniziato nel 1986, sull’accertamento della idoneità potenziale dei predetti fatti di inadempimento a causare il danno.

I soccombenti proposero appello e, nel contraddittorio con la banca, la Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 6430 del 12/10/2018, ha accolto il motivo di appello relativo alla pretesa esistenza di un giudicato, in ragione della diversità di petitum e causa petendi, avendo avuto il primo giudizio ad oggetto l’accertamento della sussistenza di un concordato stragiudiziale e l’inadempimento della banca al suddetto accordo, mentre il secondo giudizio, promosso dopo la dichiarazione di fallimento della società, aveva ad oggetto l’accertamento della responsabilità della banca nella causazione del fallimento medesimo determinato dall’inadempimento dell’istituto di credito ad un contratto di mutuo stipulato nel 1976.

Pur accogliendo il primo motivo di appello e rigettando l’eccezione di giudicato, la Corte territoriale ha accolto una seconda eccezione della banca convenuta, relativa alla prescrizione dei diritti risarcitori. A tal proposito la Corte d’Appello ha ritenuto che la domanda di accertamento della responsabilità della banca nella causazione del fallimento avrebbe dovuto essere avanzata tempestivamente dalla curatela nel termine di cinque anni dalla dichiarazione di fallimento, in applicazione di una giurisprudenza di questa Corte secondo la quale la decorrenza della prescrizione dalla data del fallimento è giustificata sia dal fatto che è quello il momento in cui si determina il pregiudizio sia dal fatto che, nell’inerzia degli organi fallimentari rispetto a diritti patrimoniali suscettibili di entrare a far parte della massa fallimentare, tale disinteresse giustifica la diretta legittimazione del fallito. Nel caso in esame la curatela non avrebbe proposto alcuna domanda risarcitoria, così restando inerte, limitandosi a costituirsi nel giudizio già promosso dalla società in bonis, di cui si è detto, e neppure proponendo appello avverso la sentenza di primo grado che in quel giudizio aveva rigettato le domande degli attori. Dunque la Corte territoriale ha ritenuto prescritto il diritto risarcitorio della società ed ugualmente prescritto il diritto di M.P., il quale non aveva avuto alcun impedimento ad agire nei confronti della banca in pendenza della procedura fallimentare, dal momento che aveva garantito come fidejussore gli impegni della società e godeva pertanto di un titolo personale al risarcimento del danno, distinto da quello della società. Il diritto del M. si era prescritto, ai sensi dell’art. 2947 c.c., essendo decorsi cinque anni dal giorno della dichiarazione di fallimento della società.

Avverso la sentenza, che ha dunque rigettato l’appello, condannando i soccombenti alle spese del grado, la società Icopodeso Immobiliare Costruzioni Poggio del Sole srl e M.P. in proprio propongono ricorso per cassazione, sulla base di quattro motivi, illustrati anche da memoria. Resiste la Unicredit SpA con controricorso e con un autonomo motivo di ricorso incidentale, al quale resistono la società Icopodeso e M.P. con autonomo controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo i ricorrenti sollevano la violazione e falsa applicazione del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 43, con riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ed erronea declaratoria di legittimazione della società Icopodeso a far valere le proprie istanze risarcitorie in pendenza della procedura fallimentare.

I ricorrenti assumono che la sentenza impugnata abbia illegittimamente accolto l’eccezione di prescrizione fatta valere in giudizio sulla base della ritenuta legittimazione attiva della stessa società ad azionare le proprie istanze risarcitorie in pendenza della procedura fallimentare. Non essendo configurabile l’impossibilità del fallito di far valere il proprio diritto in pendenza della procedura fallimentare il diritto è stato ritenuto prescritto individuando quale dies a quo quella della dichiarazione di fallimento, in presenza di un comportamento inerte del curatore il quale, da un lato, non aveva proposto alcuna autonoma domanda risarcitoria, dall’altro, costituendosi nel precedente giudizio promosso dalla società in bonis, non aveva neppure impugnato la sentenza di rigetto, con ciò dando piena legittimazione al fallito di agire a tutela dei propri interessi. Questo assunto, ad avviso dei ricorrenti, contrasterebbe con la carenza di capacità di agire del fallito a seguito della dichiarazione di fallimento, non potendosi ritenere che la curatela avesse mantenuto un atteggiamento di inerzia rispetto al procedimento promosso dalla società in bonis. Il comportamento del curatore avrebbe dovuto essere qualificato non in termini di inerzia ma quale precisa scelta discrezionale di non porre in essere alcuna attività processuale, con ciò escludendo qualunque legittimazione ultrattiva del fallito ai sensi della L.Fall., art. 43.

