LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANZON Enrico – Presidente –
Dott. NONNO Giacomo M. – Consigliere –
Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –
Dott. DINAPOLI Marco – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19896/2016 R.G. proposto da:
Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
– ricorrente –
contro
C.G.;
– intimato –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia n. 1278/2016, depositata il 20 maggio 2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16 ottobre 2019 dal Consigliere Marco Dinapoli.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Letto il ricorso per cassazione presentato dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia indicata in epigrafe, che ha rigettato l’appello proposto avverso la sentenza di primo grado n. 3336/22/2014 depositata il 18 dicembre 2014 della Commissione tributaria provinciale di Bari, che aveva accolto il ricorso di C.G. avverso l’avviso di accertamento per Euro 126.883,32 oltre interessi e sanzioni, a titolo di Iva per l’anno 2007, non detraibile in relazione agli acquisti di automobili usate dalla ditta “D auto di D.L.M.P.”, in quanto soggetto ritenuto fittiziamente interposto al solo scopo di conseguire indebiti vantaggi fiscali (c.d. “frode carosello”).
2. – Considerato che la ricorrente, che ha chiesto l’annullamento della sentenza impugnata con ogni consequenziale provvedimento, ha proposto due motivi di ricorso, con cui denunzia i seguenti vizi.
2.1 Il primo motivo denunzia violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 3, lett. c), e del D.Lgs. n. 32 del 2001, art. 1, comma 2, (in relazione all’art. 350 c.p.c., comma 1, n. 3), perchè erroneamente la sentenza impugnata avrebbe ritenuto non utilizzabile l’accertamento effettuato nei confronti della “D Auto”, in quanto il C. non vi avrebbe partecipato, mentre invece il contenuto del p.v.c. nei confronti di “D Auto” è stato ampiamente riportato nell’accertamento nei confronti del C..
2.2- Il secondo motivo denunzia violazione degli artt. 2700,2727,2730,2697 c.c., (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per erronea applicazione dei principi in materia di onere della prova; infatti il contenuto del p.v.c. è fidefacente dei fatti accertati e delle dichiarazioni ricevute dai verbalizzanti, per cui erroneamente la sentenza impugnata non gli avrebbe attribuito alcun valore probatorio.
3.- Rilevato che il contribuente intimato non si è costituito in giudizio.
4.- Ritenuto che il ricorso sia fondato sotto entrambi i profili proposti per i seguenti motivi.
4.1- Il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, comma 3, il cui contenuto precettivo non è stato valutato dalla sentenza impugnata, prevede che l’accertamento fiscale si possa fondare anche sui “verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti”. Quanto poi alla possibilità che detti verbali vengano utilmente opposti a terzi (che ovviamente non potrebbero partecipare personalmente all’ispezione), il D.Lgs. n. 32 del 2001, art. 1, comma 2, anch’esso ignorato dal giudice a quo, stabilisce che “se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto nè ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale.”; il che è avvenuto nel caso in esame in quanto nel p.v.c. nei confronti del C. (trascritto nel ricorso per cassazione nella parte che interessa e ad esso allegato) sono riportate le circostanze di fatto accertate nei confronti della “D Auto” di interesse dell’attuale ricorrente, il quale dunque ne ha avuto in tal modo conoscenza. A ragione dunque l’Agenzia delle entrate lamenta la violazione della normativa indicata, di cui la sentenza impugnata non ha fatto buon governo.
4.2- Con riferimento al secondo motivo di ricorso, che lamenta la violazione da parte della sentenza delle regole sulla ripartizione dell’onere della prova fra l’Amministrazione finanziaria ed il contribuente, questa Corte ha formulato, anche alla luce di ripetuti interventi della Corte di Giustizia, i principi di diritto che seguono, cui occorre dare continuità: 1) “in tema di Iva, l’Amministrazione finanziaria, la quale contesti che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, anche solo in via indiziaria, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta”; 2) “la prova della consapevolezza dell’evasione richiede che l’Amministrazione finanziaria dimostri, in base ad elementi oggettivi e specifici non limitati alla mera fittizietà del fornitore, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale, ossia che egli disponeva di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente” 3) “incombe sul contribuente la prova contraria di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, nè la regolarità della contabilità e dei pagamenti, nè la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi” (Cass. Sez. V 20 aprile 2018 n. 9851; vedi anche Corte di Giustizia 6 dicembre 2012, Bonik, C-285/11; Corte di Giustizia, Ppuh, C277/14, par. 50, Corte di Giustizia 6 luglio 2006, Kittel, C-439/04 e C-440/04; Corte di Giustizia 21 giugno 2012, Mahagèben e David, C-80/11 eC-142/11; Corte di Giustizia 22 ottobre 2015).
4.3- La sentenza impugnata non è rispettosa di tali principi, nella parte in cui esclude la valenza probatoria del p.v.c. redatto dagli accertatori nei confronti della “D Auto”, che è dotato invece della fede privilegiata di cui all’art. 2700 c.c., nonchè nella parte in cui esclude la rilevanza della prova presuntiva fornita dall’Amministrazione finanziaria, ed esonera il contribuente dall’onere della prova contraria.
5.- Ritenuto pertanto che, data la fondatezza dei motivi di ricorso, la sentenza impugnata debba essere cassata con rinvio al giudice di appello per un nuovo giudizio, anche sul regolamento delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia per un nuovo giudizio, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Puglia, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 16 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2020
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