1.1 Il motivo è inammissibile per più distinti e concorrenti profili. Innanzitutto esso difetta di autosufficienza e viola l’art. 366 c.p.c., n. 6, in quanto la società ricorrente si limita a contestare l’inerzia della curatela, valutata dal giudice di merito nel suo complesso, senza descrivere quali elementi la Corte d’Appello avrebbe trascurato di valorizzare ai fini di una diversa determinazione sull’inerzia del curatore. Il motivo di ricorso non consente alla Corte l’esercizio dei poteri di verifica dell’operato della sentenza di prime cure censurata dai ricorrenti solo in via di principio, demandandosi di fatto inammissibilmente alla Corte la concreta indagine sul contenuto e l’effettivo contesto delle circostanze sussunte ma non espressamente rappresentate e specificamente indicate.

In secondo luogo il motivo è inammissibile perchè la questione dell’accertamento dell’inerzia del curatore è una questione di fatto, rimessa insindacabilmente al giudice del merito e dunque irricevibile in questa sede.

2. Con il secondo motivo di ricorso gli impugnanti sollevano la violazione e falsa applicazione degli artt. 2935 e 2947 c.c., con riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ed erronea declaratoria di prescrizione del diritto dei ricorrenti al risarcimento dei danni materiali e morali subiti. La sentenza avrebbe illegittimamente ritenuto maturata la prescrizione del diritto della società e del suo amministratore ad ottenere il risarcimento dei danni cagionati dalla banca in relazione all’erogazione e al mancato frazionamento del mutuo fondiario, partendo dall’errata premessa che la prescrizione decorresse dalla data di dichiarazione del fallimento della società. La statuizione sarebbe errata perchè il pregiudizio non si sarebbe verificato istantaneamente per solo effetto della dichiarazione di fallimento ma si sarebbe protratto nel tempo con successivi comportamenti illeciti della banca che avrebbero dato vita ad un illecito permanente, con decorrenza della prescrizione solo dalla data di chiusura della procedura fallimentare.

2.1 Il motivo, in disparte profili di inammissibilità relativi alla questione di merito della qualificazione dell’illecito quale istantaneo o permanente, non è fondato. La sentenza impugnata, nel configurare la legittimazione del fallito a tutela dei propri diritti in caso di inerzia della curatela fallimentare, è conforme alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, espressasi esattamente in tal senso, alla quale il Collegio intende dare continuità. Si consideri infatti la pronuncia Cass., 3, n. 5028 del 18/4/2000 (confermata da Cass., 1, n. 12405 del 19/9/2000; Cass., 1, n. 292 del 10/1/2005; Cass., 6-1, n. 7407 del 25/3/2013), secondo la quale in relazione ad una domanda di risarcimento del danno, derivante dalla dichiarazione di fallimento, proposta nei confronti di un terzo, al cui comportamento illecito sia addebitata la verificazione dello stato di insolvenza, la prescrizione quinquennale del relativo diritto decorre dalla data della dichiarazione di fallimento, sia perchè questa data (e non quella della chiusura del fallimento) rappresenta il momento di produzione del pregiudizio, sia perchè non è configurabile l’impossibilità di far valere il diritto durante la pendenza della procedura fallimentare, dato che il curatore del fallimento è legittimato a far valere la responsabilità di terzi per fatti anteriori e colpevolmente causativi dello stato di insolvenza e che, in caso di inerzia degli organi fallimentari rispetto a diritti patrimoniali astrattamente suscettibili di entrare a far parte della massa fallimentare, questo disinteresse giustifica la diretta legittimazione del fallito.

3. Con il terzo motivo gli impugnanti censurano la “violazione dell’art. 112 c.p.c. con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Omessa pronuncia sul merito dell’appello. Nullità della sentenza impugnata”. I ricorrenti assumono che, per effetto dell’illegittimo accoglimento dell’eccezione di prescrizione, la sentenza avrebbe omesso di pronunciare sul merito dell’impugnazione e cioè sulla domanda di accertamento della responsabilità della banca Unicredit SpA nella causazione del fallimento della società e sulla condanna della medesima a risarcire i danni conseguenti. Questa omissione determinerebbe una violazione dell’art. 112 c.p.c. e la nullità della sentenza, censurabile sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

3.1 Il motivo è palesemente infondato in quanto è del tutto evidente che non vi è stata alcuna omessa pronuncia ma una statuizione di accoglimento dell’eccezione di prescrizione che ha ovviamente precluso l’esame del merito. La sentenza è del tutto conforme alla giurisprudenza di questa Corte, alla quale occorre con evidenza dare continuità, secondo la quale la decisione di accoglimento della domanda di una parte comporta anche la reiezione dell’eccezione di inammissibilità della domanda stessa, avanzata dalla controparte, senza che, in assenza di specifiche argomentazioni, sia configurabile un vizio di omessa motivazione, dovendosi ritenere implicita la statuizione di rigetto ove la pretesa o l’eccezione non espressamente esaminata risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass., 1, n. 17956 dell’11/9/2015; Cass., 1, n. 13425 del 30/6/2016, Cass., 2 n. 20718 del 13/8/2018; Cass., 6-1 n. 15255 del 4/6/2019; Vass., 5, n. 2153 del 30/1/2020).

4. Con il quarto motivo – violazione e falsa applicazione dell’art. 91, comma 1 e art. 92, comma 2 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – i ricorrenti censurano l’impugnata sentenza sul capo relativo alla condanna delle spese, ritenuta non conferente alla sostanziale riforma della sentenza di primo grado a seguito dell’accoglimento del primo motivo di gravame relativo all’infondatezza dell’eccezione di giudicato.

4.1 Il motivo è inammissibile perchè la statuizione sulle spese è del tutto consequenziale all’accertamento dell’avvenuta prescrizione del diritto al risarcimento del danno ed alla integrale soccombenza dei ricorrenti. I ricorrenti omettono di considerare che il principio di soccombenza non ha natura formale ma sostanziale e che nel caso in esame la pronuncia è meramente applicativa dell’art. 91 c.p.c..

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte il giudice di appello, allorchè riformi in tutto o in parte l’impugnata sentenza, deve procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo della controversia poichè la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale sicchè viola il principio di cui all’art. 91 c.p.c., il giudice di merito che ritenga la parte soccombente in un grado di giudizio e, invece, vincitrice in un altro grado (Cass., 6-3, n. 19122 del 28/9/2015; Cass., 6-3 n. 5820 del 23/3/2016).

5. Sul ricorso incidentale di Unicredit S.p.A..

Con un motivo di ricorso incidentale – nullità della sentenza per violazione dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per avere la Corte d’Appello mancato di rilevare la formazione della res iudicata sulla domanda risarcitoria avversaria già azionata in quattro precedenti gradi di giudizio, costantemente respinta ed oggi nuovamente riproposta dai ricorrenti principali – la Banca Unicredit S.p.A. censura il capo di sentenza che ha ritenuto infondata l’eccezione di giudicato, sulla base di una pretesa difformità tra le conclusioni rassegnate nel presente giudizio (risarcimento del danno da inadempimento del contratto di mutuo del 1976 e conseguente fallimento della società) e quelle dell’atto di citazione del 1986 (inadempimento al concordato stragiudiziale). Ove la Corte d’Appello avesse assunto una concezione lata del concetto di “giudicato”, estensibile alle questioni espressamente trattate e decise costituenti presupposti logici e necessari, avrebbe dovuto accogliere l’eccezione di giudicato, anche alla luce del fatto che l’atto di citazione del 1986 faceva espresso riferimento al comportamento tenuto dalla banca in relazione ai mutui edilizi stipulati con la società.

5.1 Il motivo, in disparte profili di inammissibilità per difetto di autosufficienza e violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, per non aver il ricorrente riportato il testo del presunto giudicato, sollecitando questa Corte ad individuare al di fuori del ricorso gli elementi essenziali per poter desumere la pretesa identità di questioni in fatto e in diritto, non è fondato in quanto, nel raffronto tra le domande formulate nel giudizio del 1986 e quelle oggetto del presente giudizio, compare una diversità, sia pur parziale, costituita dall’avvenuta dichiarazione di fallimento della società: essendo stato il primo giudizio introdotto dalla società in bonis non poteva essere volto ad acclarare la responsabilità della banca per la causazione di un dissesto che non si era ancora materialmente verificato.

6. Conclusivamente entrambi i ricorsi vanno rigettati e le spese compensate. Si dà atto dei presupposti, per il versamento, da parte dei ricorrenti principali e del ricorrente incidentale del cd. raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta entrambi i ricorsi e compensa le spese del giudizio di cassazione. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte sia dei ricorrenti principali sia del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per ciascun ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione Civile, il 28 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2020

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